
“Gamification dell’Euro Digitale tra Identità e Potere”
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
a cura di Agostino Agamben
Un’analisi critica sull’evoluzione del denaro dalla materialità alla dimensione digitale, sul ruolo delle tecnologie nella ridefinizione degli assetti politici e della libertà individuale, e sulle nuove forme di controllo che attraversano la soggettività mediante processi di gamificazione e la performatività del credito. Nel contesto contemporaneo, in cui la moneta cessa di essere un mero strumento di scambio per assumere la forma di codice digitale, il concetto stesso di denaro si dissolve nelle tecnologie digitali, generando implicazioni profonde che investono le dinamiche politiche, identitarie e di libertà dei soggetti. Questo studio indaga le origini della moneta, dalla sua materialità fino alla sua configurazione come forma di rappresentazione e potere, evidenziando il progressivo assottigliarsi della linea di demarcazione tra valore e significato, e approfondisce il passaggio dall’economia tradizionale a quella digitale, esaminando l’integrazione di algoritmi e codici nel circuito monetario e il loro ruolo nel rimodellare la soggettività attraverso un processo di gamificazione, che trasforma l’azione economica in una forma di partecipazione politica disciplinata. Inoltre, riflette sulle implicazioni di questo processo per il governo delle persone, analizzando la dissoluzione della distinzione tra identità e denaro e proponendo una critica radicale a una nuova forma di potere che si esercita principalmente attraverso attrazione e desiderio, piuttosto che mediante coercizione. Al centro della riflessione si colloca una domanda di fondamentale rilevanza; è possibile concepire una forma-di-denaro che, invece di limitare la libertà, ne favorisca l’ampliamento? Che, anziché disciplinare, emancipi? Tale indagine affronta dunque il nodo cruciale del nostro tempo, la sfida di preservare la democrazia e la soggettività nell’era della digitalizzazione totale.
Dell’euro digitale e di altre forme di soggettività monetaria
Nel momento in cui la Banca Centrale Europea annuncia l’arrivo dell’euro digitale entro il 2027 – o, come in certi documenti preparatori, 2029 – ciò che avviene non è il lancio di una nuova moneta, ma la sottrazione impercettibile dell’esperienza del denaro alla sua fisicità. L’evento non è l’introduzione di una tecnologia, ma la progressiva evaporazione di un gesto: quello del contatto, dello scambio, della materialità che ancora legava il denaro alla mano, alla piazza, al banco. È nella sostituzione del contante con un codice – non visibile, non tangibile – che si consuma il passaggio più silenzioso, e proprio per questo più radicale, della modernità economica.
Non è forse questa, da sempre, la logica del potere monetario? Cancellare le tracce della propria operazione, lasciando che siano i dispositivi – le app, le interfacce, le API – a gestire ciò che un tempo era esperienza. Almaviva, Fabrick, Nexi, Giesecke+Devrient, Fedzai, Sapient Tremend, Senacor: non sono fornitori tecnici, ma organi senza corpo della nuova governamentalità finanziaria. Il loro lavoro – costruire wallet, tracciare dati, gestire frodi, strutturare la sicurezza – è il volto nascosto della legge. L’app ufficiale dell’euro digitale, affidata a consorzi italo-tedeschi, diventa il luogo in cui la sovranità si trasforma in interfaccia, la politica monetaria in UX design.
Il contratto quadro, del valore massimo di 153 milioni di euro, è una cifra che racconta molto meno del gesto simbolico che implica. Con esso, l’Unione Europea non finanzia un progetto tecnico, ma una forma di soggettività economica. Il cittadino – non più debitore, non ancora utente – si ritrova iscritto in un sistema dove la moneta non è più la misura delle cose, ma la misura del sé. L’utente dell’euro digitale sarà un soggetto rappresentato, sempre mediato, mai presente. L’architettura prevista dalla BCE prevede infatti che nessun cittadino potrà aprire un conto direttamente presso l’istituto centrale. Tutto passerà attraverso i Payment Service Providers (PSP), in una replica della banca, ma senza la banca.
È qui che si compie un paradosso: la moneta emessa dalla banca centrale non è gestita dalla banca centrale. La sovranità si ritrae, o meglio, si traveste. Si fa funzionale, programmata, limitata. Il wallet sarà gratuito – è la promessa – ma sottoposto a limiti di saldo e di anonimato. L’offerta di pubblicità si accompagna a una domanda di controllo: le transazioni saranno tracciabili, benché non riconducibili direttamente all’identità. E tuttavia, già qui si insinua un’altra forma di governo: il denaro come tecnologia del sospetto, il cittadino come ipotesi di rischio.
Nel frattempo, la BCE presenta se stessa come garante dell’equilibrio tra innovazione e stabilità. Il suo obiettivo – dichiarato in documenti ufficiali e confermato da Christine Lagarde – non è quello di eliminare il contante, ma di affiancarlo. Eppure i dati raccontano altro: -40% nell’uso del contante nell’area euro negli ultimi dieci anni, una tendenza irreversibile che trasforma il cash da oggetto quotidiano a reperto antropologico. Il contante – dice la BCE – è “libertà”. L’euro digitale, “alternativa pubblica”. Ma ogni alternativa così descritta è già un ricatto: o tracciabilità, o marginalità.
Non si tratta più di moneta, ma di infrastruttura. Il progetto europeo risponde alla minaccia multipla di un mondo fuori controllo: stablecoin private, criptovalute decentralizzate, circuiti di pagamento americani (Visa, Mastercard), piattaforme cinesi (Alipay, WeChat Pay). L’euro digitale nasce dunque non per emancipare il cittadino, ma per rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione. È l’economia come difesa, l’euro come dispositivo geopolitico.
Ma la finanza, da tempo, ha cessato di essere settore: è diventata forma di vita. I dati dell’Eurobarometro 2023 lo rendono evidente: meno del 20% dei cittadini europei possiede un livello elevato di alfabetizzazione finanziaria. Questo dato, letto nel linguaggio tecnico, è un problema di policy. Ma letto nel linguaggio del potere, è qualcosa di più profondo: è l’indizio che il governo del denaro ha superato la possibilità di essere compreso. L’economia è diventata una scienza arcana, un sapere sacerdotale. I cittadini, resi investitori di sé stessi, sono chiamati a scegliere senza conoscere. La responsabilità del rischio è personale, ma la struttura dell’ignoranza è sistemica.
Proprio in questa frattura tra conoscenza e fiducia nasce la strategia dei conti SIA – Savings and Investment Accounts – proposti dalla Commissione europea. Essi dovrebbero offrire rendimenti più elevati, accesso facilitato ai mercati dei capitali, incentivi fiscali. Ma in realtà rappresentano una trasformazione antropologica: quella del cittadino in micro-investitore, del lavoratore in gestore di portafoglio. L’individuo, atomizzato, si trova di fronte a un bivio: restare risparmiatore – e perdere potere d’acquisto – o diventare giocatore nella macchina speculativa.
E tuttavia, la scelta è un’illusione. Gli strumenti appaiono semplificati, ma ciò che è semplice in superficie è spesso indecifrabile nella struttura. I conti SIA – offerti da banche, neobroker, piattaforme fintech – sono pensati per essere “trasparenti”, ma operano in un sistema di asimmetria informativa permanente. La fiducia non è più basata sulla conoscenza, ma sull’interfaccia. La nuova soggettività economica è un cieco dotato di smartphone.
Dell’alternativa monetaria e dell’eclisse del tempo politico
Nel panorama rarefatto dell’euro digitale, due concetti iniziano a circolare come fantasmi operativi: euro token e digital cash. Ma ciò che si presenta come alternativa tecnica è, in realtà, una disgiunzione ontologica: tra ciò che è programmabile e ciò che è disponibile, tra ciò che può essere tracciato e ciò che può essere vissuto.
Il digital cash – contante digitale – è la forma pura della moneta elettronica: anonima, non custodita da intermediari, simile al denaro fisico per uso, ma svincolata dal suo supporto materiale. Eppure, è proprio questa purezza a renderlo inaccettabile per il potere. Troppo vicino all’invisibilità. Troppo libero. Il digital cash rappresenta la possibilità di un gesto economico senza sorveglianza. È, per questo, un dispositivo politico. Non esiste ancora, e forse proprio per questo esiste come esigenza critica.
L’euro token, al contrario, è il gemello docile dell’euro digitale. Programmabile, incorporabile in contratti intelligenti (smart contracts), legato alle logiche delle blockchain di Stato. Non nasce dal desiderio di semplificare, ma dal bisogno di disciplinare. È la moneta che obbedisce. La sua funzione non è solo quella di scambiare, ma di impartire comandi: autorizzare, limitare, revocare, bloccare. Il denaro diventa codice esecutivo.
La cittadinanza monetaria si ridefinisce qui: tra chi può essere escluso da una transazione e chi può essere incluso solo a certe condizioni. L’anonimato, che nella moneta fisica era residuo e diritto, diventa ora anomalia da correggere. Ogni movimento è loggato. Ogni spesa, profilata. Ogni wallet, una possibile cartella clinica del comportamento economico.
Ma se il potere si fa algoritmo, il tempo politico si dissolve. Le scelte non passano più attraverso il conflitto, ma attraverso l’automazione. L’indagine condotta da SDA Bocconi nel 2023 mostra un dato apparentemente neutro, ma profondamente inquietante: la maggioranza dei cittadini si fida più di un’applicazione ben fatta che di un’istituzione democratica mal funzionante.
È il rovesciamento di un asse millenario: non è più la legge a garantire la fiducia, ma la funzionalità. Se il Parlamento decide, ma l’app funziona male, la norma è inutile. Se la legge è giusta, ma l’interfaccia è inaccessibile, la giustizia è sospesa. Il cittadino si trasforma in utente, e l’utente non protesta: disinstalla.
Ecco allora la nuova forma della sovranità monetaria: la delega automatica. Le scelte vengono preconfigurate. Il wallet suggerisce la spesa, il broker digitale consiglia l’investimento, l’intelligenza artificiale ribilancia il portafoglio. Non ci viene chiesto di scegliere, ma di confermare ciò che è stato già deciso per noi. Il futuro non è più aperto, è computato.
In questa architettura, la moneta cessa di essere misura del valore e diventa scrittura del tempo. Non racconta più cosa possiamo comprare, ma cosa dobbiamo essere. Ogni spesa è una micro-narrazione, ogni transazione, una riga di codice del nostro profilo esistenziale. Il denaro è racconto. Ma non il racconto che l’uomo fa del mondo: piuttosto, quello che l’algoritmo fa dell’uomo.
Eppure, proprio in questo deserto della soggettività economica, qualcosa resiste.
Resiste il desiderio – registrato nelle indagini, nei movimenti sociali, nelle economie informali – di una moneta che non sia dispositivo, ma gesto. Di un’economia che non sia solo calcolo, ma incontro. Di un valore che non sia solo prezzo, ma promessa.
Il gioco del potere e la soglia liquefatta dell’identità monetaria
Se la moneta diventa codice e il codice diventa legge, allora il denaro si trasforma in gioco – ma non un gioco innocente, bensì una forma di governo dissimulata.
Il rischio è la gamificazione finanziaria: la riduzione del potere d’acquisto a punti, badge, livelli, come se la vita economica si svolgesse in un’arena ludica, in cui il rischio e la scommessa sono il nuovo modo di governare la soggettività.
La gamificazione non è mera tecnica di marketing, ma strategia di disciplinamento. Il cittadino-giocatore è chiamato a partecipare attivamente a una partita in cui le regole non sono trasparenti, ma sempre mutevoli, programmate per incoraggiare l’accettazione delle disuguaglianze e la subordinazione volontaria.
Il denaro così diventa mezzo di identificazione: non più solo valore di scambio, ma marca di appartenenza, simbolo di conformità, tessera di un sistema in cui la soggettività si fonde con il credito.
Non esiste più confine tra moneta e identità, tra il saldo del conto e il saldo dell’io. La soglia, da linea netta, si liquefa in un continuum senza margini: ogni spesa è voto, ogni investimento scelta politica, ogni transazione atto performativo.
Qui la politica si mostra nella sua forma più sottile: non più rappresentanza o conflitto, ma gestione fluida delle soggettività digitali. Il cittadino non manifesta, non protesta, ma si adegua al flusso di incentivi, penalità, offerte.
Il potere si esercita per attrazione, non più per coercizione; per desiderio, non più per legge. E questa trasformazione è la più radicale.
L’euro digitale e i suoi token non sono solo nuove tecnologie monetarie, ma dispositivi di un’eclisse del tempo politico.
Non è più possibile attendere che la democrazia si esprima attraverso scelte collettive, assemblee, elezioni. L’economia digitale anticipa, prescrive, preclude.
La forma-di-denaro diventa forma-di-potere, nel senso più letterale: scrittura del possibile, vincolo dell’agire, soglia invisibile della libertà.
Eppure, in questo scenario di controllo e automatismi, permane una domanda inquietante:
è possibile immaginare una forma-di-denaro che non sia forma-di-potere?
Una moneta che non imponga, ma apra possibilità? Che non calcoli, ma narri? Che non vincoli, ma liberi?
Il digital cash, con la sua promessa di anonimato e autonomia, è forse l’ultimo rifugio di questa speranza.
Ma la speranza non basta. Serve un gesto politico, un atto costituente che rompa la continuità del controllo algoritmico.
L’euro digitale non è un mero strumento tecnico, ma un campo di battaglia per la definizione del nostro tempo, della nostra identità, della nostra libertà.
Nel bivio tra controllo e autonomia, tra codice e politica, si gioca il destino non solo della moneta, ma della democrazia stessa.