
“Il Paradosso Energetico dell’Italia”
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
A cura di Agostino Agamben
L’Italia si trova in un equilibrio precario tra la necessità di mantenere la sicurezza energetica, ancora fortemente legata al petrolio, e gli ambiziosi obiettivi della transizione verso un’economia verde. Nonostante gli sforzi per incrementare le energie rinnovabili e ridurre le emissioni, il paese è ancora intrinsecamente dipendente dalle risorse fossili, con una costante riflessione politica ed economica. Le oscillazioni dei prezzi energetici, la difficoltà di diversificare le forniture e le carenze infrastrutturali ostacolano un’effettiva indipendenza energetica. In questo contesto, la vera sostenibilità energetica per l’Italia sembra lontana, mentre l’influenza globale dei petrodollari continua a dominare l’agenda politica ed economica.
La dipendenza dalle risorse fossili, in particolare dal petrolio, non è più solo una questione legata alla sfera energetica, ma anche un nodo centrale della geopolitica, della strategia economica e della sostenibilità a livello globale. Nonostante gli sforzi verso la transizione energetica e la promozione della Green Economy, i dati e gli eventi recenti suggeriscono che il petrolio rimane al centro dell’economia globale, come simbolo di potere economico e politico, e le risorse fossili continuano a essere una parte insostituibile delle economie mondiali. La cosiddetta “transizione energetica”, tanto promossa in queste ultime due decadi, sembra essere rallentata da una serie di fattori economici, geopolitici e tecnologici. Ma è davvero possibile abbandonare il petrolio? E se sì, quanto tempo ci vorrà prima che il mondo possa fare davvero a meno delle risorse fossili? L’attuale crisi energetica, unita alle sfide economiche globali e alle turbolenze geopolitiche, porta a una riflessione fondamentale sul futuro delle politiche ambientali e sul ruolo del petrolio nel contesto globale. Questo articolo esplorerà, in modo approfondito, i vari aspetti di questa questione, con particolare attenzione all’attuale ritorno dei petrodollari, alla dipendenza economica, e all’illusione di una Green Economy che sembra sempre più lontana.
Il concetto di “petrodollaro” fa riferimento all’utilizzo del dollaro statunitense per il commercio internazionale di petrolio. Questo sistema è stato istituito a partire dagli anni ’70, quando gli Stati Uniti raggiunsero un accordo con l’Arabia Saudita (e altre nazioni del Golfo) affinché il petrolio venisse venduto esclusivamente in dollari. Tale accordo ha conferito al dollaro un ruolo dominante nei mercati internazionali, creando una relazione diretta tra energia, potere economico e politica internazionale.
Oggi, i Paesi produttori di petrolio, tra cui Arabia Saudita, Russia, e altri Stati del Medio Oriente, continuano a svolgere un ruolo fondamentale non solo nell’offrire energia, ma nel determinare le politiche monetarie e gli scambi economici a livello globale. Nonostante l’aumento degli sforzi verso una maggiore indipendenza energetica, l’orientamento delle politiche mondiali è ancora fortemente influenzato dal flusso di petrodollari. Una prova tangibile di questa continua centralità del petrolio è la crescente dipendenza degli Stati Uniti dalle esportazioni di energia fossile.
Secondo i dati del U.S. Energy Information Administration (EIA), nel 2023 gli Stati Uniti sono diventati il maggior esportatore netto di energia del mondo, grazie alla crescita esponenziale delle esportazioni di petrolio e gas naturale. Le esportazioni di petrolio greggio degli Stati Uniti hanno raggiunto 3,8 milioni di barili al giorno, un aumento significativo rispetto ai circa 2 milioni nel 2019. Questo ha permesso agli Stati Uniti non solo di ridurre la loro dipendenza da altre nazioni produttori di energia, ma di acquisire un ruolo sempre più rilevante nei mercati internazionali, diventando uno dei principali concorrenti della Russia e dell’Arabia Saudita nel mercato globale del petrolio.
L’interconnessione tra energia, geopolitica ed economia è evidente in vari scenari. In Europa, ad esempio, l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha portato a una ristrutturazione forzata delle rotte energetiche, con una forte accelerazione verso l’uscita dalle forniture di gas e petrolio russi. Tuttavia, questo processo non è stato né rapido né privo di contraddizioni. L’Europa, pur cercando di diversificare le sue fonti energetiche, ha continuato ad acquistare gas liquefatto (GNL) dalla Russia anche durante i momenti di tensione, segnalando la difficoltà di distaccarsi completamente da Mosca, almeno nel breve periodo.
Secondo i dati di Eurostat, nel 2022, l’Unione Europea ha acquistato circa il 35% del suo gas naturale dalla Russia. Questo dato è stato in parte ridotto nei mesi successivi, ma il GNL russo ha continuato a raggiungere i porti europei, anche dopo le sanzioni. Paesi come la Germania e l’Italia hanno dovuto fare affidamento su forniture di gas liquefatto provenienti da altri Paesi, come gli Stati Uniti, il Qatar e l’Australia, ma non senza sfide. La Commissione Europea ha dichiarato che l’Europa intende ridurre a zero le importazioni di gas russo entro il 2027, ma questo obiettivo sembra essere lontano dall’essere raggiunto.
Anche se il petrolio sembra giocare un ruolo meno diretto nelle tensioni geopolitiche recenti rispetto al gas naturale, la sua centralità nell’economia globale non può essere sottovalutata. Le politiche energetiche di molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita, ruotano attorno a un controllo strategico sulle risorse fossili. Ad esempio, nel 2023, la produzione di petrolio della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera di stato saudita, è stata di circa 12 milioni di barili al giorno, facendo dell’Arabia Saudita il principale esportatore mondiale di petrolio. La sua influenza sull’OPEC e sul mercato petrolifero globale è immensa, e le politiche saudite in materia di produzione e prezzi del petrolio hanno un impatto diretto su economie come quelle degli Stati Uniti, della Cina e dell’Europa.
Nonostante le difficoltà e le contraddizioni legate al petrolio e alla dipendenza da risorse fossili, la transizione verso un modello di Green Economy è ancora un obiettivo ambizioso per molti governi e organizzazioni internazionali. La Green Economy, infatti, si propone di ridurre progressivamente l’impatto ambientale delle attività umane, promuovendo energie rinnovabili, efficienza energetica e sostenibilità. Tuttavia, i progressi in questo settore sono stati più lenti di quanto previsto, e la realtà sembra contraddire le promesse di una rapida transizione verso fonti energetiche alternative.
Secondo i dati forniti dall’International Energy Agency (IEA), le energie rinnovabili rappresentano oggi circa il 29% del mix energetico globale, con un forte aumento nell’adozione di solare ed eolico. Tuttavia, sebbene le rinnovabili stiano guadagnando terreno, la crescita delle fonti fossili non è ancora stata arrestata. Nel 2022, la domanda globale di petrolio ha raggiunto i 102,3 milioni di barili al giorno, un aumento significativo rispetto ai 91,3 milioni di barili al giorno del 2011, con una proiezione di crescita ulteriore nel corso del prossimo decennio.
Non solo la crescita della domanda di energia fossile continua a essere forte, ma la transizione verso fonti rinnovabili è ostacolata anche dalle difficoltà economiche legate agli investimenti necessari e dalle sfide logistiche. Il costo di costruzione di impianti di energia solare e eolica è ancora elevato in molti Paesi, e la produzione e il consumo di energia rinnovabile non sono sempre sufficienti a soddisfare la domanda, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. A ciò si aggiungono i limiti legati alla capacità di stoccaggio dell’energia e alla variabilità delle fonti rinnovabili, che non sono sempre in grado di garantire una fornitura stabile di energia.
In Europa nonostante l’accelerazione della transizione, la quota di energia rinnovabile è rimasta inferiore al 50% nel 2022, secondo i dati di Eurostat, e il passaggio a un modello completamente sostenibile potrebbe richiedere decenni, se non secoli, in alcune regioni. Inoltre, la carenza di infrastrutture per il trasporto e la distribuzione di energia da fonti rinnovabili è un altro fattore limitante, che rende difficile integrare efficacemente la produzione di energia rinnovabile nel sistema elettrico.
Un altro elemento chiave in questa discussione è il legame tra petrolio e debito pubblico, in particolare negli Stati Uniti, dove la gestione del debito pubblico è una questione centrale. Gli Stati Uniti, pur avendo ridotto la loro dipendenza dalle importazioni di energia fossile, continuano a mantenere una posizione preminente nel mercato globale grazie alla produzione interna di petrolio, che ha raggiunto i 12 milioni di barili al giorno nel 2023. Nonostante ciò, il debito pubblico americano continua a crescere, con il rapporto debito/PIL che ha raggiunto il 120% nel 2024.
Le economie petrolifere, come quella saudita, russa e venezuelana, hanno una dipendenza simile dalla produzione e esportazione di petrolio, e le loro politiche economiche sono fortemente influenzate dal flusso di petrodollari. Tuttavia, mentre il petrolio continua a garantire loro enormi ricchezze, il modello economico basato sul petrolio è sempre più vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi internazionali e ai cambiamenti nelle politiche energetiche globali. La vulnerabilità delle economie dei Paesi produttori di petrolio è emersa chiaramente durante la pandemia di COVID-19, quando la domanda globale di petrolio è crollata e i prezzi del petrolio hanno toccato livelli storicamente bassi.
Le economie dei Paesi produttori di petrolio si trovano spesso a dover fare i conti con una crescita del debito pubblico, che cresce esponenzialmente quando i ricavi da petrolio calano a causa di un abbassamento dei prezzi o della diminuzione della domanda. Ad esempio, la Venezuela, uno dei principali Paesi esportatori di petrolio al mondo, ha vissuto una grave crisi economica a partire dal crollo dei prezzi del petrolio nel 2014, che ha esacerbato un debito pubblico insostenibile e ha portato a una grave carenza di beni essenziali, inflazione e disoccupazione.
L’illusione di una rapida transizione verso la Green Economy è stata fortemente alimentata da politiche internazionali come l’Accordo di Parigi (2015), che mirano a ridurre le emissioni globali di gas serra e a contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, gli ostacoli alla realizzazione di questi obiettivi sono molteplici. Sebbene le politiche ambientali siano sempre più ambiziose, con Paesi come la Norvegia e la Svezia che si pongono come obiettivo l’uscita dai combustibili fossili entro il 2030, la realtà economica e politica globale è ben più complessa.
Il prezzo del petrolio ha un impatto diretto sul benessere delle economie globali. Quando i prezzi del petrolio aumentano, il costo di produzione di beni e servizi cresce, portando ad un’inflazione che può rallentare la crescita economica e aumentare la povertà. Il World Bank ha riportato che un aumento di 10 dollari al barile nel prezzo del petrolio può ridurre il PIL globale di circa lo 0,1-0,2%. Questo è un fattore particolarmente rilevante per i Paesi in via di sviluppo, che sono i più vulnerabili agli aumenti dei prezzi energetici e che dipendono pesantemente dall’importazione di energia.
Infrastruttura necessaria per supportare la Green Economy è costosa e difficile da implementare a livello globale. Nonostante gli investimenti nelle energie rinnovabili siano aumentati negli ultimi anni, secondo l’International Renewable Energy Agency (IRENA), nel 2022 gli investimenti nelle energie rinnovabili hanno raggiunto circa 330 miliardi di dollari a livello globale, ma questo non è sufficiente per affrontare la sfida della transizione energetica su scala mondiale. La realizzazione di impianti solari, eolici e idroelettrici richiede enormi investimenti in tecnologia, in ricerca e sviluppo, e in infrastrutture di trasporto e stoccaggio dell’energia, che sono attualmente insufficienti a garantire un passaggio fluido a una nuova economia energetica.
Anche la produzione di veicoli elettrici (EV) ha fatto significativi progressi, ma rimane lontana dal raggiungere la penetrazione di mercato necessaria per sostituire completamente i veicoli a combustione interna. Sebbene le vendite di auto elettriche siano aumentate del 55% nel 2021, come riportato dall’International Energy Agency, i veicoli elettrici rappresentano solo circa il 10% delle vendite globali di automobili. Il costo delle batterie, l’accessibilità delle infrastrutture di ricarica e la disponibilità di metalli rari per la produzione delle batterie rimangono ostacoli significativi a una diffusione di massa dei veicoli elettrici.
I Paesi emergenti e in via di sviluppo, che, pur desiderando adottare energie rinnovabili, si trovano a dover fare i conti con la povertà energetica. Secondo il Global Energy Monitor, circa il 10% della popolazione mondiale vive ancora senza accesso a elettricità, mentre circa il 30% della popolazione globale ha accesso a una fornitura di energia insufficiente per soddisfare le sue necessità di base. In molti di questi Paesi, la Green Economy è vista come una priorità secondaria rispetto alla soddisfazione delle necessità primarie come l’accesso all’energia, al cibo e all’acqua potabile. Per tali Paesi, la transizione energetica rischia di essere troppo costosa e tecnicamente complessa, e potrebbero dipendere ancora per decenni dalle risorse fossili per soddisfare la domanda interna di energia.
L’adozione di politiche energetiche che favoriscano la Green Economy può anche avere conseguenze sociali ed economiche inaspettate, soprattutto per le popolazioni che dipendono direttamente dalla produzione di petrolio e carbone. I lavoratori del settore estrattivo e le comunità che vivono in zone in cui l’industria fossile è il principale motore economico sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti delle politiche energetiche.
Paesi produttori di carbone come gli Stati Uniti (in particolare negli Stati delle Montagne Rocciose) e l’Australia, la transizione verso le energie rinnovabili rischia di provocare una disoccupazione massiccia, in quanto la domanda di carbone sta diminuendo a causa delle normative ambientali più severe. Secondo uno studio della Brookings Institution, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio potrebbe causare la perdita di circa 1,4 milioni di posti di lavoro nei settori legati ai combustibili fossili negli Stati Uniti entro il 2030, mentre i Paesi in via di sviluppo potrebbero trovarsi a dover affrontare sfide ancora più gravi, senza un sistema di welfare sociale adeguato a supportare i lavoratori disoccupati.
Il ritorno dei petrodollari e la fine della Green Economy non sono solo fenomeni economici e politici, ma rappresentano anche il fallimento di un’illusione di sostenibilità che si è rivelata più complessa da realizzare di quanto previsto. Nonostante i progressi tecnologici e le politiche ambientaliste adottate da molti Paesi, la realtà globale è che il petrolio e i combustibili fossili continuano a dominare l’economia mondiale. Le sfide legate alla transizione energetica, agli investimenti infrastrutturali e agli effetti sociali ed economici delle politiche energetiche rendono difficile immaginare un passaggio rapido e fluido verso una Green Economy.
Incertezza politica, le fluttuazioni dei prezzi energetici e la crescente domanda di energia a livello globale continueranno a mantenere il petrolio e altre risorse fossili al centro della scena economica internazionale per ancora molti anni. Le soluzioni future potrebbero richiedere un equilibrio complesso tra l’adozione di tecnologie rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica e la gestione sostenibile delle risorse fossili, un equilibrio che richiederà una cooperazione globale senza precedenti e una visione strategica a lungo termine.
Per fare veramente progressi nella transizione energetica, il mondo dovrà affrontare in modo serio non solo le tecnologiche, ma anche quelle economiche, politiche e sociali. L’illusione di una rapida e totale indipendenza dal petrolio è ormai scomparsa, e la realtà ci costringe a una riflessione più pragmatica sulla nostra capacità di costruire un futuro sostenibile, ma anche sul prezzo che saremo disposti a pagare per questa trasformazione.