A cura di Ottavia Scorpati
Caos in Cosmo attraverso l’assimilazione e la digestione delle essenze primordiali.
Nel principio primordiale, quando ancora il pensiero non distingueva nulla e nessun senso poteva articolarsi, si stendeva il Ginnungagap, un vuoto che non era semplice assenza né mera oscurità o luce, ma un campo di possibilità potenziali, un crogiolo di forze sospese in un equilibrio instabile, una matrice vibrante di energia indifferenziata pronta a manifestarsi. Questo spazio liminale non si definiva attraverso le categorie ordinarie di esistenza o non esistenza, bensì rappresentava un terreno fertile per la nascita e la trasformazione, un palcoscenico dove il caos primordiale si mescolava con l’ordine in attesa di nascere. Da questo scenario emerge la Teoria dell’Alimentazione Metafisica Cosmica, secondo cui la realtà non si struttura attraverso un semplice atto creativo, ma attraverso un continuo processo di nutrizione e assimilazione di energie primarie che trascendono la materia e il tempo.
Secondo questa teoria, le divinità norrene non si nutrono di cibo nel senso umano, ma traggono la loro forza vitale da un processo di ingestione e trasformazione delle essenze cosmiche elementari — ghiaccio, fuoco, sale, vapore, suono — che non sono sostanze isolate, ma modi di manifestarsi del principio stesso dell’esistenza. Il nutrimento divino è un atto di continua trasmutazione: non è consumo fine a sé stesso, ma un processo attraverso cui l’universo si rigenera e si ordina. Il pasto degli dèi è l’atto stesso di mantenere l’equilibrio tra forze contrapposte, un equilibrio che pulsa tra i poli energetici di Niflheimr, il regno del gelo e del silenzio, e Múspellsheimr, il regno del fuoco e del fragore. Qui, questi opposti non sono solo elementi naturali ma fonti di energia primigenia da assimilare e riequilibrare.
In questo contesto, Ymir non è una semplice creatura nata dall’incrocio casuale di caldo e freddo, ma il primo nutrimento universale, la sostanza caotica e primordiale che gli dèi devono assimilare per dar forma e ordine al mondo. Ymir rappresenta il grande “piatto cosmico”, il serbatoio delle potenzialità non ancora organizzate, un organismo vivente di materia e energia da digerire in senso metafisico. L’atto di uccidere Ymir non è un gesto di distruzione, ma il primo rituale di assimilazione del caos, un’alchimia divina che trasforma la sua carne in terra fertile, le ossa in montagne, il sangue in mari, il cranio in cielo, i capelli in foreste. Ogni parte del corpo di Ymir diviene così un principio ordinatore, una legge fisica e ontologica che struttura il cosmo: non solo materia, ma simbolo e funzione, ogni “boccone” rappresenta una tessera della realtà riformulata dall’atto del nutrimento.
Ma creare il mondo non basta: è necessario anche mantenerne l’equilibrio, ed è qui che entra in scena Auðhumla, la mucca cosmica, figura cardine della raffinazione e della purificazione energetica. Il suo leccare i cristalli di sale dei ghiacci di Niflheimr è il primo atto di degustazione divina, un processo di estrazione della coscienza nascosta nella materia congelata. Dal gesto apparentemente semplice del leccare nasce Búri, la coscienza primordiale, la cristallizzazione della volontà e dell’intelligenza che darà origine alla stirpe degli dèi. Questo processo è la dimostrazione che il gusto divino non è semplice percezione ma atto creativo, genealogico e cognitivo: attraverso la degustazione il divino genera sé stesso, crea una linea di discendenza fatta di coscienza e consapevolezza.
Odino, Vili e Vé, discendenti di Búri, sono i primi “palati cosmici”, i primi chef divini in grado di trasformare il Caos in Cosmo, non come artigiani che costruiscono meccanicamente, ma come assimilatori che interiorizzano, metabolizzano e risputano ordine. Il mondo nasce dunque da una digestione simbolica, un processo ciclico e dinamico in cui ogni atto di nutrimento corrisponde a un’azione di regolazione cosmica. La creazione dell’umanità, rappresentata da Ask e Embla, segue lo stesso principio: non un semplice modellare la materia, ma una fermentazione spirituale in cui il legno, vettore sensoriale di questa trasmissione gustativa, viene imbevuto di essenze divine e trasforma l’inanimato in vivente, il silenzio in coscienza, la materia in anima. Odino dona il respiro come un aroma cosmico, Vili la volontà come fame metafisica, Vé i sensi come strumenti di assaggio del mondo. L’uomo diventa così estensione del divino, un esploratore del gusto esistenziale, un recettore e ricettacolo delle frequenze energetiche cosmiche.
Il mondo di Miðgarðr, costruito con le sopracciglia di Ymir, è il confine sensoriale e ontologico che separa il digeribile dall’indigeribile, l’ordinato dal caotico, la materia raffinata dall’impurità originale. Esso è uno stomaco simbolico, un organismo complesso in cui ogni evento umano — guerra, amore, scoperta — è una trasformazione digestiva, una rielaborazione degli impulsi divini riflessi nella realtà terrena. Il Ragnarǫk, secondo questa visione, rappresenta un’indigestione collettiva e finale, una crisi di equilibrio in cui le energie accumulate diventano tossine che portano il corpo cosmico alla rottura e alla disgregazione. Gli dèi non combattono solo tra loro, ma contro il rigetto di ciò che non possono più assimilare. Questa catastrofe è però solo la fase terminale di un ciclo metabolico: la morte del vecchio lascia spazio a una nuova nascita, una digestione completata che produce una terra più pura, fertile, capace di sostenere nuove forme di vita. I superstiti come Líf e Lífþrasir sono i nuovi enzimi, portatori di un gusto rinnovato e di nuove capacità di assorbire e trasformare il reale.
Ogni mito norreno si rivela così come una ricetta alchemica, ogni divinità un cuoco sacro, ogni gesto divino un atto di assaporamento e trasformazione. Non esiste divinità che non debba digerire per esistere, non esiste realtà che non sia stata prima assaporata e interiorizzata. L’essere umano, fatto di legno e spirito, è il palato terreno del divino, chiamato non solo a vedere ma a percepire il mondo con il gusto dell’anima, una sensibilità capace di comprendere la complessità della realtà attraverso un banchetto simbolico ininterrotto. La vita stessa è una lunga festa metafisica in cui chi non assapora resta carne cruda, destinata al fuoco sacro della trasformazione.
L’alimentazione divina non è materiale ma ontologica, è un processo di assimilazione e trasmutazione delle frequenze energetiche che mantengono l’ordine cosmico. Odino, Vili e Vé non sono solo creatori, ma cuochi e alchimisti dell’esistenza: Odino si nutre di saggezza e sacrificio, trasformando il dolore in magia e parola sacra; Thor assorbe la forza del tuono e del fulmine, incarnando la giustizia e la violenza cosmica; Frigg si alimenta del tempo e del destino, captando le sfumature del futuro. Gli Æsir rappresentano una dieta spirituale fatta di controllo e ordine, i Vanir una dieta di fertilità e ciclicità. I banchetti divini, come quello precedente al Ragnarǫk, sono momenti di bilanciamento e rigenerazione, digestione collettiva delle energie che preparano l’universo a rinnovarsi. Il digiuno che segue la caduta degli dèi è una pausa metabolica necessaria, un reset che apre la strada a un nuovo ciclo di assimilazione e creazione.
La mitologia norrena si mostra così come una mappa simbolica che intreccia mito e realtà, un modello ontologico in cui il mondo nasce da un sacrificio di assimilazione, l’ordine emerge dal caos digerito, e il tempo si manifesta come un eterno processo digestivo e rigenerativo. L’essere umano, nato da legno e spirito, è chiamato a partecipare a questa grande tavola cosmica, a percepire con il gusto dell’anima ciò che va oltre la semplice vista, ad assaporare il significato nascosto dietro ogni evento e trasformazione. La vita è un banchetto infinito, una danza tra materia e spirito, dove chi non assapora resta crudo, in attesa del fuoco sacro che trasforma, purifica e rinnova l’essere.