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Generali, Procuratori e Banchieri

I due generali, i due procuratori, i due banchieri, ecc.

_______ di TORQUATO CARDILLI

Chi ha una certa età ricorderà un film tipico della commedia all’italiana, di oltre cinquanta anni fa, intitolato “i due colonnelli”, ambientato in un villaggio della Grecia durante il  secondo conflitto mondiale: da una parte il principe della macchietta Totò nelle vesti del colonnello di fanteria Di Maggio e dall’altra l’attore inglese Pidgeon in quelle del colonnello dell’esercito britannico Henderson. Tra una gag e l’altra ciascuno rivela e mette a nudo i difetti o i pregi della propria tradizione militare, del senso della disciplina e dello Stato, della saldezza dei principi, o del cameratismo alla buona e delle inclinazioni goderecce.

Anche in questi tempi torna prepotentemente a galla il parallelismo o il disequilibrio tra severità delle istituzioni e arzigogolo delle scusanti e delle complicità omertose nelle istituzioni dei diversi paesi. Da una parte un generale reo confesso che rischia cinque anni di galera per aver mentito agli organi inquirenti e dall’altra un generale che, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, nega ogni addebito ed è ancora al suo posto. Oppure un procuratore che non conosce ostacoli ed arriva ad indagare anche nel salotto del Capo dello Stato e dall’altra un procuratore che di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta si mostra reticente. Oppure un banchiere gaglioffo che per bancarotta viene condannato a 150 anni di carcere (che sta già scontando) e dall’altra un bancarottiere con condanna di primo grado a 9 anni di galera che essendo senatore stipendiato dai contribuenti continua a legiferare sui cittadini onesti e a fare da stampella al Governo.

Ma vediamo il dettaglio di queste tre scene nelle quali anche un bambino vedrebbe le differenze, gli errori, le violazioni dei principi e delle leggi.

I DUE GENERALI 

USA – Il primo generale si chiama Flynn. Dopo aver operato in Afghanistan e in Iran ha ricoperto prestigiosi incarichi fino a diventare nel 2012 sotto Obama il capo della Defense Intelligence Agency americana e poi Consigliere per la sicurezza del Presidente Trump di cui è stato fervente sostenitore nella campagna presidenziale. Nell’inchiesta aperta dalla FBI sul famoso scandalo “Russia gate”, cioè le interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali americane, Flynn, credendosi al riparo delle 18 medaglie al valore militare, mente al capo dell’agenzia federale Comey (che sarà silurato da Trump per aver approfondito l’inchiesta) sui suoi contatti ad alto livello con le autorità russe. L’FBI in base alle intercettazioni e a documenti inconfutabili inchioda Flynn che alla fine confessa di aver mentito e di aver rilasciato false dichiarazioni. A questo punto chiede di patteggiare la libertà in cambio della completa collaborazione con gli organi inquirenti e si dichiara pronto a rivelare tutti i retroscena dell’affare.

L’FBI concede il patteggiamento e Flynn dichiara di non aver agito autonomamente nei suoi contatti con l’ambasciatore russo Kislyak, ma di aver ottenuto l’avallo del team di transizione del presidente in cui Kushner, genero di Trump, svolgeva un ruolo dominante, mentre appaiono coinvolti anche il ministro della giustizia Sessions e due consiglieri di Trump Papadopulos e Manafort (anche loro pentiti e pronti a collaborare) in merito a contatti segreti con i russi e con il primo ministro israeliano Nethanyahu (vecchio amico di Kushner) per ottenere l’ammorbidimento di Mosca su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza di condanna degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi (trattativa fallita perché la Russia votò a favore).

ITALIA  –  Il secondo generale si chiama Del Sette, già capo dei carabinieri della regione Toscana, poi capo di gabinetto della ministro della difesa Pinotti e a dicembre 2014 nominato dal Governo Renzi comandante generale dell’arma dei carabinieri. E’ stato mantenuto al suo posto da Gentiloni (con il ragguardevole stipendio di 462.000 euro l’anno stando alla dichiarazione IRPEF del suo predecessore Gallitelli) nonostante la decadenza per pensionamento al compimento del 65mo compleanno dal maggio 2017 per effetto della legge Madia e nonostante sia indagato nell’affare Consip, società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia che gestisce i contratti di fornitura per la pubblica amministrazione e che deve assegnare appalti per complessivi 7 miliardi di euro.

Gen.Tullio Del Sette
Gen.Tullio Del Sette

Si tratta del più corposo affare sporco della legislatura nel quale appare evidente la gravità dei comportamenti di funzionari pubblici, ufficiali di polizia giudiziaria, magistrati, dirigenti, vertici dell’Arma della solita Italietta dell’ipocrisia. La magistratura seguendo un’altra inchiesta si imbatte in un probabile tentativo di corruzione a danno dello Stato in cui sarebbero coinvolti personaggi del giro familiare ed amicale del presidente del Consiglio Renzi, nonché un ministro della repubblica ed il vertice dei Carabinieri.

Gli inquirenti decidono di mettere delle microspie negli uffici dell’amministratore delegato di Consip Marroni che però viene avvertito dal suo presidente Ferrara che lo avrebbe saputo dal generale Del Sette, dal comandante dei carabinieri della Toscana Saltalamacchia  e dal Ministro dello Sport Lotti. Marroni avverte una società specializzata in bonifiche ambientali che trova le microspie. Risultato: le indagini della Magistratura vengono scoperte  e quindi reso inefficace ed inutilizzabile tutto quanto già fatto ed ottenuto dal punto di vista investigativo. Marroni confessa agli inquirenti i canali delle sue informazioni. Del Sette e Lotti vengono indagati, ma all’italiana negano ogni coinvolgimento. E il Governo che fa? Silura su due piedi Marroni (l’unico protagonista della vicenda a non essere indagato) che non poteva essere coperto da nessun ombrello politico di carattere omertoso, anche se – vendetta della sorte – in Senato nell’illustrare l’attività della Consip il Commissario alla spending review Gutgeld ammette che la gestione Marroni ha fatto risparmiare all’erario nel 2016 ben 3,5 miliardi con un + 13% rispetto al bilancio del 2014.

I DUE PROCURATORI

USA – Il Dipartimento della Giustizia nomina un procuratore speciale indipendente, Robert Mueller, perché coordini e porti a termine le indagini sul caso Russia gate. Primo risultato Sessions si dimette e esce dal quadro investigativo. Nelle pieghe dell’inchiesta emerge un incontro tra il genero di Trump ed un’avvocatessa russa che avrebbe promesso materiale compromettente sulla candidata Clinton. Viene perquisita l’abitazione di Manafort, manager della campagna elettorale di Trump, che subito dopo si costituisce. Passano pochi giorni ed anche il consigliere Papadopulos ammette di aver reso dichiarazioni false all’FBI. Entrambi vengono incriminati. Il procuratore Mueller, secondo le rivelazioni del Washington Post, è arrivato ad indagare sulla soglia dello studio ovale sospettando che il presidente in persona possa aver ostacolato le indagini.

ITALIA – La Commissione parlamentare d’inchiesta sui crack bancari e sulle responsabilità di Banca d’Italia e Consob per la mancata o inefficace vigilanza sulle banche decotte e fallite tra cui la Banca Etruria, di cui era vice presidente il papà dell’allora Ministro Boschi, tutt’oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e padrona di tutti dossier che transitano per palazzo Chigi, interroga il procuratore Roberto Rossi. Chi è costui? E’ il PM di Arezzo che indaga appunto su Banca Etruria, pur essendo contemporaneamente consulente (dai tempi del premier Letta) del  Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi di Palazzo Chigi, praticamente sotto ordinato alla Boschi. Possibile che nessuno abbia ravvisato profili di commistione e di incompatibilità tra questa funzione e l’indagine sulla banca Etruria proprio per le relazioni di parentela figlia-padre tra la sottosegretaria Boschi e il vice presidente di banca Etruria?

Nella deposizione di fronte alla Commissione, che ha tutti i poteri di un Tribunale, il Procuratore Rossi non cita “expressis verbis”, come vorrebbe deontologia professionale e dovere di testimone, che il papà Boschi è indagato per falso in prospetto ed accesso abusivo al credito, oltreché per bancarotta. Na nasce un putiferio sulla stampa che non ha potuto seguire interamente l’interrogatorio spesso interrotto per segretazione dal presidente della Commissione Casini tanto che rappresentanti delle opposizioni chiedono che gli atti siano trasmessi al CSM per i provvedimenti del caso su Rossi. Quest’ultimo in un estremo tentativo di salvarsi in corner riferisce che a domanda sull’indagine nei confronti di Boschi avrebbe annuito. Capite bene: un magistrato che sotto interrogatorio non parla, ma si limita ad annuire!

I DUE BANCHIERI

USA – Il bancarottiere Bernard Madoff di 71 anni è un diabolico criminale statunitense. Dopo una gioventù stentata ha trascorso una bella vita che lo aveva proiettato alla presidenza del Nasdaq tra lussi sfrenati quadri, gioielli, yacht e ricevimenti nel suo appartamento di Manhattan valutato 7 milioni di dollari e nelle sue tre ville del valore di 18 milioni di dollari a Palm Beach, in Florida e sulla punta di Long Island. Oggi è conosciuto come  il carcerato 61727-054, ristretto nel penitenziario di di Butner, nella Carolina del Nord, per scontarvi la pena a 150 anni di carcere inflittagli in un processo lampo nel quale è stato ritenuto colpevole (e reo confesso) di 11 imputazioni di frode ammontanti a 65 miliardi di dollari (l’equivalente di circa 46 miliardi di euro).

La conclusione giudiziaria della truffa di Madoff, almeno tre volte più grande del crac della Parmalat di Tanzi, che ha coinvolto importanti personalità del mondo finanziario e dello spettacolo nonché grandi istituti finanziari e investitori istituzionali, compresa la Unicredit italiana per 75 milioni di euro, il Banco Popolare per 8 milioni la Royal Bank of Scotland per 445 milioni la spagnola Bbya per 300 milioni, il gruppo britannico HSBC per 1 miliardo di dollari e la francese Natixis per 450 milioni, rappresenta un esempio di giustizia che deve essere rapida, certa ed esemplare.

ITALIA – Il bancarottiere toscano Denis Verdini, commercialista girovago della politica con i socialisti, i repubblicani, il patto Segni, Forza Italia ed ora di Ala, già Presidente del Credito cooperativo fiorentino, ed azionista del giornale Il foglio, dopo alcune esperienze come consigliere regionale sbarca nel 2001 in parlamento, prima a Montecitorio e poi a palazzo Madama, sotto la protezione di Berlusconi per restarvi ininterrottamente fino ad oggi. Nel 2015 si stacca dal suo mentore e fonda ALA dichiarando di sostenere Renzi, il suo governo e le sue riforme, divenendo un puntello della maggioranza sempre in pericolo al Senato.

Verdini, Renzi non nostro leader ma guardiamo a lui

Le sue vicende giudiziarie sono una collezione da antologia: nel 1992 viene  messo sotto accusa per violazione della legge elettorale ma verrà archiviato; nel 2001 appena eletto deputato, è rinviato a giudizio con l’accusa di violenza sessuale, ma viene assolto con la formula del dubbio per molestie telefoniche; nel 2010 è indagato dalla procura di Firenze per concorso in corruzione su alcuni appalti e solo nel 2014 il Senato autorizza l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche; nello stesso anno 2010 è indagato dalla Procura di Roma per lo scandalo della cricca di affari e si dimette da presidente del Credito cooperativo fiorentino essendo coinvolto nello scandalo P3 per corruzione e violazione della legge sulle società segrete che comporterà nel 2014 il rinvio a giudizio per corruzione; sempre nel 2010 è indagato con l’accusa di tentato abuso d’ufficio in relazione agli appalti post terremoto all’Aquila ma viene prosciolto dal Gup dopo che la Camera aveva negato l’utilizzo delle intercettazioni; nel marzo del 2012 la sua banca, sottoposta dalla Banca d’Italia a liquidazione amministrativa coatta, cessa di esistere e nel 2013 viene chiesto il suo rinvio a giudizio; nell’aprile 2013 la Procura di Firenze emette un’ordinanza di sequestro di 12 milioni di euro per un’inchiesta per truffa e indebita percezione di fondi per l’editoria; a novembre 2014 è rinviato a giudizio con l’accusa di finanziamento illecito e truffa aggravata sulla compravendita di un immobile al centro di Roma.

Nel 2015 inizia il processo con l’accusa di truffa allo Stato nonché bancarotta fraudolenta per il fallimento di un’ impresa edile debitrice della sua banca per 4 milioni di euro; a marzo 2016 viene condannato a 2 anni di reclusione con pena sospesa per concorso in corruzione in relazione all’appalto per la scuola marescialli di Firenze; ad aprile 2016 viene rinviato a giudizio con l’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento della Società toscana edizioni debitoria verso la sua banca. A marzo 2017 la seconda condanna, questa volta a 9 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel processo iniziato nel 2015.

Gli esempi potrebbero continuare. Sarà il popolo italiano capace di imprimere una svolta radicale per pretendere moralità ed onestà nella politica e rigorosa selezione della sua classe dirigente?