
La Guerra Totale contro l’Ucraina
Scritto da Fulvio Muliere il . Pubblicato in Attualità.
A cura di Fulvio Muliere
Dall’invasione militare alla negazione dell’identità nazionale: come il conflitto in Ucraina ha trasformato la geopolitica, destabilizzato l’economia globale e acceso una battaglia per la verità e la sovranità.
La guerra di aggressione scatenata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina nel febbraio del 2022 ha rappresentato un evento spartiacque per l’ordine globale, un terremoto politico, economico e sociale che ha avuto ripercussioni ben oltre i confini del continente europeo. Il conflitto non si è limitato a un confronto militare tra due stati, ma si è rapidamente trasformato in una crisi sistemica, capace di alterare gli equilibri geopolitici, ridefinire le alleanze internazionali e mettere sotto stress l’architettura economica mondiale. La brutale offensiva russa ha innescato una serie di dinamiche complesse, investendo direttamente l’intero sistema globale di approvvigionamento energetico, alimentare e industriale, evidenziando le fragilità intrinseche della globalizzazione e il peso delle interdipendenze economiche.
Le prime settimane dell’invasione sono state caratterizzate da un’ondata di sanzioni economiche senza precedenti imposte alla Russia da parte dei paesi occidentali. L’obiettivo era duplice: punire Mosca per l’aggressione e minarne la capacità di sostenere lo sforzo bellico. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Regno Unito, il Canada, il Giappone e altri stati hanno congelato le riserve valutarie della Banca Centrale Russa, escluso numerose banche russe dal sistema SWIFT, vietato le esportazioni di tecnologie strategiche e colpito con sanzioni individui chiave dell’élite russa. Di conseguenza, la Russia ha assistito a un crollo iniziale del rublo, a un aumento dell’inflazione interna e a una ridefinizione forzata delle sue rotte commerciali. La sua economia, però, ha dimostrato una certa resilienza, grazie alla capacità di reindirizzare le esportazioni di gas e petrolio verso l’Asia, in particolare verso Cina e India, che si sono confermate interlocutori commerciali strategici per il Cremlino.
Le esportazioni energetiche, in particolare quelle di gas naturale e petrolio, sono state al centro del braccio di ferro tra Mosca e l’Occidente. Prima della guerra, la Russia era il principale fornitore di gas dell’Unione Europea, coprendo circa il 40% della domanda continentale. A seguito dell’invasione, l’Europa ha accelerato drasticamente i suoi sforzi per ridurre la dipendenza dal gas russo, cercando forniture alternative dal Medio Oriente, dagli Stati Uniti (attraverso il gas naturale liquefatto, LNG), dalla Norvegia e dal Nord Africa. Questo processo ha comportato una ristrutturazione radicale del mercato energetico europeo, un’impennata dei prezzi, difficoltà industriali e impatti significativi sui bilanci pubblici, già provati dagli interventi post-pandemici. Il rincaro dei prezzi dell’energia ha contribuito in modo determinante all’aumento dell’inflazione, colpendo in particolare le fasce più deboli della popolazione e costringendo molte aziende a razionalizzare i consumi o sospendere temporaneamente la produzione.
Le importazioni di gas dalla Russia verso la Germania si sono ridotte del 95%, mentre l’intera Unione Europea ha registrato un calo delle importazioni russe del 78%. A fronte di questa contrazione, l’UE ha imposto un tetto massimo al prezzo del petrolio russo, cercando di colpire le entrate derivanti dalla vendita di energia – principale fonte di finanziamento del bilancio russo. La risposta del Cremlino è stata duplice: da un lato, ha sviluppato nuove infrastrutture energetiche orientate all’Asia, come i progetti “Power of Siberia” e “Arctic LNG”, dall’altro ha incentivato le vendite in rubli e cercato di consolidare accordi bilaterali alternativi con paesi meno allineati con l’Occidente.
La NATO, spesso ritenuta obsoleta nei primi anni 2000, ha ritrovato una nuova centralità strategica, espandendo la propria missione e accogliendo nuovi membri, come la Finlandia e la Svezia, che fino a pochi anni prima mantenevano una posizione storica di neutralità. L’Unione Europea ha compiuto un salto politico notevole, attivando per la prima volta il fondo europeo per la pace (European Peace Facility) per fornire armamenti all’Ucraina e adottando pacchetti coordinati di sanzioni, dimostrando una coesione inaspettata, anche se non priva di tensioni interne.
Le divisioni, infatti, non sono mancate: paesi come l’Ungheria hanno più volte bloccato o rallentato l’adozione di nuove misure contro la Russia, evidenziando le contraddizioni tra interessi economici nazionali e la necessità di una posizione comune. Anche all’interno di alcune opinioni pubbliche occidentali, si sono manifestate forme di stanchezza nei confronti del sostegno all’Ucraina, alimentate da campagne di disinformazione e dalla crisi del costo della vita.
Cina ha svolto un ruolo ambiguo, se da un lato ha evitato di sostenere esplicitamente la guerra russa, dall’altro ha mantenuto solidi rapporti economici con Mosca, beneficiando di forniture energetiche a prezzi scontati e proponendosi come mediatore di pace, pur senza mettere in discussione la narrazione russa sul conflitto. Questo atteggiamento ha rafforzato la polarizzazione globale tra democrazie occidentali e autoritarismi revisionisti, con la Russia e la Cina sempre più vicine, mentre si rafforzavano anche i legami tra Stati Uniti, UE, Giappone, Australia e altri alleati.
Per l’Ucraina, la guerra è stata innanzitutto una prova di resistenza esistenziale. Il paese ha dovuto affrontare la distruzione di vaste aree del suo territorio, il collasso parziale dell’economia, il blocco dei porti sul Mar Nero – fondamentale per le esportazioni di grano – e la perdita di milioni di cittadini costretti a fuggire all’estero. L’infrastruttura civile è stata sistematicamente colpita da attacchi missilistici, con blackout prolungati, crisi idrica e danni ingenti al settore sanitario e scolastico. Nonostante tutto ciò, l’Ucraina ha mostrato una notevole capacità di resistenza, non solo militare, ma anche politica e sociale, mobilitando tutte le risorse disponibili e rafforzando il senso di identità nazionale.
L’aspetto della sovranità economica, tuttavia, ha sollevato dibattiti interni e internazionali. Il massiccio afflusso di aiuti occidentali – indispensabili per la sopravvivenza del paese – ha comportato anche condizioni che hanno favorito l’apertura di settori strategici dell’economia ucraina a interessi esterni. Molti analisti si interrogano sul futuro controllo delle risorse agricole, minerarie e infrastrutturali del paese, temendo una forma di dipendenza economica che potrebbe minare la reale autonomia ucraina nel dopoguerra.
Un’altra dimensione fondamentale del conflitto è stata la guerra dell’informazione. La Federazione Russa ha messo in atto una campagna di disinformazione senza precedenti, volta a giustificare l’invasione, delegittimare il governo di Kyiv e minare il sostegno internazionale. Una delle principali narrazioni propagate da Mosca è stata la presunta “denazificazione” dell’Ucraina, una retorica basata su menzogne storiche, il cui scopo era costruire un casus belli morale agli occhi dell’opinione pubblica interna e di alcuni ambienti internazionali già critici nei confronti dell’Occidente. Questa strategia si è articolata in tre fasi: inizialmente è servita a giustificare l’intervento, poi a mascherare le responsabilità delle atrocità commesse, infine a negare le sconfitte e spostare la colpa su presunte cospirazioni esterne.
La disinformazione russa ha sfruttato appieno i social media e i mezzi digitali. Reti di bot, account falsi e influencer filo-russi hanno diffuso messaggi distorti, notizie manipolate e accuse infondate di corruzione, cercando di influenzare il dibattito pubblico in Occidente. Secondo il Digital Forensic Research Lab, nel 2025 oltre 12.800 account TikTok legati a operazioni di influenza russa hanno preso di mira funzionari ucraini, tra cui il ministro della Difesa Oleksii Reznikov, concontenuti manipolativi volti a danneggiare la reputazione dell’apparato statale ucraino.
Il governo ucraino ha messo in atto una strategia comunicativa molto efficace, improntata alla trasparenza e al coinvolgimento. Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha saputo costruire un’immagine di leader coraggioso e accessibile, rivolgendosi direttamente ai parlamenti e alle opinioni pubbliche mondiali. Il ruolo dei media indipendenti, dei fact-checker e della società civile è stato cruciale nel contrastare le fake news e smascherare le manipolazioni russe. I successi della comunicazione ucraina hanno contribuito a mantenere alto il livello di solidarietà internazionale, elemento chiave per la resistenza del paese.
La guerra, però, non si è combattuta solo con armi e parole. Si è trattato anche di uno scontro tra visioni del mondo: da una parte l’autodeterminazione, la libertà, la democrazia; dall’altra l’autoritarismo, il revanscismo imperiale, la negazione dell’identità altrui. Le dichiarazioni di Vladimir Putin, secondo cui “l’Ucraina non è mai esistita come nazione indipendente” o che “ucraini e russi sono un unico popolo”, riflettono un disegno ideologico di lunga data, che mira a riscrivere la storia e ad annullare l’esistenza stessa dell’Ucraina come entità sovrana.
Questo atteggiamento si colloca in un più ampio schema di revisionismo storico promosso dal Cremlino, che tende a glorificare l’impero zarista e l’Unione Sovietica, negando l’autonomia dei popoli che ne facevano parte. La guerra, quindi, è anche un tentativo di cancellazione culturale, linguistica e simbolica, reso evidente dalle politiche di russificazione imposte nei territori occupati, dalla deportazione forzata di bambini ucraini in Russia e dalla repressione delle istituzioni locali ucraine. La difesa dell’identità nazionale, della memoria storica e della cultura diventa, in questo contesto, un elemento fondamentale della resistenza.
Sfide rimangono enormi, la ricostruzione dell’Ucraina richiederà decenni, investimenti colossali e una visione politica coerente. Il ritorno degli sfollati, la bonifica dei territori minati, il rilancio dell’economia, la riforma dello stato e la lotta alla corruzione saranno tutti elementi centrali. Allo stesso tempo, la comunità internazionale dovrà interrogarsi sul futuro della sicurezza europea, sulla riforma delle istituzioni multilaterali e sulla capacità di prevenire aggressioni simili in altre parti del mondo.
Il conflitto russo-ucraino ha posto in discussione l’efficacia degli strumenti tradizionali della diplomazia e del diritto internazionale. L’ONU si è mostrata spesso impotente, bloccata dal veto russo nel Consiglio di Sicurezza. Questo ha sollevato la necessità di riforme strutturali e ha rafforzato l’importanza di alleanze regionali e multilaterali più agili. Inoltre, ha evidenziato come le guerre contemporanee non siano mai solo militari, ma coinvolgano aspetti informativi, economici, culturali e tecnologici, richiedendo risposte integrate, coordinate e resilienti.
Nel cuore di tutto questo, rimane una realtà incontrovertibile: l’Ucraina esiste, resiste e continua a lottare per il proprio diritto a essere libera. La sua lotta non è solo per il controllo del territorio, ma per la dignità, la memoria, la cultura e la libertà di scelta del proprio destino. E il modo in cui il mondo risponderà a questa sfida plasmerà il volto dell’ordine internazionale per le generazioni a venire.