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La NEMESI STORICA:
da delenda Carthago a Carthago aedificanda

 

Catone il censore, a metà del II secolo a.C. pronunciò in Senato un severo monito contro Cartagine, che insidiava i commerci di Roma e il suo predominio nel Mediterraneo: Carthaginem  delendam.

Per convincere i senatori tirò fuori, da sotto la toga, un cestino di fichi appena arrivati  da Cartagine. Se il fico, frutto così delicato, poteva resistere alla lunga traversata per arrivare a Roma, significava che Cartagine era troppo vicina e quindi andava distrutta.

Dopo oltre duemila anni la vicinanza di Cartagine a Roma è ancora una spina nel fianco, motivo di preoccupazione per il nostro Governo che non sa come arrestare il flusso continuo di migranti che dall’Africa giungono con ogni natante, mettendo a dura prova il nostro sistema organizzativo di assistenza, di riconoscimento della qualità di profugo, di respingimento, evidenziando tutte le carenze strutturali.

Appunto con l’obiettivo di fermare l’immigrazione, la nostra premier ha fatto un pellegrinaggio in Tunisia prima in solitaria e poi in compagnia della presidente della Commissione europea von der Leyen e del premier olandese Rutte, in veste di controllore sulle concessioni che le due signore intendevano fare al presidente Kais Saied.

Si è trattato di un tentativo di fermare il vento con le mani.

Eppure alla nostra opinione pubblica è stata offerta una presentazione estremamente positiva della visita, anche se le promesse italiane di aiuto hanno ottenuto ben poco,  anzi  Saied,  diffidente  come sa esserlo un mercante da suk, verso l’impegno della sola Italia, l’ha invitata a convincere l’UE che la salvezza economica della Tunisia equivaleva alla salvezza dell’Europa e non poteva essere sottoposta a condizionamenti.

E il rais tunisino, con aspirazioni di panarabismo e venature anti occidente, tanto per vantare una rivincita morale, si è tolta la soddisfazione di ricevere gli ospiti proprio a Cartagine anziché a Tunisi.

Meloni sapeva che il suo compito di presentarsi al Consiglio europeo di fine giugno come paese chiave nei rapporti con la Tunisia retta da un autocrate che ha esautorato il parlamento, soppresso la libertà di stampa, chiuso i partiti, riformato la costituzione assumendo i pieni poteri,  era abbastanza difficile, una “mission impossible”. Di qui l’errore di non averla preparata bene, credendo con presunzione di poter riuscire in poco tempo dove avevano fallito i suoi predecessori.

Alla prima visita, fatta di puri convenevoli e di vuote dichiarazioni di amicizia senza venire al sodo, ha fatto seguito un secondo viaggio terminato con una dichiarazione congiunta a cui ciascuna parte ha dato un significato diverso.

In termini diplomatici la dichiarazione congiunta è un atto per dimostrare all’opinione pubblica che non si è concluso molto e che c’è un margine per il negoziato.

In questa dichiarazione si parlava di un finanziamento di aiuto all’economia tunisina in rate fino a  900 milioni di euro a carico soprattutto della Commissione e di impegno europeo e nostro a fare pressioni sul FMI per sbloccare una linea di credito a dono di circa un miliardo e mezzo di euro in cambio di riforme.

In un altro paragrafo del documento si menziona il controllo del flusso di migranti che premono da tanti paesi del Sahel e del sub Sahara.

Detto così, a prima vista, sembrava che i due punti fossero concatenati (interpretazione europea) invece erano ritenuti assolutamente disgiunti (interpretazione tunisina).

Da parte europea si credeva  che, replicando la politica adottata con Erdogan, che per denaro (6 miliardi) ha bloccato la via balcanica a milioni di migranti, fosse stato sufficiente promettere un finanziamento per arginare definitivamente il prodotto della povertà e del malgoverno africano, caricando sulle spalle di Saied l’onere del trattenimento in Tunisia dell’emigrazione interafricana.

La dichiarazione congiunta doveva costituire il primo passo preliminare in vista di un accordo vero e proprio o di un memorandum impegnativo che Meloni intendeva portare come trofeo al consiglio dell’UE per l’approvazione.

Ma la trattativa è stata più difficile di quanto pensassero ingenuamente le due signore. Saied, che considera straccioni i libici Dbeibeh e Haftar che si accontentano di poco,  si è mostrato sprezzante verso un aiuto economico condizionato alle riforme richieste dal FMI che includono il taglio dei sussidi economici ad una popolazione disoccupata e frustrata che significherebbe una nuova rivolta del pane.

Anche sui migranti Saied  è stato poco cedevole tanto è vero che a visita finita ed ospiti partiti ha tenuto a precisare che la Tunisia non accettava di piegarsi all’imposizione drastica del rispetto dei diritti umani, né trasformarsi in guardiano delle frontiere altrui con il compito di allestire accampamenti di disperati.

Sulla questione degli aiuti finanziari Saied riteneva che i soldi sarebbero arrivati l’indomani, invece ha appreso che l’iter di approvazione europea richiede parecchi mesi per cui le partenze di migranti dalla Tunisia si sono moltiplicate arrivando a toccare sbarchi di più di mille unità al giorno.

Schiaffo morale più sonoro non poteva essere assestato.

Ricordate quando l’argomento dei rapporti con la Tunisia fu portato in musica da Battiato con la canzone che faceva “Per terre incognite, vanno le nostre legioni, a fondare colonie, a immagine di Roma,”Delenda Carthago” Conferendis pecuniis ergo sollicitae tu causa pecunia, vitae (per ammassare ricchezze, sei tu, denaro, la causa di una vita agitata)!