Skip to main content

L’automobile promesse tradite

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

a cura Agostino Agamben

Le dinamiche paradossali del mercato italiano tra immatricolazioni posticipate, il predominio dell’ibrido e il fallimento dell’auto solare, in un presente che rifugge il futuro.

C’è qualcosa di profondamente paradossale nell’andamento del mercato automobilistico italiano, una realtà che si dispiega come un palinsesto di tempi incrociati e di immagini sovrapposte, dove il dato numerico – lungi dal rappresentare un semplice indice di progresso – si trasforma in sintomo, in traccia di un ritardo che si carica di significati più profondi. Le 136.283 unità immatricolate a settembre 2023, con una crescita del 22,8% rispetto all’anno precedente, non sono un semplice numero che celebra la ripresa, ma piuttosto un’eco di un passato che si proietta sul presente con un ritardo strutturale. Non si tratta di una crescita che rispecchia un movimento lineare verso il futuro, ma di un tempo sospeso, di un ordine rimandato, di una consegna che avviene con mesi di distanza rispetto all’atto dell’ordine stesso.

Questo sfasamento temporale è ciò che definisce l’automobile non tanto come un oggetto tecnico, ma come un atto, un evento che si compie solo nel momento in cui attraversa la soglia dell’immatricolazione, diventando visibile e riconosciuta dall’ordinamento statale attraverso la targa, i documenti, la registrazione. L’auto, quindi, non esiste davvero nel momento della sua fabbricazione o nemmeno in quello del suo concepimento industriale, ma solo quando diviene parte del registro civile, della memoria amministrativa. Come un corpo che riceve il battesimo, essa esiste solo attraverso un rito di apparizione che la fa emergere dal nulla indistinto della produzione e la immette nel flusso sociale e giuridico.

Il mercato automobilistico si rivela così come un meccanismo di esorcismo che tenta di dominare questa latenza: ciò che viene oggi immatricolato è in larga parte ciò che è stato ordinato mesi fa, durante il picco della crisi delle catene di fornitura. La macchina circolante è allora già anziana prima di iniziare il suo ciclo vitale, una reliquia che testimonia un desiderio ormai scaduto, una commemorazione di un passato recente che tuttavia fatica a svanire. La mobilità non si configura più come mera possibilità di movimento o progresso, ma come un complesso intreccio di temporalità stratificate, dove il presente è sempre un residuo del passato e il futuro rimane una promessa che si allontana.

In questa dialettica del tempo, si gioca la battaglia semiotica tra le diverse motorizzazioni, a partire dall’elettrico, che appare come il progetto più radicale della transizione ecologica, ma che si scontra con una realtà contraddittoria. Le auto completamente elettriche rappresentano soltanto il 3,6% delle immatricolazioni di settembre, con una contrazione rispetto all’anno precedente. Questa contrazione non è tanto un’anomalia, quanto piuttosto la manifestazione di un limite interno del sistema di consumo: il cambiamento ecologico deve apparire come una continuità rassicurante rispetto al passato, pena l’inquietudine e il rifiuto. L’elettrico si arresta nel momento stesso in cui viene celebrato, e la promessa di una rivoluzione si frantuma contro la resistenza del gesto quotidiano di consumo, che non tollera alcuna sottrazione radicale.

Il successo dell’ibrido, con quasi il 40% delle preferenze, diventa allora emblematico: l’auto ibrida è il sintomo di una transizione eterna, di un compromesso che evita di spaventare il consumatore e, allo stesso tempo, di autoaccusarsi troppo di inquinamento. Il mild hybrid, più soglia che identità, incarna il presente liminale, in cui la vecchia motorizzazione a combustione è soltanto leggermente sfiorata dall’elettrificazione, senza tuttavia essere veramente sostituita. È la macchina del mezzo, del “quasi”, del rinvio infinito della fine di un’epoca.

Ancora più complessa è la dialettica che coinvolge il diesel e la benzina. Il motore a benzina cresce, mentre il diesel arretra nelle nuove immatricolazioni, pur continuando a dominare il mercato dell’usato. Il diesel si configura così come una macchina-fantasma, un’ombra persistente del passato che rifiuta di morire, una resistenza silenziosa che sfugge alla narrazione ufficiale del progresso. La sua presenza massiccia nei trasferimenti di proprietà di veicoli usati è un atto di dissenso, una scelta che nega la linearità della transizione ecologica e rifiuta il mito di una fine inevitabile.

L’aumento costante del mercato delle auto usate non è un mero effetto collaterale della crisi dei prezzi delle vetture nuove, ma un fenomeno che racconta di una relazione più profonda con il tempo e con l’affidabilità. I modelli più venduti, nomi familiari come Volkswagen Golf, Audi A3, Fiat Panda, sono icone di un mondo che ha già attraversato il tempo e che, proprio per questo, appare più vero, più concreto, meno illusorio. L’usato diventa così il residuo che sfugge all’economia della pianificazione, il rimanente che non può essere né previsto né controllato.

In questa stratificazione temporale, i modelli elettrici si intrecciano con quelli a combustione, senza una successione lineare, ma con un accavallarsi disordinato di ambizioni e rinunce. La Tesla Model Y guida le vendite nuove, mentre la Model 3 domina il mercato dell’usato a basse emissioni, segno che il tempo non si misura in univoci avanzamenti, ma in sovrapposizioni e scarti.

Il fallimento delle auto solari, simbolo di una frontiera tecnologica radicale, ma anche di un’illusione culturale, rivela un altro aspetto cruciale: l’incompatibilità di due temporalità inconciliabili. L’auto solare, come la Lightyear 0, rappresenta un ossimoro incarnato: un corpo che desidera accelerare e muoversi, che vuole libertà e autonomia, ma che si basa su una fonte di energia, il sole, che impone immobilità e attesa. Il conflitto tra il desiderio di movimento e la realtà del tempo solare manifesta il limite interno del sistema tecnico-economico: non ogni innovazione è possibile, non ogni progetto può essere integrato nella logica del consumo.

Il fallimento di Lightyear non è un semplice incidente di percorso, ma un’epifania della contraddizione ontologica del sistema. Non è la mancanza di capitali o la scarsità di domanda a determinare la fine di questo progetto, ma l’incompatibilità tra la temporalità del progetto e quella della produzione. L’auto solare è un monumento incompiuto, un sogno di redenzione tecnologica che si infrange contro la realtà, incapace di farsi realtà economica. Il mercato non tollera la salvezza come funzione; ciò che rimane è soltanto la testimonianza di un tentativo abortito, di un prototipo che non ha saputo trovare spazio nel flusso produttivo.

Nel frattempo, il gioco continua: ogni mese le immatricolazioni rappresentano una nuova mossa nel gioco della razionalità governamentale e industriale. La richiesta di un piano chiaro per la transizione green si scontra con l’impossibilità di pianificare un processo che è per sua natura differito, negoziato, ritardato. La politica e il mercato non possono governare ciò che eccede la loro giurisdizione: il desiderio degli individui, la paura dell’abbandono, l’abitudine radicata.

L’automobile si presenta allora come un dispositivo che articola non solo lo spazio, ma soprattutto il tempo. Essa non è semplicemente un mezzo di trasporto, ma una macchina del tempo che mostra in ogni sua immatricolazione, nuova o usata, elettrica o diesel, la forma di una temporalità: sospesa, accelerata o ritardata. Questo dispositivo temporale non ci proietta nel futuro, ma ci restituisce un presente spesso invisibile, fatto di scarti, residui, rimandi. Un presente che abbiamo smesso di vedere, forse perché troppo familiare, o forse perché troppo inquietante nella sua ambiguità.

In questo presente dilatato e stratificato, la mobilità si configura come un campo di battaglia tra ciò che vorremmo essere e ciò che effettivamente siamo, tra la promessa di un futuro ecologico e l’inerzia di un passato che si rifiuta di lasciare il posto. Il mercato dell’auto italiano diventa così una metafora, un dispositivo che mostra come la temporalità della modernità non sia lineare, ma un insieme di pause, ritorni e ambiguità che si condensano in ogni targa, in ogni passaggio di proprietà, in ogni rinuncia e in ogni promessa mancata.

Il boom delle immatricolazioni a settembre 2023, le oscillazioni delle quote di mercato tra benzina, diesel, ibrido ed elettrico, la persistente rilevanza del mercato dell’usato e il naufragio delle auto solari, tutto concorre a disegnare un quadro che è insieme economico, politico e ontologico, un racconto frammentato di un’epoca che si cerca senza riuscire a trovarsi, che si muove senza mai davvero avanzare.

Il paradosso, allora, è proprio questo: il movimento che pensavamo lineare e progressivo si rivela un movimento circolare, un presente che si auto-riproduce attraverso i suoi residui, un tempo che non si compie ma si rimanda, e un oggetto – l’automobile – che più che veicolo appare come figura di questa temporalità sospesa, come monumento a ciò che è stato e a ciò che ancora deve venire, ma che forse non verrà mai.

Così la macchina, in tutte le sue forme e alimentazioni, resta l’icona di una società incapace di liberarsi dal proprio passato e di immaginare un futuro diverso se non come reiterazione di un presente che è per sua natura incompiuto. Non un oggetto che sposta corpi, ma un dispositivo che sposta il tempo, che ci mostra il nostro presente nella sua ambiguità e nella sua fragilità, costringendoci a guardarlo da vicino, senza illusioni, senza promesse.

È forse questa la vera natura dell’automobile oggi: non più semplice mezzo di locomozione, ma dispositivo ontologico di una modernità incerta, sospesa tra il sogno della rivoluzione e l’inerzia del compromesso, tra la velocità della promessa e la lentezza della realtà. In questo senso, ogni immatricolazione, ogni passaggio di proprietà, ogni scelta di motorizzazione diventa un atto di interpretazione, una testimonianza del tempo che viviamo, di un presente che sfugge a ogni narrazione lineare e che si manifesta nel suo paradosso, nel suo scarto, nella sua inevitabile latenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Condividi su: