
La crisi silenziosa del debito dell’Energia
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
a cura Agostino Agamben
L’energia come nuovo debito invisibile tra bollette in crescita, mercato libero e famiglie che consumano meno ma pagano di più, si disegna un panorama di fragilità economica che sfugge allo sguardo immediato.
Nel turbamento delle dinamiche energetiche e nel precipitare delle condizioni economiche, si configura un tempo di passaggio che è al contempo disorientamento e rivelazione. Non è semplicemente una questione di numeri e percentuali, ma un’esposizione del contemporaneo alla propria crisi immanente, un movimento che si svela nelle tensioni fra mercato tutelato e libero, fra prezzi fissi e variabili, fra risparmi bruciati e debiti crescenti, fino alla sostanza più profonda dell’esperienza sociale e politica.
Il prezzo dell’energia, quel valore che sembra definirsi nell’astrazione di un mercato e delle sue leggi, mostra con drammatica evidenza la sua natura di dispositivo biopolitico, di strumento attraverso cui la vita sociale viene governata. La discesa del Prezzo Unico Nazionale (PUN), da valori esorbitanti a livelli più prossimi a quelli pre-crisi, non annulla però la precarietà che permea il sistema: il crollo si accompagna a una stangata annunciata, a una possibile proroga di un mercato tutelato che – lungi dall’essere un mero dettaglio tecnico – si rivela come un residuo, un momento di sospensione, di eccezione normativa che trattiene, limita, rinvia la piena apertura del mercato libero. Questa tensione fra proroga e addio si fa così paradigma di un passaggio non ancora compiuto, di una temporalità sospesa tra ciò che è stato e ciò che sarà.
L’offerta a prezzo fisso, e la sua rinascita, è un gesto di resistenza contro la volatilità del mercato, una forma di rifugio nel caos dei prezzi. Essa incarna la volontà di stabilità, di certezza nel divenire imprevedibile dell’energia, come un dispositivo di difesa soggettiva, ma anche collettiva, contro le dinamiche di un sistema che sempre più sfugge alla governabilità umana. Le offerte ibride, con il loro tetto massimo di prezzo, rappresentano una forma di compromesso, una mediazione fra libertà e controllo, un punto d’incontro fra il rischio e la tutela, fra la flessibilità e la sicurezza. Non è casuale che questa proposta ricordi da vicino le formule dei mutui variabili con cap, un’architettura contrattuale che racchiude in sé la contingenza del mercato e la protezione necessaria al soggetto debitore.
Il passaggio dal mercato tutelato a quello libero non è solo un cambiamento amministrativo o economico; è un evento biopolitico che coinvolge milioni di individui in una nuova forma di soggettivazione. La liberalizzazione, nelle sue molteplici sfumature, mette in moto un processo in cui il consumatore diventa attore, decisionista, ma anche potenziale vittima di un sistema le cui logiche interne rimangono in larga parte opache e inaccessibili. La libertà di scelta si trasforma allora in un peso, in una responsabilità, ma anche in un campo di tensioni e contraddizioni che segnano il confine fra autonomia e dominio.
All’interno di questo scenario, il tema del debito emerge non come fenomeno accessorio, ma come cifra del presente, come modalità attraverso cui il vivere sociale si articola e si condensa. La crescita del debito privato, parallela a quella del debito pubblico, è indicativa di un processo di finanziarizzazione dell’esistenza, di una subordinazione crescente ai circuiti del credito e della dipendenza economica. Le famiglie, in particolare, si trovano intrappolate in un movimento paradossale: da un lato sono costrette a intaccare i propri risparmi, a ridurre la spesa alimentare e non alimentare; dall’altro, sono spinte a indebitarsi sempre di più, in una dinamica di espropriazione progressiva della sicurezza materiale.
Questa configurazione del debito si inserisce in una trama di crisi strutturale che investe il potere d’acquisto, il risparmio, il consumo, e che ha conseguenze dirette sulla tenuta sociale e politica. Le spese crescenti, i consumi che calano, la spesa alimentare ridotta e la rinuncia a beni non essenziali rappresentano non solo un dato economico, ma un sintomo di una tensione sociale che si traduce in precarietà e insicurezza esistenziale. Il debito diventa così una sorta di dispositivo attraverso cui il presente si struttura, un elemento che lega indissolubilmente la dimensione individuale e quella collettiva, la sfera privata e quella pubblica.
Nel loro mutuo intreccio, i dati sull’energia e sul debito si configurano come un’indagine sull’epoca in cui viviamo: un’epoca che si distingue per l’instabilità e la contingenza radicale, per la contraddizione fra l’apparente abbondanza e la realtà della scarsità, fra la promessa di libertà e la realtà della dipendenza. Il mercato libero, con tutte le sue promesse, si mostra allora come un dispositivo che rimanda la questione della giustizia sociale e della redistribuzione a un futuro indefinito, rinviando la domanda decisiva su chi, e in che modo, possa realmente governare le condizioni della vita.
L’appello delle associazioni di consumatori e delle istituzioni alla necessità di interventi urgenti, di misure volte a calmierare i prezzi, a sostenere i redditi, a tutelare il potere d’acquisto, non è solo una richiesta di ordine economico, ma un’esigenza politica, una domanda di nuova legittimazione per un sistema che appare sempre più incapace di garantire condizioni di vita dignitose. L’istanza della tutela si erge così come una forma di resistenza contro la logica implacabile del mercato, contro la spirale del debito e della precarietà.
L’inflazione, il caro prezzi, la crisi dei consumi, il calo delle vendite al dettaglio, si configurano come segnali di un malessere strutturale che investe la società nel suo complesso. Il contrasto fra l’aumento in valore delle vendite e la diminuzione in volume assume un significato più profondo: l’apparenza di una crescita che nasconde un impoverimento reale, un incremento del costo della vita che si traduce in una riduzione delle capacità di consumo e, più in generale, di esistenza.
Questo baratro che si apre fra valore e volume, fra promessa e realtà, ci conduce a riflettere sulle categorie attraverso cui interpretiamo la crisi contemporanea. Si tratta di una crisi che non può essere ricondotta solo a fattori contingenti o di breve termine, ma che chiede di essere pensata come crisi di un sistema che ha ridefinito le sue logiche fondamentali, dal modo di produrre e distribuire energia, al funzionamento del mercato, alle forme di soggettivazione economica.
La natura biopolitica della crisi si manifesta allora in tutta la sua radicalità: è la vita stessa, nelle sue dimensioni più quotidiane e materiali, che diviene oggetto di governo, di negoziazione, di conflitto. La bolletta che arriva, il prezzo che sale, il debito che cresce, sono segni di una condizione esistenziale in cui la vita è continuamente sottoposta a dinamiche di potere, di controllo, di precarietà.
Ma questa condizione apre anche uno spazio di pensiero, una possibilità di critica e di resistenza. Il passaggio dal mercato tutelato a quello libero non deve essere visto come una mera operazione tecnica, ma come un evento che mette in gioco le forme di soggettivazione e le relazioni di potere. Allo stesso modo, la crescente pressione sul potere d’acquisto e sulla capacità di consumo delle famiglie deve essere interpretata come un invito a ripensare le categorie della giustizia sociale, della redistribuzione, della solidarietà.
Il compito non è solo quello di individuare le migliori offerte energetiche o di gestire il passaggio contrattuale, ma di comprendere come questi fenomeni siano espressione di un contesto più ampio, di un tempo in cui le crisi si intersecano e si sovrappongono, producendo effetti che riguardano non solo l’economia, ma la stessa struttura del vivere insieme.
La sfida, allora, è quella di ripensare le modalità attraverso cui la società affronta la crisi energetica e quella economica, non solo attraverso misure tecniche o politiche emergenziali, ma con una visione che tenga conto della complessità dei fenomeni, della dimensione biopolitica e sociale della vita contemporanea.
Le offerte ibride, le promozioni a prezzo fisso, le proroghe del mercato tutelato, i dati sull’indebitamento delle famiglie, le variazioni nelle vendite al dettaglio non sono eventi isolati, ma nodi di una rete complessa che intreccia economia, politica, soggettività. In questo intreccio si manifesta la crisi e si apre la possibilità di un nuovo pensiero critico, di una nuova forma di resistenza.
Il contemporaneo si rivela così come un dispositivo che espone le contraddizioni del sistema, mettendo in luce l’inadeguatezza delle categorie tradizionali di interpretazione. Nel confronto fra il mercato libero e quello tutelato, fra stabilità e volatilità, fra risparmio e debito, si delinea un orizzonte in cui si giocano non solo le sorti economiche, ma quelle politiche e umane di una società che deve ancora imparare a pensarsi nel suo divenire incerto e precario.
Il fenomeno della bolletta energetica, le condizioni materiali delle famiglie, il calo dei consumi, non sono che il sintomo di una trasformazione più profonda, di un passaggio che riguarda la stessa forma del governo e della vita sociale. E in questo passaggio, la riflessione si fa necessità: non solo per comprendere, ma per agire, per pensare una possibile alternativa, per aprire uno spazio in cui la vita possa essere finalmente libera da quelle logiche di dominio che oggi la imprigionano nella spirale del debito e della precarietà.