
“Gastro-trasformazioni e Il cibo italiano tra memoria innovazione”
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Attualità.
A cura di Ottavia Scorpati
Dagli anni Ottanta a oggi, un viaggio attraverso le metamorfosi culturali, sociopolitiche ed economiche della tavola italiana, tra prodotti iconici, crisi globali e sfide future.
Il rapporto tra cibo e società è sempre stato più di un semplice gesto quotidiano: è un codice complesso che riflette e plasma l’identità collettiva, le dinamiche culturali e le tensioni geopolitiche. In Italia, paese dalla ricca tradizione gastronomica, questa relazione si è evoluta in modo particolarmente emblematico negli ultimi quarant’anni.
Gli anni Ottanta rappresentano un momento di svolta, in cui le trasformazioni tecnologiche e sociopolitiche entrano nella cucina e nella tavola degli italiani, segnando il passaggio da un tempo lento e affettivo a un modello di consumo rapido e industrializzato. Questi cambiamenti non riguardano solo la produzione o la disponibilità di nuovi prodotti: riflettono la ridefinizione di ruoli sociopolitici, identità di genere e rapporti familiari.
Con l’avvento della globalizzazione e la crescita della Grande Distribuzione Organizzata, la tavola italiana si trova ad affrontare la sfida dell’omologazione e della perdita di alcuni simboli culturali, mentre il cibo assume un ruolo sempre più strategico in termini economici e politici a livello globale.
Il cibo diventa così una lente attraverso cui leggere crisi e conflitti, resistenze e innovazioni, nostalgia e progetti di futuro. Dalla merendina anni Ottanta che segna un’infanzia condivisa, alla pizza che diventa ambasciatrice globale dell’identità italiana, fino alle nuove sfide poste da pandemie e guerre geopolitiche, la storia alimentare italiana è un viaggio affascinante che intreccia storia, economia, tecnologia e cultura.
Questo approfondimento si propone di analizzare le trasformazioni della tavola italiana negli ultimi decenni, mettendo in luce le dinamiche complesse che attraversano il cibo come fenomeno culturale, economico e sociopolitico, e offrendo chiavi interpretative per comprenderne il presente e immaginare il futuro.
L’Italia degli anni Ottanta può essere compresa attraverso una lente teorica che chiameremo Gastrocrono-trasformazione culturale: una chiave interpretativa per leggere i mutamenti alimentari non come semplici effetti collaterali di processi tecnologici o consumistici, bensì come segnali profondi di trasformazioni dell’identità collettiva, scanditi dal tempo e tradotti nel gusto. Ogni prodotto sparito, ogni ingrediente entrato o uscito dalla tavola italiana costituisce un tassello narrativo fondamentale, come se la memoria storica si impastasse nel pane quotidiano, si conservasse nei surgelati e si sciogliesse nei gelati confezionati. Il cibo, da questa prospettiva, non è solo il riflesso di ciò che accade, ma un vero e proprio acceleratore del cambiamento, un traduttore culturale e simbolico di forze invisibili: sociali, geopolitiche, antropologiche.
Gli anni Ottanta in Italia sono un decennio di entusiasmo modernista, di crescita economica e di radicali mutamenti sociali. La cucina domestica, una volta dominata dal tempo lento della preparazione manuale e dalle ricette di famiglia, vede l’ingresso massiccio di nuovi elettrodomestici come il forno a microonde. Questo apparecchio non è semplicemente uno strumento tecnico, ma diventa il simbolo di una frattura profonda tra il tempo affettivo del cucinare e l’urgenza della produzione rapida, impersonando la trasformazione dalla convivialità alla funzionalità.
Parallelamente, le donne italiane entrano sempre più nel mercato del lavoro, mutando radicalmente il ruolo domestico e portando a una trasformazione sociale e antropologica che si riflette direttamente sulla tavola. La figura tradizionale della madre-cuoca, custode delle ricette e della convivialità familiare, lascia spazio alla madre-lavoratrice impegnata a conciliare lavoro e famiglia, segnando il passaggio da un modello di cucina affettiva e manuale verso una dimensione produttivista e funzionale.
La fase gastroproduttivista vede il cibo diventare prodotto di mercato, confezionato, razionalizzato e segmentato. È l’epoca delle merendine confezionate e degli snack industriali che si diffondono come nuove icone del consumo infantile e familiare. Prodotti come le Pat Bon di Findus, con le loro patatine a forma di lettere ripiene di ketchup, il gelato Camillino della Eldorado, gli Urrà della Saiwa – wafer cioccolatosi e stratificati – insieme al succo Billy e alla bibita One O One, rappresentano molto più di semplici snack: sono veri e propri marcatori culturali di un’infanzia condivisa, strumenti semiotici di un linguaggio visivo e gustativo che lega il consumo al gioco, all’immaginazione, alla scoperta.
Questi prodotti incarnano il passaggio dalla manualità affettiva alla produzione industriale efficiente, dal tempo lento al tempo rapido, dalla convivialità familiare al consumo individualizzato e funzionale. La loro successiva scomparsa non fu dunque una semplice decisione commerciale o una conseguenza di fluttuazioni di mercato: segnò una cesura semantica e culturale. Quando questi snack sparirono dagli scaffali, si chiuse un capitolo identitario, una narrazione affettiva e generazionale.
La storia della One O One è emblematica di questa fase: lanciata dalla San Pellegrino come sfida patriottica all’egemonia americana della Coca-Cola, rappresentò un atto di orgoglio nazionale e di resistenza economica. Tuttavia, travolta da logiche globali e da una lunga causa legale per concorrenza sleale, la sua scomparsa segnò non solo una sconfitta commerciale, ma anche il limite dell’autonomia gastronomica italiana in un mondo dominato dai brand globali. Questa vicenda testimonia come in un mercato globalizzato i prodotti locali siano costretti a confrontarsi con dinamiche geopolitiche e di potere economico che vanno ben oltre la semplice qualità o gusto.
Con l’avvento degli anni Novanta e Duemila, la Gastrocrono-trasformazione evolve verso una nuova dimensione, che possiamo definire gastropolitica. In questo periodo, l’Italia entra nell’Unione Europea e nella moneta unica, adottando standard, etichettature comuni e regolamenti che ridefiniscono profondamente la produzione e il consumo alimentare.
Le aziende italiane storiche vengono spesso assorbite da multinazionali globali: la Saiwa passa nelle mani di Mondelez, mentre la Ferrero si espande a livello planetario. Il cibo diventa così governance, soft power e diplomazia economica. Prodotti simbolo come il Parmigiano Reggiano, l’olio extravergine di oliva e la mozzarella di bufala non sono più semplici alimenti, ma veri e propri trattati simbolici, ambasciate commestibili dell’identità italiana nel mondo.
Le denominazioni di origine protetta (DOP) e controllata (DOC) si configurano come confini simbolici da difendere in una battaglia aperta contro l’“Italian sounding”, ovvero la contraffazione agroalimentare che minaccia la sovranità culturale italiana. Questi marchi sono fondamentali non solo per la tutela del prodotto, ma per preservare un patrimonio culturale e identitario che è al tempo stesso economico e simbolico.
Parallelamente, si afferma un nuovo modello distributivo: la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) con catene come Lidl, Conad, Carrefour ed Eurospin detta nuove regole di mercato. Lo scaffale diventa un campo di battaglia simbolico: ciò che non entra negli scaffali della GDO semplicemente non esiste. Questo modello impone criteri di omologazione e marginalità che portano alla scomparsa di molti prodotti iconici degli anni Ottanta, ormai non più allineati con le esigenze nutrizionali, economiche o di marketing del nuovo contesto.
Il consumatore si evolve anch’esso: se negli anni Ottanta domina il fascino della novità industriale e del packaging colorato, nei Duemila cresce una domanda di prodotti più sani, sostenibili e semplici. Il biologico, il km zero, le filiere corte diventano segmenti di consumo significativi, sebbene i grandi numeri restino nelle mani della GDO.
A partire dagli anni Dieci, con la diffusione di Internet e dei social media, la Gastrocrono-trasformazione entra nella fase gastromnemonica. Il passato alimentare non è più solo memoria individuale, ma un patrimonio collettivo che viene condiviso, costruito e rielaborato in spazi digitali come Facebook, Instagram, TikTok e YouTube.
I prodotti alimentari scomparsi, come le merendine degli anni Ottanta — il Billy, il Camillino, le Pat Bon — ritornano come simboli affettivi, evocazioni di un’Italia che cerca ancore nel passato e nella continuità identitaria. Questi alimenti diventano oggetti di culto, strumenti di resistenza emotiva e culturale contro l’ansia del presente e l’indefinitezza del futuro. La nostalgia si fa marketing ma anche identità condivisa: riemergono pubblicità d’epoca, packaging vintage, ricette “revival”.
Il cibo diventa così uno strumento di memoria collettiva e di resistenza culturale, un modo per recuperare un senso di stabilità e appartenenza in un mondo sempre più fluido e incerto.
La pandemia globale del 2020 segna un altro spartiacque nella relazione degli italiani con il cibo. I lockdown, la chiusura dei ristoranti, il ritorno forzato alla cucina casalinga modificano le abitudini alimentari. La riscoperta della cucina domestica si intreccia però con nuove esigenze e preoccupazioni legate alla salute e alla sostenibilità, accelerando tendenze già presenti.
È però l’invasione dell’Ucraina nel 2022 a dare avvio a una nuova fase, che chiameremo gastrogeotecnologica. In questa fase, il cibo diventa una variabile sistemica, intrecciandosi con la geopolitica, l’economia, la tecnologia e il clima. Grano, fertilizzanti, energia e materie prime agricole assumono il ruolo di leve di potere geopolitico.
L’Italia, da sempre importatrice netta di cereali, subisce le conseguenze di blocchi alle esportazioni, inflazione e crisi energetica. La siccità mediterranea riduce i raccolti storici, mentre i costi dell’energia compromettono la produzione industriale agroalimentare. Nel contempo, potenze globali come Cina e India assicurano filiere strategiche per i propri approvvigionamenti, mentre i Paesi del Golfo investono in agritech, vertical farm e startup alimentari. L’Europa, preoccupata dalla dipendenza esterna, promuove politiche di food resilience, ovvero di autonomia strategica e sostenibilità della produzione interna.
In questo quadro, il cibo si configura come struttura-mondo: è insieme arma e scudo, simbolo e software, bene economico e politica, cultura e tecnologia. Ogni ingrediente diventa una variabile geopolitica, ogni scaffale del supermercato una mappa del potere. La scomparsa o il successo di un prodotto non è mai casuale: è il risultato di scelte industriali, politiche e logistiche complesse.
Non si può parlare di cucina italiana senza menzionare la pizza, un prodotto emblematico che attraversa la Gastrocrono-trasformazione con un percorso unico e ricco di significati.
La pizza nasce a Napoli nel XVIII secolo come alimento popolare, semplice e accessibile, legato ai prodotti del territorio: pomodoro, mozzarella, olio d’oliva e lievito. Nel corso del Novecento diventa un simbolo nazionale, ma è soprattutto l’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra che porta la pizza nel mondo, trasformandola in un fenomeno globale.
Negli Stati Uniti, la pizza si trasforma e si moltiplica in varianti regionali (New York, Chicago, California), diventando un cibo di massa industrializzato e icona della fast food culture, ma anche un oggetto di riscoperta gastronomica con la crescita del movimento “slow food”.
In Italia, la pizza ha conosciuto una continua ridefinizione che l’ha vista oscillare tra tradizione e innovazione, dalla pizza napoletana tradizionale (Patrimonio UNESCO dal 2017) alle sperimentazioni gourmet e vegane degli ultimi anni. La pizza diventa così paradigma del rapporto tra identità culturale e dinamiche di mercato globali, tra autenticità e adattamento.
L’Italia del 2024 è il risultato maturo — ma non pacificato — di questa lunga evoluzione gastrocrono-trasformativa. Da una parte, rimane forte la tradizione enogastronomica regionale e la qualità riconosciuta a livello mondiale di prodotti come Parmigiano Reggiano, olio extravergine, vini e aceti balsamici. La cultura del cibo italiano è un asset strategico di soft power e turismo.
Dall’altra, il Paese deve fare i conti con crisi strutturali, mutamenti climatici, globalizzazione, cambiamenti sociali e tecnologici. Le vecchie abitudini si mescolano con nuove pratiche alimentari: dal cibo plant-based alle tecnologie alimentari di precisione, dalle piattaforme di delivery al fenomeno crescente dei ghost kitchen.
Il consumatore italiano è oggi più consapevole e sensibile: ricerca prodotti naturali, sostenibili e trasparenti; è attento alla filiera, all’etica e alla salute. Ma deve anche fare i conti con prezzi in aumento, scarsità di materie prime e un mercato dominato da pochi grandi attori globali.
La memoria gastrocrono-mnemonica del passato alimentare si fa dunque motore di innovazione e resistenza, ma anche di contraddizione e conflitto. Il recupero di prodotti iconici degli anni Ottanta, ad esempio, si intreccia con la necessità di ripensare un modello di sviluppo alimentare più sostenibile e inclusivo.
La Gastrocrono-trasformazione culturale italiana è una lente potente per interpretare la storia recente del nostro Paese. Attraverso il cibo possiamo leggere non solo le trasformazioni economiche o tecnologiche, ma soprattutto i mutamenti identitari, culturali, politici e geopolitici che ne costituiscono l’ossatura profonda.
Dagli anni Ottanta a oggi, la tavola italiana ha attraversato fasi di entusiasmo, crisi, nostalgia, resistenza e innovazione, intrecciando la sua evoluzione con quella della società intera. Ogni prodotto scomparso o riapparso racconta una storia, ogni sapore evoca una memoria, ogni scelta alimentare riflette una posizione geopolitica e culturale.
Comprendere questa complessità è fondamentale per affrontare le sfide del presente e progettare un futuro alimentare che sia davvero sostenibile, equo e culturalmente ricco. Il cibo non è mai stato solo nutrimento: è sempre stato e sempre sarà un racconto di chi siamo e di dove stiamo andando.