Skip to main content

L’ITALIA, una semplice comparsa negli scenari geo-strategici regionali ed internazionali

UN’ ITALIA ORAMAI DECLASSATA
AL RUOLO DI CENERENTOLA 

Sul palcoscenico della politica internazionale il nostro Paese, dall’inizio di questo secolo,  è simile ad un panno che, gettato, assume qualsiasi forma. Eppure, non logoro ancora e con strutture esistenti e valide, nonostante la politica, intende operare proficuamente con azioni volte a garantire la sicurezza, la sanità, il benessere della stragrande maggioranza degli italiani, quella silenziosa che ogni giorno lavora sodo, stringe la cinghia, nonostante le penose immagini di una miseria diffusa e inquietante, di una  quotidianità vacua ed angosciante.

Una analisi di TORQUATO CARDILLI 

Più che le alchimie delle dichiarazioni dei nostri politici, sempre più contraddittorie, sul referendum per la riduzione dei parlamentari, approvata ben 4 volte dalle Camere a larga maggioranza ed ora rinnegata o offuscata da distinguo ipocriti e risibili, due questioni, uno di risonanza internazionale ed un altro eminentemente di politica interna, hanno attirato l’interesse degli italiani, già provati dalle vicende del Covid.

Mi riferisco alla vicenda dell’avvelenamento del dissidente russo Alexei Navalnyj, spesso imprigionato negli anni scorsi, dal repressivo sistema poliziesco di Putin, e alla ripresa degli arrivi e sbarchi sulle nostre isole di emigranti dall’Africa.

Non si sa ancora se Navalnyj riuscirà a sopravvivere agli effetti dell’agente nervino Novichok (i medici specialisti di Berlino non escludono danni permanenti al sistema nervoso), ma il suo tentativo di assassinio si aggiunge alla lunga serie di oppositori di Putin eliminati in modo violento (da Nemtsov alla Politovskaya, da Berezovski a Litvinenko, da Babachenko a Skripal ecc.). Le autorità russe hanno fatto di tutto per nascondere e cancellare le prove del delitto e si sono arrese solo quando l’eco internazionale si era fatta rumorosa come un boato.

Il tentativo di assassinio di Navalnyj ha suscitato infatti un’ondata di reazioni politiche internazionali a cominciare dalla dura posizione pubblica assunta dalla Merkel, sia come cancelliere tedesco sia come presidente di turno dell’Unione, dalla Presidente della Commissione Von der Leyen, dal Segretario generale della Nato Stoltenberg, dal Presidente americano Trump. Anche l’Italia ha condannato questo crimine con una nota ufficiale della Farnesina in linea con le richieste degli altri alleati di un’inchiesta immediata e trasparente sulle responsabilità degli autori e mandanti.

Altro paese, altro dittatore, ma stesso scenario di sangue. In Egitto il generale al Sisi ha fisicamente eliminato o ridotto all’impotenza in carcere tanti oppositori a cominciare dall’ex presidente al Morsi, destituito con un colpo di Stato. Nelle grinfie dei servizi di sicurezza egiziani è finito anche un giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni.

Ciò che stride e costituisce motivo di afflizione per gli italiani è proprio la differenza abissale tra l’atteggiamento di condanna internazionale per la vicenda Navalnyj ed il silenzio tombale caduto sulla sorte di Regeni, torturato, seviziato, brutalmente ucciso, offeso nella dignità dopo morto con il vilipendio del cadavere, abbandonato sul ciglio dell’autostrada ad alcuni chilometri fuori del Cairo. Ulteriore affronto alla memoria ed all’intelligenza umana è stato il primo tentativo delle autorità egiziane di spacciare l’omicidio Regeni come atto di delinquenza di criminali comuni con risvolti omosessuali. Solo con i risultati dell’esame del cadavere e delle sevizie subite questa versione è stata abbandonata.

Sul caso del povero Regeni non è intervenuta la Commissione Europea, non è intervenuta la Nato, non è intervenuta l’America a rafforzare la protesta dell’Italia che colpevolmente si è affievolita nel tempo. Nonostante l’evidente presa in giro della magistratura egiziana, sull’altare degli sporchi interessi economici dei nostri apparati energetico-petroliferi e militari che hanno continuato a prosperare addirittura con commesse per navi da guerra, abbiamo sacrificato l’onore del paese, le lacrime dei genitori di Regeni, mentre striscioni sbiaditi ancora penzolano da qualche balcone o Municipio a soli a chiedere giustizia. 
La credibilità del Governo, i cui massimi esponenti in più riprese e occasioni si sono accontentati di omaggiare la pantofola del Pinochet delle piramidi facendo finta di credere alle sue false promesse di collaborazione, presentate come vere all’opinione pubblica italiana, è stata messa in ridicolo. 

 

Ma questa forma di inferiorità in politica estera viene da lontano. Dall’inizio di questo secolo ci sono state tappe salienti nella continua erosione di perdita di posizioni nella scala dei valori di rispettabilità, di credibilità e di difesa degli interessi nazionali. 
Da quando Berlusconi baciò letteralmente la mano di Gheddafi, ospitato poi a Villa Doria con tenda, cammelli e reparti di amazzoni tipo harem, c’è stato un progressivo scivolamento del nostro peso politico nel Mediterraneo e nell’arena internazionale. Al servilismo del Governo verso Sarkozy e Cameron con il nostro ruolo di affittacamere, auspice Napolitano, per la concessione delle basi italiane come trampolino di lancio per il bombardamento della Libia, hanno fatto da contorno l’assenza di alcuna solidarietà europea e Nato per la vicenda dei nostri due marò arrestati in India, il regalo alla Francia con un trattato vergognoso del duo Renzi-Gentiloni (per fortuna non ancora ratificato dal parlamento italiano) di un pezzo di mare ligure, la preferenza di Amsterdam su Milano per l’assegnazione della sede dell’Agenzia del Farmaco, la porta sbattutaci in faccia dall’Europa sul metodo per arginare l’immigrazione africana.

A tutto questo si è aggiunto il dileggio per il piagnucolamento di ogni nostro primo ministro da parte di chi ci ha detto chiaro e tondo débrouillez-vous senza muovere un dito per considerare la frontiera sud dell’Italia come frontiera d’Europa o per rivedere gli accordi di Dublino o per dividere obbligatoriamente gli immigrati pro quota. A cosa sono serviti questi atti di sottomissione se non a pagare agli alleati il tributo di sudditanza in sonante moneta politica in termini di onore nazionale?

E passiamo all’argomento sempre di attualità dei continui sbarchi sulle coste italiane con ogni mezzo, privato, di organizzazioni umanitarie e pubblico. 
Agli occhi degli italiani incollati alla televisione appaiono quanto mai fuori luogo ed eccessivi gli invii di navi da crociera, fatte passare come navi quarantena, ma di fatto occasioni da diporto spesato, mentre centinaia di migliaia di italiani hanno dovuto fare un ulteriore buco alla cintura per sopravvivere con le ristrettezze economiche da Covid. 
Gli immigrati vengono nutriti, rivestiti e sottoposti ad analisi cliniche a spese del contribuente, ma tanti italiani non possono fare il tampone perché non hanno i soldi, non riescono più a fare la spesa per mancanza di liquidità, sono sull’orlo della disperazione per la rarefazione dell’attività economica che obbliga a chiudere per sempre i servizi commerciali che hanno alle spalle una storia di molti decenni di vita.

E’ una scena rivoltante, per chi si spacca la schiena ogni giorno, vedere centinaia di giovani africani sdraiati e fannulloni su materassi di fortuna, con in mano il telefonino, che irridono le nostre forze di polizia ed il nostro governo, che non rispettano le regole più elementari di civile convivenza, che si allontanano dai luoghi di accoglienza, che violano gli obblighi di isolamento, che finiscono per ingrossare le fila della criminalità, dello spaccio e della prostituzione.

La risposta governativa è debole, sembra non rendersi conto che il problema è destinato ad aggravarsi, che non si tratta di un problema passeggero, che non si può continuare ad accogliere chi parte con il cellulare satellitare e con i numeri adatti per chiedere soccorso per una migrazione pianificata a vantaggio immediato di trafficanti di esseri umani. 
C’è da domandarsi in proposito quale sia stato il ruolo e il risultato dell’azione dei nostri servizi di intelligence sulla cui proroga si è rischiato la spaccatura della maggioranza.

L’azione diplomatica per impedire alla fonte le partenze si è rivelata inefficace e velleitaria, l’azione del ministero dell’interno in modo miope, a dispetto delle apparenze, è consistita nel vecchio sistema di scaricamento di tutto il peso dell’accoglienza sulle spalle dei sindaci e delle popolazioni, o nel costoso invio di navi crociera, mentre ci sarebbe bisogno di un’azione forte, di tipo australiano, che valga il rispetto internazionale e l’approvazione del popolo italiano. Tanto perché sia chiaro come si comporta l’Australia di fronte alle migliaia di cinesi, vietnamiti, laotiani, malesi ecc. che cercano di immigrare illegalmente va detto che chiunque dia lavoro ad un immigrante illegale è punito con una multa fino a 200 mila dollari e una pena detentiva fino a 10 anni di prigione. L’immigrato irregolare è comunque arrestato e rimpatriato con spese a carico del paese di provenienza.

 

Lascia un commento