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L’Italia In mezzo al guado

….UN PAESE INCAPACE A TROVARE UNA VIA D’USCITA

di Torquato Cardilli*

Vorrei sgombrare il campo da eventuali sospetti di simpatia verso il Governo o di approvazione della sua politica.  Ne sono distante su principi fondamentali, come i capisaldi della Costituzione, costantemente violati o fatti scivolare in fondo nella lista delle cose da attuare. Mi riferisco alla politica estera svilita al rango di servente e non adeguata al ruolo internazionale, alla sanità solo per ricchi, alla scuola rimasta indietro, alla ricerca considerata come la Cenerentola della famiglia, …..

…, alla coesione sociale oramai dimenticata, all’equità e alla progressività del sistema fiscale, al welfare familiare inesistente, all’immigrazione illegale, e soprattutto alla giustizia il cui memento, scolpito in tutte le aule di Tribunale “la legge è uguale per tutti”, non vale per le vittime ne tanto meno per i carnefici.

Messe da parte queste differenze quando è in gioco l’interesse del paese bisognerebbe che la nazione sia unita. La nostra politica estera appare a tutti gli effetti afona e piatta, (per la partecipazione o il sostegno o l’assuefazione, a guerre inutili come in Afghanistan, in Ucraina, o nella politica energetica e commerciale con la Cina, non conforme alle esigenze di difesa dell’interesse esclusivo della nazione, secondo la formula sacrale su cui in teoria giurano tutti i ministri. Appare sempre più condizionata da poteri esterni a questa nostra nazione che perseguono obiettivi di supremazia, che pretendono obbedienza assoluta senza contropartite di sorta, come se essere alleato equivalesse a essere vassallo.

Se la Germania è riuscita ad indurre i paesi dell’Unione a farsi carico di finanziare con un fondo di 6 miliardi di euro il Presidente Turco Erdogan con l’incarico di impedire l’afflusso di migranti attraverso la Turchia, non possiamo dire che la nostra Italia, paese mediterraneo più esposto alla marea di immigrati dall’Africa, abbia mostrato la stessa grinta, la stessa capacità negoziale, la stessa fermezza per ottenere una cintura di protezione.
I nostri politici, che appaiono quotidianamente in tv,  non sono capaci di andare al di là di continue lamentele per essere stati lasciati soli dall’Europa e pur facendo in casa la voce grossa, non hanno il coraggio di avanzare a livello internazionale una proposta seria.

Cosa ha in più la Turchia rispetto a noi?  Nulla, anzi ha qualcosa in meno: è paese dell’alleanza atlantica ma non dell’Unione europea, né del G7. Ciò nonostante si permette di giocare al tavolo delle relazioni internazionali con carte a noi sconosciute, con regole proprie, come nel caso della non applicazione delle sanzioni nel confitto Russia-Ucraina, della mediazione sul grano, della politica di interventismo tra fazioni libiche, riempiendo il vuoto lasciato dall’Italia, nel dramma israelo-palestinese.
Il nostro paese è un pilastro essenziale nella UE, nella NATO e nel G7  e deve far valere questa funzione chiedendo in modo fermo la soddisfazione di alcune esigenze vitali senza rimanere costantemente in mezzo al guado, vittima delle intemperie internazionali e delle pressioni di chi intende sovrastarci dimenticando che tra alleati si sta alla pari .

Visto che la politica dei baci e degli abbracci, delle pacche sulle spalle, delle foto di gruppo da scolaresche e delle continue dichiarazioni di principio in inutili vertici a ripetizione, non ha funzionato, (lo ha ammesso candidamente la stessa Meloni nella telefonata farsa), visto che gli alleati storici hanno fatto sempre spallucce dopo aver espresso ipocritamente solidarietà di fronte alle tragedie del mare, la primo ministro si è affannata nel cercare soluzioni di facciata, come il famoso memorandum firmato con il presidente della Tunisia, rimasto lettera morta, una vera beffa.
A nulla sono serviti i viaggi in Tunisia con l’ineffabile Presidente Von der Leyen il cui orizzonte politico vede solo la prosecuzione della guerra in Ucraina, né le entusiastiche dichiarazioni di riscoperta solidarietà a 360 gradi.

Meloni si è allora voltata dall’altra parte, questa volta verso l’Albania, convinta dal Premier Inglese Sunak a non lasciarlo solo nel rinverdire sogni colonialistici. Ha scodellato un memorandum d’intesa abborracciato, messo giù da apprendisti stregoni che poco masticano di diplomazia, di equilibrio dei poteri, del “do ut des” nelle relazioni internazionali, del rispetto delle regole sperando che potesse stare in piedi il piano velleitario di sterilizzare il problema immigrazione.

Che ruolo ha avuto in questo il glorioso “SERVIZIO per gli AFFARI GIURIDICI,
del CONTENZIOSO DIPLOMATICO e dei TRATTATI della FARNESINA”  ? 

C’è da dubitare fortemente delle capacità politiche e delle conoscenze giuridiche di chi l’ha consigliata di percorrere la via dell’intesa riservata, senza voto parlamentare, a totale carico del contribuente italiano, che cozza contro ogni principio di diritto internazionale, di diritto comunitario e persino di diritto costituzionale italiano.
Con il Presidente Tunisino El Sayed promettendo denaro europeo, che non è arrivato, ha cercato invano di arginare il flusso immigratorio dalla Tunisia; ora con il Presidente Albanese Rama tenta la carta antistorica del protettorato. L’Italia ottiene una specie di sovranità extraterritoriale su una porzione di Albania, vi assume potestà giuridica, tutte le spese militari, organizzative, di allestimenti strutturali di centri di raccolta di immigrati, di assistenza, di mantenimento, di trasporto, di sicurezza di polizia in cambio di una piccola valvola di sfogo:
l’esportazione di 3 mila disgraziati (*1/ndr) in attesa di riconoscimento di asilo che potranno restare in Albania per un massimo di 18 mesi al termine dei quali ritorneranno in Italia dove riceveranno l’asilo definitivo o saranno respinti nel loro paese di origine. Se in un anno arrivano 150 mila immigrati a cosa serve deportarne meno del 3%, quando poi comunque bisogna riprenderseli?
Ammesso che il sistema così astruso e costoso riesca a decollare, rappresenterà una goccia rispetto al mare dell’immigrazione, senza offrire nessun, dico nessun contributo alla soluzione del problema, il quale resterà immutato per anni e anni a tutto vantaggio dei mercanti di uomini, che, secondo le dichiarazioni programmatiche e soprattutto elettorali della premier Meloni sarebbero stati perseguiti nell’intero orbe terracqueo.
Il Governo farebbe invece bene a tirare fuori il coraggio di una prova di forza patriottica per obbligare l’Europa ad una redistribuzione obbligatoria pro quota degli immigrati e ad investire somme colossali in Africa.
Fino a quando non ci fosse nei fatti una concreta attuazione di solidarietà europea l’Italia metta da parte l’atteggiamento costantemente prono e remissivo, e dimostri all’Europa e alle Nazioni Unite che non è più disposta a subire.


In politica estera, quando si esauriscono le mediazioni, conta il fatto compiuto.

Se la Libia e la Tunisia non sono capaci o non vogliono fermare le partenze organizzate da bande di scafisti, collusi con i loro poteri centrali, locali e tribali, l’Italia dovrebbe sentirsi autorizzata a applicare sanzioni contro i mandanti, gli aguzzini e i fiancheggiatori dei traffici, dichiarare autonomamente la sospensione degli accordi di Dublino (e non limitarsi alla sospensione di Schengen), estendere temporaneamente i propri confini del mare territoriale anziché entro le 200 miglia di interesse economico esclusivo (art. 53 di Unclos), in modo da arrivare come giurisdizione fino sulla battigia del litorale africano, affidando agli incursori di marina, agli uomini rana, al battaglione San Marco, al battaglione Tuscania, agli specialisti del Consubin e del col Moschin (utilizzati coreograficamente solo per la parata del 2 giugno) il compito di catturare con raid sul posto gli organizzatori dei traffici, sabotando sul nascere ovvero sulla spiaggia ogni natante potenziale traghettatore di esseri umani.

Non ci sarà alcuno spargimento di sangue. Non sarà necessario il “blocco navale” tante volte invocato e minacciato, perché si otterrà il blocco delle partenze con il minimo sforzo, almeno per il tempo che servirà all’Italia e all’Europa per applicare severe misure di contenimento e di gestione del fenomeno.

13 novembre 2023  / foto Internazionale Wired

        ©TORQUATO CARDILLI  *
già Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania,
Arabia Saudita ed Angola dal 1991-2009

(*1/ndr) – Il numero dichiarato dall’autore dovrebbe far riferimento ad ogni singolo mese e, quindi, ad un movimento complessivo di almeno  36.000 persone in un anno.