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Guerra liquida il potere degli ETF(Exchange Traded Funds)

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

A cura di Agostino Agamben

Un’indagine approfondita sulle dinamiche che legano i principali ETF bellici alle strategie politiche, alla produzione industriale di armamenti e alle implicazioni etiche di un mercato finanziario che riflette e alimenta le tensioni internazionali, invitando l’investitore moderno a confrontarsi con la complessità di un mondo in cui l’economia e la guerra si intrecciano inestricabilmente.

Nel contemplare il mondo finanziario contemporaneo, è impossibile non notare come esso si presenti ormai come un campo di battaglia invisibile, un teatro in cui si giocano partite di potere tanto quanto in quelle visibili, militari e politiche. Gli Exchange Traded Funds, comunemente chiamati ETF, si configurano come uno degli strumenti più emblematici di questa nuova economia della guerra, un mezzo che sembra al contempo disincarnare e moltiplicare la presenza del conflitto in ogni transazione, in ogni investimento. Non è un caso che proprio gli ETF, nati per offrire agli investitori una modalità più fluida e meno rischiosa di accedere ai mercati azionari, abbiano trovato nel settore della difesa uno spazio di straordinaria crescita e visibilità. Qui si incrocia una contraddizione profonda: l’apparente neutralità dello strumento finanziario si fa veicolo di una partecipazione indiretta ma non meno decisiva al meccanismo globale della produzione di armamenti e alla perpetuazione di conflitti.

L’ETF, per sua natura, è un dispositivo di smaterializzazione e simultaneamente di aggregazione: raccoglie in un solo indice una moltitudine di azioni, un paniere composito che cerca di offrire una copertura diversificata, una mitigazione del rischio specifico, un’illusione di controllo e di prevedibilità in un mercato per sua stessa natura instabile e dominato dall’imprevedibile. Nel caso degli ETF dedicati alla difesa, questa molteplicità si traduce in un intreccio di storie industriali, politiche, tecnologiche e geopolitiche, che si riflettono nelle oscillazioni quotidiane di un prezzo che sembra astratto ma è intimamente connesso alla realtà concreta della guerra, dell’innovazione bellica, della pressione internazionale.

Prendiamo, ad esempio, l’iShares U.S. Aerospace & Defense ETF, uno degli strumenti più rappresentativi e popolari, che raccoglie in un solo indice le azioni delle maggiori aziende americane del settore. Lockheed Martin, Raytheon Technologies, Northrop Grumman, General Dynamics e molte altre compongono questo mosaico in cui si condensano secoli di sviluppo tecnologico e militare, investimenti pubblici e privati, strategie di dominio e di deterrenza. Ogni azione acquistata in questo paniere diventa un frammento di una realtà che non si limita al mero valore economico, ma si configura come un dispositivo che tiene insieme le logiche di produzione, consumo e distruzione, in un continuum in cui la guerra è la condizione stessa di possibilità del mercato.

Ma cosa significa oggi investire in un ETF di questo tipo? Significa assumere, forse inconsapevolmente, una posizione che non è mai puramente finanziaria, ma che implica un coinvolgimento nel gioco più vasto delle strategie di potere e dei conflitti globali. La finanza, in questo contesto, non è un ambito separato o secondario, ma una delle dimensioni fondamentali in cui si gioca la sovranità, la sicurezza e la produzione del dominio. Non è solo una questione di ritorno economico, ma di partecipazione a un sistema che intreccia interessi politici, militari ed economici in una rete di reciproca dipendenza.

Le dinamiche degli ETF riflettono questa complessità. Da un lato, essi offrono un’opportunità di accesso a un mercato che tradizionalmente era appannaggio di pochi grandi investitori istituzionali o di governi. Dall’altro, amplificano la volatilità e la fragilità di un sistema che si nutre di crisi e instabilità, trasformando le tensioni geopolitiche in opportunità di guadagno, ma anche in fonti di rischio sistemico. La dipendenza dalle commesse governative, spesso plurimiliardarie e legate a dinamiche di politica estera, rende il settore estremamente vulnerabile a eventi imprevedibili, dalla fine o dall’inizio di conflitti alle crisi diplomatiche, fino alle sanzioni e ai cambiamenti nelle alleanze internazionali.

Questa interconnessione fra finanza e conflitto è, in fondo, l’essenza stessa dell’industria bellica contemporanea. Essa non produce solo strumenti di guerra, ma anche e soprattutto un mercato globale che si alimenta delle stesse tensioni che le armi sono chiamate a contenere o a scatenare. Gli ETF, nella loro struttura, non fanno che riflettere e amplificare questa logica: aggregando le azioni delle principali aziende, essi creano un dispositivo che riduce apparentemente la specificità di ogni singola impresa, ma al contempo diffondono e moltiplicano la dipendenza dall’industria della difesa come sistema integrato.

È in questo senso che l’investimento negli ETF della difesa si configura come un gesto paradigmatico della contemporaneità: un atto che riflette il paradosso di un mondo in cui la pace è una promessa fragile e la guerra una presenza costante, e in cui il capitale trova proprio nel settore militare una delle sue espressioni più potenti e controverse. Il capitale si fa quindi parte attiva, pur indiretta, di una rete che intreccia innovazione tecnologica e controllo politico, profitto e distruzione, pace apparente e conflitto latente.

D’altra parte, la crescita di questi strumenti ha portato alla nascita di un nuovo mercato finanziario che, pur essendo altamente specializzato, è diventato accessibile anche a investitori privati, piccoli e medi, che cercano nei settori della difesa un’opportunità di diversificazione e rendimento. Questa democratizzazione dell’accesso, però, non significa affatto una riduzione delle contraddizioni che il settore porta con sé. Al contrario, essa implica una maggiore complicità diffusa e una complessificazione delle responsabilità: investire in ETF della difesa è oggi un gesto che coinvolge non solo le élite finanziarie, ma anche una parte più ampia della società civile, che si trova così immersa in una rete di relazioni e implicazioni etiche che difficilmente può ignorare.

Le questioni etiche legate all’investimento nella difesa non possono essere separate dalla riflessione più ampia sul ruolo della finanza nella società contemporanea. Gli ETF, pur essendo strumenti finanziari, sono dispositivi che contribuiscono a plasmare la realtà politica e sociale, trasformando le tensioni geopolitiche in prodotti finanziari negoziabili, in flussi di capitale che influenzano le strategie degli stati e delle multinazionali. Investire in questi fondi significa quindi assumere una posizione non neutrale, partecipare a un sistema che non solo riflette ma anche produce la realtà della guerra e della sicurezza globale.

Non stupisce, dunque, che molti fondi etici e sostenibili tendano a escludere dal proprio portafoglio aziende del settore difesa, evidenziando come la responsabilità sociale e ambientale si scontri con la logica implacabile del mercato militare. Tuttavia, questa esclusione non è semplice o univoca: esistono fondi pensione e altre forme di investimento a lungo termine che, riconoscendo la rilevanza strategica e la solidità finanziaria di queste aziende, continuano a includerle nei propri asset, in un compromesso che riflette le ambiguità della modernità e la complessità del rapporto tra economia e politica.

La dinamica degli ETF si innesta dunque in un sistema più ampio di contraddizioni e tensioni, che attraversano il campo della sicurezza internazionale, la produzione industriale e il mercato finanziario. Gli investimenti nel settore della difesa non sono mai puramente economici: sono parte di un gioco di potere che si dispiega su più livelli, dove la produzione di armi e tecnologie militari è inseparabile dalla loro commercializzazione e dalla costruzione di un ordine globale che resta fondato sulla minaccia della violenza.

All’interno di questa rete complessa, l’innovazione tecnologica occupa un ruolo centrale. La capacità di sviluppare sistemi avanzati – droni autonomi, missili intelligenti, guerre elettroniche – non solo definisce la competitività delle aziende, ma rappresenta una forma di potere che si traduce immediatamente in influenza politica e capacità strategica. Le aziende che investono in ricerca e sviluppo possono così accrescere il loro peso nel mercato, aumentare il valore delle proprie azioni e rafforzare la loro posizione nei confronti dei governi e degli investitori. Gli ETF, aggregando queste aziende, riflettono questa dinamica in un flusso costante di crescita e innovazione, ma anche di incertezza e rischio.

Questa incertezza si manifesta nelle oscillazioni del mercato, che spesso reagisce in modo immediato a eventi geopolitici imprevisti, come escalation militari, crisi diplomatiche o variazioni nei programmi di spesa dei governi. Gli ETF della difesa, pertanto, sono strumenti sensibili alle trasformazioni del contesto internazionale, rendendo visibile nel prezzo azionario l’invisibile tensione tra pace e guerra. In questa luce, l’investitore non è mai un semplice speculatore, ma un attore coinvolto in un processo che ha ripercussioni molto più ampie, fino a toccare la sicurezza globale e la stabilità politica.

Il crescente interesse verso questi ETF ha generato una proliferazione di prodotti finanziari simili, che si differenziano per composizione, focus geografico e strategie di investimento. Alcuni fondi puntano a includere anche aziende che operano in ambiti tecnologici affini, come la sicurezza informatica o i sistemi satellitari, ampliando così la definizione di industria bellica e moltiplicando le connessioni tra diverse aree strategiche. Questo allargamento contribuisce a rafforzare la centralità del settore nella struttura globale del capitale, rendendo l’ETF non solo uno strumento di investimento, ma un dispositivo politico e tecnologico.

In questo quadro, la posizione degli stati assume una rilevanza particolare. I governi sono i principali clienti e regolatori del settore, e la loro politica influisce direttamente sulle performance delle aziende e, di conseguenza, sul valore degli ETF. Le decisioni di aumentare o ridurre le spese militari, le scelte strategiche in ambito internazionale, le sanzioni o le alleanze, diventano fattori determinanti per la stabilità e la crescita del mercato. Gli investitori, quindi, devono monitorare costantemente non solo i dati finanziari, ma anche gli sviluppi politici e militari, in un intreccio che dissolve i confini tra economia e geopolitica.

Questa sovrapposizione di dimensioni rende l’ETF della difesa un oggetto estremamente complesso, un nodo in cui si incontrano interessi molteplici e spesso contraddittori. La fluidità dello strumento, che sembra offrire una semplificazione e una democratizzazione dell’accesso, nasconde infatti una rete di interdipendenze e implicazioni che richiedono una consapevolezza critica da parte degli investitori. Non si tratta più solo di valutare rischi finanziari, ma di confrontarsi con la realtà di un mondo in cui la produzione di armi e la speculazione finanziaria sono indissolubilmente legate.

L’analisi degli Exchange Traded Funds nel settore della difesa ci invita a riflettere sulla natura stessa del capitale contemporaneo, che trova nella guerra non solo una fonte di profitto, ma una condizione strutturale di esistenza. Gli ETF, in quanto strumenti finanziari, non sono meri mediatori, ma agenti attivi in un sistema che si configura come un dispositivo di potere globale, dove economia, tecnologia e conflitto si intrecciano in modo indissolubile.

Così, il mercato finanziario non si presenta più come un’entità astratta e autonoma, ma come un campo di battaglia simbolico e reale, dove ogni azione di investimento assume un significato politico e morale, dove la finanza diventa parte della macchina che produce e riproduce le condizioni di un mondo diviso tra pace apparente e guerra permanente. Gli ETF della difesa, dunque, non sono semplicemente strumenti di investimento, ma testimonianze di un’epoca in cui la separazione tra economia e politica, tra mercato e violenza, si è dissolta in un groviglio inestricabile di potere e di rischio.

 

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