Il Bazooka dell’UE
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
A cura di Agostino Agamben
Strategie, conflitti in un mondo molto piccolo, come l’Unione Europea affronta le guerre commerciali e difende la propria economia tra protezionismo e diplomazia.
L’Unione Europea, nel corso della sua lunga e tormentata storia economica, ha affrontato numerose crisi commerciali, ciascuna delle quali ha sollevato interrogativi fondamentali non solo sul suo futuro economico, ma anche sulla sua identità politica e geopolitica. La strategia commerciale europea, densa e articolata, non si limita a essere una risposta a politiche protezionistiche esterne, ma è il riflesso di una riflessione più profonda sulla propria posizione nel contesto globale. L’adozione di misure straordinarie, come il “bazooka commerciale”, e il continuo scambio di dazi e contro-dazi con le grandi potenze economiche, in primis gli Stati Uniti, solleva domande cruciali: qual è il futuro dell’Unione Europea in un sistema economico globale che sembra essere sempre più frammentato e segnato da tensioni geopolitiche?
Nel panorama della politica economica e commerciale dell’Unione Europea, il “bazooka” commerciale rappresenta uno degli strumenti più potenti ma controversi. Questo termine è stato coniato per descrivere una serie di misure di ritorsione che l’Unione può attivare qualora uno Stato terzo adotti politiche commerciali che violino gli accordi internazionali. Ma la sua attivazione non è immediata. La Commissione Europea ha a disposizione quattro mesi per esaminare il comportamento di un Paese straniero e stabilire se tali politiche siano coercitive. In caso affermativo, la Commissione può informare gli Stati membri dell’UE, i quali avranno altre otto-dieci settimane per esprimere la loro opinione. Il meccanismo di attivazione richiede una maggioranza qualificata, il che significa che, sebbene le decisioni siano collettive, il processo è per sua natura lento e complesso.
Secondo il rapporto della Commissione Europea del 2024, l’UE ha affrontato 35 casi di azioni di difesa commerciale da parte di Paesi terzi negli ultimi cinque anni, una media di 7 casi all’anno. Le misure reattive, che spaziano dalla sospensione dei privilegi tariffari a vere e proprie sanzioni economiche, sono spesso messe in campo non solo per difendere le industrie europee da pratiche sleali, ma per preservare l’integrità del mercato interno. La vera domanda, tuttavia, è se il bazooka sia un’arma in grado di dissuadere efficacemente altre economie globali o se, piuttosto, rappresenti un rischio per l’equilibrio economico globale e per la stabilità interna dell’Unione.
Il rischio di escalation è sempre presente. L’utilizzo di misure punitive come i dazi, seppur motivato dalla necessità di difendere i propri interessi, potrebbe dare vita a un circolo vizioso di ritorsioni reciproche. I settori sensibili dell’economia europea, come quello automobilistico, agricolo, aerospaziale e dei macchinari, potrebbero subire danni significativi. Per esempio, i dati mostrano che l’industria automobilistica dell’UE ha esportato oltre 400 miliardi di euro di veicoli nel 2023, rappresentando circa il 30% del totale delle esportazioni industriali europee. Un aumento dei dazi sulle automobili potrebbe quindi avere un impatto devastante sulle esportazioni, mettendo sotto pressione milioni di posti di lavoro. Il mercato del lavoro dell’UE, che è già fragile dopo la crisi del 2008, potrebbe risentirne pesantemente.
L’economia europea si trova oggi ad affrontare un momento cruciale in cui le politiche fiscali nazionali e quelle comuni si intrecciano in un gioco di potere sottile e complesso. La continua divergenza tra i Paesi dell’Eurozona, con le economie più forti come quella tedesca e quelle più vulnerabili come quelle del sud Europa, crea una tensione permanente che rende difficile adottare politiche fiscali comuni. L’adozione di misure come il bazooka commerciale amplifica queste differenze, poiché richiede una cooperazione tra Stati che non sempre è garantita.
Nel 2023, il PIL dell’Eurozona ha registrato una crescita dell’1,6%, un dato che nasconde profonde disuguaglianze tra i vari Paesi membri. La Germania ha visto una crescita moderata dello 0,6%, mentre l’Irlanda ha registrato una crescita robusta del 6%. La disomogeneità economica tra i Paesi dell’Eurozona rende particolarmente complesso il compito della Banca Centrale Europea (BCE), che deve garantire politiche monetarie che possano soddisfare esigenze diversificate.
La BCE ha compiuto otto riduzioni dei tassi di interesse dal 2020, con l’ultimo taglio avvenuto nel giugno del 2024. Il tasso di interesse sui depositi è sceso al -0,5%, una misura che ha permesso di mantenere la liquidità nell’economia, ma che non ha ancora prodotto un rimbalzo significativo della crescita economica. Inoltre, l’inflazione ha mostrato segnali di stabilizzazione, ma le previsioni per il 2025 indicano che l’Eurozona potrebbe essere ancora lontana dal raggiungere l’obiettivo della BCE di un’inflazione inferiore al 2%. Le previsioni dell’OCSE per il 2025 suggeriscono che la crescita economica dell’Eurozona potrebbe rallentare ulteriormente, fermandosi a una crescita dello 0,8%, con l’inflazione che dovrebbe attestarsi attorno al 3%.
L’UE, di fronte a queste sfide, si trova intrappolata in una contraddizione: da un lato, il bisogno di proteggere le proprie industrie attraverso misure protezionistiche come i dazi; dall’altro, il desiderio di evitare l’escalation economica che potrebbe danneggiare le stesse economie interne.
Il contesto internazionale ha reso il quadro ancora più complesso. La politica commerciale di Donald Trump, incentrata su misure unilaterali come l’imposizione di dazi sui prodotti cinesi e europei, ha spinto l’UE a rivedere le proprie politiche commerciali. Il famoso accordo commerciale con il Giappone, che prevede tariffe reciproche del 15% sulle esportazioni di automobili, è solo uno degli esempi di come le politiche unilaterali possano alterare gli equilibri economici globali.
Nonostante l’apparente successo di questi accordi bilaterali per il Giappone, le critiche non sono mancate. Secondo le stime della European Automobile Manufacturers’ Association (ACEA), un aumento dei dazi sulle automobili prodotte in Europa potrebbe comportare una perdita di circa 200.000 posti di lavoro nel settore automobilistico europeo. La risposta dell’UE, con il cosiddetto “bazooka commerciale”, è in parte una reazione a queste politiche. Tuttavia, le misure di ritorsione potrebbero non essere sufficienti a invertire la tendenza: la posizione dominante della Cina e degli Stati Uniti nei mercati globali rimane una forza troppo potente per essere contrastata unilateralmente.
L’escalation delle guerre commerciali tra i grandi attori economici rischia di minare ulteriormente la stabilità dell’economia globale. I dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI) rivelano che la crescita globale nel 2024 è prevista fermarsi al 2,9%, il livello più basso dal 2008, a causa delle incertezze geopolitiche, delle guerre commerciali e dei conflitti regionali. In questo contesto, l’UE è chiamata non solo a difendere le proprie economie, ma anche a ripensare il proprio ruolo come attore globale. La sua dipendenza dalle importazioni di materie prime, la vulnerabilità del settore tecnologico e la concorrenza da parte di economie emergenti pongono interrogativi sul suo futuro nel sistema commerciale globale.
L’influenza delle politiche di Trump non si limita ai dazi, ma si estende anche alle politiche monetarie. Se da un lato l’UE ha dovuto affrontare le misure unilaterali degli Stati Uniti, dall’altro ha dovuto fare i conti con l’orientamento della Federal Reserve, che ha aumentato progressivamente i tassi di interesse nel tentativo di contenere l’inflazione. Questi aumenti hanno avuto un impatto diretto sull’economia globale, facendo crescere i costi del debito e influenzando negativamente le esportazioni europee.
Nel contesto europeo, la BCE si trova costretta a rispondere a questi sviluppi con misure che non sempre sono in grado di bilanciare gli effetti collaterali. L’adozione di politiche monetarie espansive ha rallentato l’inflazione, ma ha anche portato a una maggiore dipendenza dalle politiche fiscali nazionali, che variano notevolmente da un Paese all’altro. Il risultato è un’ulteriore frammentazione economica all’interno dell’Eurozona.
L’Unione Europea si trova di fronte a una serie di sfide economiche e geopolitiche senza precedenti. La sua capacità di rispondere in modo efficace dipende dalla sua capacità di mantenere un equilibrio tra protezione e apertura, tra difesa delle proprie industrie e partecipazione attiva nel sistema commerciale globale. Mentre il bazooka commerciale rappresenta una potenziale risposta forte alle politiche protezionistiche, la sua attivazione potrebbe, al contrario, alimentare una spirale di ritorsioni che minacciano la stessa integrità dell’economia europea.
La vera sfida per l’UE non è solo quella di utilizzare le proprie armi commerciali, ma di progettare una strategia che consenta di riaffermare la propria posizione nel mondo, proteggendo le sue economie interne senza compromettere la stabilità del commercio globale. Il futuro della politica commerciale europea, come quello dell’economia globale, è incerto, ma l’UE dovrà navigare tra le acque tempestose delle rivalità internazionali con una visione chiara e una determinazione che, fino ad oggi, non è stata mai messa davvero alla prova.