
La Scelta di Vivere in Montagna
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Attualità.
A cura di Ottavia Scorpati
Una Nuova Tendenza di Vita tra Fuga dalle Città e Sfide Ecologiche: Come il Lavoro Remoto e il Surriscaldamento Riprogrammano il Nostro Futuro
La crescente migrazione verticale verso le montagne non è solo una questione di scelta per sfuggire allo stress delle metropoli, ma rappresenta un fenomeno che si inserisce in un contesto più ampio di migrazioni ambientali causate dal cambiamento climatico, dalla crescente congestione delle città e dalla diffusione delle nuove modalità di lavoro come lo smart working. Questo spostamento delle persone dalle aree urbane verso le terre alte sta trasformando il concetto di migrazione, creando una nuova dimensione nella mobilità umana, che potremmo definire “migrazione verticale”.
La montagna, storicamente vista come un luogo di isolamento e difficoltà, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante come rifugio, alternativa alla vita cittadina e risorsa vitale per chi cerca una nuova qualità della vita. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), entro il 2050 il numero di migranti ambientali a livello globale potrebbe variare tra i 44 e i 216 milioni, un dato che include anche i migranti verticali. La montagna, con il suo richiamo irresistibile di aria pulita, paesaggi incontaminati e ritmi di vita più lenti, si presenta come un luogo di fuga dal caldo asfissiante e dallo stress delle città, un rifugio che però deve essere rispettato e gestito con attenzione. Le politiche metromontane, che combinano le caratteristiche urbane con quelle montane, sono diventate essenziali per gestire questo flusso e garantire che il trasferimento verso le montagne non avvenga in modo disordinato o insostenibile.
L’emergere del fenomeno dei “montanari per scelta” è stato accelerato dalla crisi pandemica e dalla diffusione dello smart working, che ha consentito a molte persone di vivere in luoghi più tranquilli senza perdere i benefici delle grandi città. La pandemia ha infatti amplificato il desiderio di molti di cambiare stile di vita, spingendo un numero crescente di persone a cercare una maggiore connessione con la natura e una vita più sostenibile. Secondo la ricerca “Percezione e opinioni degli italiani sulle aree montane” condotta dall’Uncem, un numero crescente di italiani si sente più a proprio agio in montagna, con il 25% degli intervistati che dichiara di sentirsi «molto» a suo agio e il 50% che si dice «abbastanza» a suo agio.
L’incremento della “migrazione verticale” è strettamente legato ai cambiamenti climatici, che rendono le città sempre più calde e malsane. La ricerca del “fresco” è uno dei motivi principali per cui sempre più persone si spostano verso le montagne. Lo conferma il “World Cities Report 2024” dell’Un-Habitat, secondo cui la crescente urbanizzazione espone milioni di persone al rischio di temperature più alte, con un aumento previsto di 2,4-2,6°C entro la fine del secolo, aggravando ulteriormente le condizioni di vita nelle aree urbane. In un contesto di surriscaldamento globale, la montagna rappresenta quindi una risorsa fondamentale per chi cerca una fuga dal caldo soffocante delle città, ma anche un ritorno alla tranquillità e alla bellezza naturale.
Tuttavia, la montagna non è un luogo che può essere semplicemente invaso senza conseguenze. I cosiddetti “migranti verticali” non sono solo in cerca di un cambio di paesaggio, ma anche di uno stile di vita più equilibrato, che integra il meglio della vita urbana con le caratteristiche più rilassate e naturali delle aree montane. La possibilità di lavorare da remoto, che si è diffusa in modo massiccio grazie allo smart working, ha facilitato questo fenomeno, rendendo possibile vivere in montagna senza rinunciare alle opportunità professionali offerte dalle grandi città. La montagna diventa così una sorta di “spazio ibrido”, dove si mescolano le esigenze della vita urbana con quelle della vita rurale, creando nuove modalità di abitare e di interagire con l’ambiente circostante.
Nonostante le montagne vengano sempre più apprezzate come luoghi di residenza, è fondamentale non dimenticare che esse sono ecosistemi fragili, vulnerabili a numerosi fattori, tra cui il cambiamento climatico. I recenti eventi estremi, come lo scioglimento dei ghiacciai, sono un chiaro segnale del fatto che anche le montagne sono soggette agli effetti del riscaldamento globale. Questi luoghi, seppur affascinanti e desiderabili, non sono facili da abitare, e non tutti potrebbero mai viverci. La presenza umana nelle aree montane deve essere regolamentata con attenzione, adottando politiche che favoriscano una gestione sostenibile del territorio e riducano al minimo l’impatto antropico.
In un mondo in cui sempre più persone desiderano trasferirsi in alta quota, è necessario definire politiche “metromontane” che permettano un accesso equilibrato alla montagna. Tali politiche dovrebbero trattare la montagna come un bene comune, un patrimonio collettivo che deve essere accessibile anche a chi vive in città. Non solo le persone che si trasferiscono stabilmente nelle terre alte devono essere considerate custodi della montagna, ma è necessario che l’intera società partecipi attivamente alla sua protezione e gestione. Questo implica la creazione di un sistema di accesso che non si basi esclusivamente sulla disponibilità economica, ma sulla reale necessità di fruire di questi luoghi, come per esempio nel caso di anziani, bambini o persone con problematiche respiratorie.
L’aumento della popolazione in montagna comporta anche la necessità di affrontare il problema della gestione dei flussi. Non tutte le aree montane possono sostenere un numero crescente di abitanti o turisti, e alcune zone potrebbero diventare troppo esclusive o difficilmente accessibili per chi non può permettersi un soggiorno prolungato. Per evitare che ciò accada, è fondamentale che vengano messe in atto politiche di recupero delle strutture inutilizzate o sottoutilizzate, come le vecchie colonie alpine, le case parrocchiali e gli alberghi a bassa altitudine. Questi luoghi, spesso ignorati dal turismo di massa, potrebbero diventare risorse per garantire un turnover sostenibile delle strutture alberghiere e ridurre l’impatto antropico sulle zone montane.
Inoltre, bisogna riflettere sulla necessità di creare infrastrutture che siano in grado di accogliere e sostenere una popolazione migrante che si sposta verso la montagna non solo per una vacanza, ma per una residenza stabile. Le politiche di gestione dei flussi devono essere concepite in modo da evitare l’eccessiva concentrazione di persone in alcune aree, mentre altre restano abbandonate o troppo esclusive. Questo richiede un approccio equilibrato che permetta di mantenere l’integrità ecologica e culturale delle montagne, garantendo allo stesso tempo la loro accessibilità.
Il rischio di un’impennata della migrazione verso le montagne è che, senza politiche adeguate di messa in sicurezza, anche questi luoghi possano soffrire degli stessi problemi che affliggono le città. La montagna non è in grado di “salvarci” da sola; occorrono politiche sistemiche che coinvolgano la protezione del territorio, la gestione delle risorse naturali e la tutela delle comunità locali. Le aree montane non devono essere considerate come un rifugio temporaneo o un luogo da colonizzare, ma come ambienti da rispettare e curare in modo sostenibile. Questo richiede investimenti a lungo termine e una visione integrata che comprenda anche la valorizzazione delle risorse locali e la promozione di forme di turismo più responsabile.
Andrea Membretti, sociologo e autore dello studio “Migrazioni verticali”, ha sottolineato che la montagna non deve essere vista come un luogo da proteggere a tutti i costi dall’invasione urbana, ma come uno spazio di interconnessione, in cui le persone, sia quelle che si trasferiscono che quelle che vi abitano da sempre, siano corresponsabili della sua salvaguardia. Adottare un approccio sistemico che riconosca la montagna come un bene comune e che favorisca la partecipazione di tutti alla sua protezione è essenziale per evitare che il fenomeno migratorio diventi insostenibile e dannoso.
Alla base di questo nuovo tipo di migrazione c’è un desiderio di respirare, di vivere secondo ritmi più lenti e più vicini alla natura. Come scrive Paolo Cognetti, la montagna non è solo un paesaggio, ma un modo di vivere, un vero e proprio “modo di respirare”. La montagna offre a chi vi si trasferisce la possibilità di trovare un nuovo equilibrio, lontano dal frastuono e dalla frenesia delle città. In un mondo sempre più invaso dallo stress e dalla confusione, la montagna diventa un rifugio, ma anche un’opportunità di trasformazione, un luogo dove si può riscoprire il significato di vivere in armonia con l’ambiente circostante.
Li migrazione verticale sta diventando una risposta alla crescente insostenibilità delle città e ai rischi del cambiamento climatico. La montagna, pur essendo una risorsa vitale, richiede politiche che ne garantiscano la protezione e la gestione equa. Solo attraverso un approccio integrato e sostenibile sarà possibile vivere la montagna come un luogo di residenza e non solo come un rifugio temporaneo. Se affrontato con consapevolezza e rispetto, questo fenomeno potrebbe rappresentare un passo verso un futuro più equilibrato e sostenibile.