
“Mito e Usurpazione del Sacro”
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Araldica, Cavalieri, Nobili e Templari.
a cura Agostino Agamben
Una riflessione sulla dissoluzione giuridica dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio secondo la Bolla Vox in excelso di Papa Clemente V, tra equivoci storici, derive neotemplari e la necessità di un ritorno alla verità ecclesiale; contro ogni travisamento sacrilego che pretende continuità senza mandato canonico, in un tempo in cui la nostalgia dell’assoluto alimenta l’illusione del sacro privatizzato.
Nella considerazione della memoria storica, nelle pieghe del diritto pontificio e nel tortuoso sentiero della simbologia, emerge una verità che chiede non celebrazione ma comprensione: l’Ordine dei Cavalieri Templari fu sciolto da Papa Clemente V con la Bolla “Vox in excelso” del 22 marzo 1312, perché l’Ordine dipendeva unicamente dall’autorità papale, da nessun’altra istanza laica o temporale.
Che significa questo, se non che ogni legittimazione, ogni rinascita, ogni pretesa di continuità debba necessariamente ottenere la forma giuridica che solo la Chiesa cattolica, mediante un atto pontificio, può conferire. Così come il dinamismo stesso di quell’Ordine si chiuse con un comando sovrano, così ogni revival senza tale autorità resta nella dimensione dell’ombra, del simbolo parlante ma non vincolante.
Federico II di Prussia, vissuto nel secolo diciottesimo, non aveva il potere per riorganizzare l’Ordine dei Templari, perché l’Ordine essendo monaco-guerriero e appartenente al corpo ecclesiastico, richiede un atto che sola la Sede Apostolica può emanare. I tentativi di appropriazione, le ricostituzioni informali, le associazioni sociali che reclamano titolo templare non possiedono la forma, non possiedono la materia di ciò che chiamerebbero “Templarismo” autentico.
Philippe IV, detto “il Bello”, ha imposto processi, torture e condanne che furono valide nel suo regno, ma non ebbero forza universale nella Chiesa nei luoghi dove l’autorità papale conservava la propria libertà. Ciò mostra che il potere temporale può imporre verità di fatto, creare narrazioni, ma non sancire verità canonica quando questa è giudizio del diritto divino e della disciplina ecclesiastica.
Quando dunque oggi si parla di “Ordine di Cavalieri Templari” come di realtà presente, vigile, operante, è necessario discernere: esiste solo ciò che sia stato istituito con Bolla Pontificia. Tutto il resto, per quanto possa richiamare storie, miti, idealità o riferimenti simbolici, resta eteronomo all’atto fondativo che solo il Papa può concedere.
Coloro che si pretendono Templari, se cattolici, incorrono nella scomunica ipso facto, in virtù del diritto canonico che punisce con sanzioni gravissime ogni uso indebito di titoli e forme che appartengono esclusivamente al magistero papale; se appartengono ad altri percorsi spirituali, filosofici o religiosi, restano semplicemente estranei alla storia ufficiale dei Santi Cavalieri, non parte di quella catena istituzionale che ha cessato di esistere nel 1312.
I Prelati cattolici che aprono le porte delle loro chiese o concedono spazi liturgici a quelle sigle, a quei gruppi che si proclamano “templari”, commettono atto sacrilegno: non perché nemici della storia, ma perché partecipi di una confusione attiva della verità canonica. L’atto liturgico non è decorativo: benedire, ricevere, far entrare in nome di Cristo e della Chiesa ciò che non è stato dall’autorità riconosciuto, significa tradire la distinzione che separa il sacro dal suo simulacro.
Nel silenzio tra le carte, tra documenti pontifici, tra bolle, decretali, si trova la fonte: l’esatto momento in cui l’Ordine cessò di esistere, non per abolizione storica vagante, ma per atto legale preciso. Nessuna nazione, nessun sovrano laico, per quanto potente nel suo regno, può restituire ciò che non gli è mai appartenuto in diritto ecclesiastico.
Il fascino che tuttavia l’idea del Templare esercita, nelle fantasie contemporanee, nelle organizzazioni pseudo-spirituali, nei titoli auto-attribuiti, deriva da quel vuoto istituzionale lasciato dalla scomparsa del referente legale. Una ferita che non è più sanguinante ma che pulsa nel mito e nell’immaginario collettivo, nell’attrazione per l’eroismo, per la purezza guerriera, per il mistero occulto.
E qui si gioca qualcosa d’essenziale riguardo al potere del simbolo: ciò che non esiste giuridicamente può esistere virtualmente, può vivere nella trama degli immaginari, nel desiderio di appartenenza, nell’aspirazione al sacro, al combattimento per credere, per difendere. Ma questo bisogno di autenticità, se non si fonda su autorità, cade nella mistificazione, nel gioco dell’illusione, nell’inganno di sé e degli altri.
Leggere “Templari e Templarismo” di G. Ventura, nella sua riedizione curata da Luciano F. Sciandra, non è un esercizio antiquario, ma un atto di presa di coscienza: dove termina la storia, dove comincia il mito; come il tentativo umano di immortalare un ordine che giuridicamente si era dissolto, ma simbolicamente sopravvive.
Tutto ciò richiama un’eco: il dovere del cristiano, del cattolico, non è ricevere ogni storia che si presenti come storia, ma discernere, domandare alle fonti, chiedere se davvero vi sia Bolla, atto pontificio, disciplina canonica che solo il Papa può stabilire. Non basta la volontà, non basta la pubblicità, non basta il richiamo a nomi, insegne, rituali.
E nelle pieghe del silenzio, della negazione, del rifiuto dei falsi titoli, si manifesta quel che rimane: il senso della dipendenza radicale dell’istituzione religiosa dal vertice che non può essere sostituito, ricostituito senza di lui, e tuttavia resiste nella memoria ecclesiale come monito di verità.
Nella sospensione dell’esistenza, nella mancata esistenza di un ordine che dichiara se stesso, si ritrova un invito: alla verità giuridica, al rispetto dell’ordine ecclesiastico, al rifiuto dell’uso improprio del sacro, al riconoscimento che alcuni poteri non si delegano, non si privatizzano, non si improvvisano.
Così l’Ordine dei Cavalieri Templari, come realtà attiva, è un’ombra che cerca luce, ma che trova la sua ragion d’essere solo se cioè fosse ricreato con atto pontificio legittimo: senza ciò, ogni proclamazione è vendetta del mito contro la storia, ogni designazione è rottura con l’autorità, ogni adesione è partecipazione a un travestimento del sacro.