
Omicron: crisi Globale tra Economia e Politica
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Salute e Sanità.
A cura di Ottavia Scorpati
L’emergere della variante Omicron nel novembre 2021 ha segnato una svolta decisiva nella pandemia, svelando fragilità profonde del sistema globale. Oltre a una nuova minaccia sanitaria, Omicron ha amplificato disuguaglianze economiche, tensioni geopolitiche e fragilità sociali, evidenziando i limiti delle risposte nazionali isolate, la carenza di cooperazione multilaterale e le disparità nell’accesso a vaccini e risorse. Questo approfondimento esplora come la pandemia si intrecci a dinamiche di potere, sviluppo economico e governance globale, ponendo l’urgenza di ripensare la salute pubblica come bene comune essenziale per la stabilità e la giustizia sociale nel mondo post-pandemico.
Nel novembre del 2021, mentre il mondo faticava ancora a lasciarsi alle spalle la prima fase della pandemia di Covid-19, la scoperta della variante Omicron ha segnato una cesura profonda, un brusco risveglio che ha messo in luce la fragilità di un sistema globale già provato. Non si è trattato semplicemente di una nuova minaccia sanitaria, ma di un catalizzatore che ha accelerato e amplificato dinamiche geopolitiche, economiche e sociali che erano già in atto, ma che fino ad allora si cercava di contenere o ignorare. Omicron ha infranto definitivamente l’illusione di un ritorno rapido alla normalità e ha reso evidente come la pandemia non fosse un’emergenza isolata, bensì un nodo cruciale in una rete complessa fatta di salute, diseguaglianze, governance globale e fragilità economiche.
La caratteristica principale di Omicron, le oltre trenta mutazioni sulla proteina Spike, ha facilitato una trasmissibilità estremamente rapida, facendo sì che in pochi giorni la variante fosse rilevata in decine di Paesi. Questo ha mostrato un fenomeno ormai consolidato: il virus si muove più velocemente delle politiche, e in un mondo iperconnesso l’assenza di coordinamento internazionale diventa una falla critica. Le reazioni nazionali, improvvise e spesso caotiche, si sono tradotte in chiusure di confini e restrizioni che non solo hanno rallentato l’economia globale, ma hanno anche accentuato un difetto strutturale della risposta globale: l’egoismo nazionale. Ogni Stato ha agito in ordine sparso, privilegiando strategie isolate che hanno finito per essere non solo inefficaci ma addirittura controproducenti, soprattutto per i Paesi più vulnerabili. I Paesi a basso reddito sono stati doppiamente colpiti: da un lato, identificati come focolai di rischio, spesso oggetto di stigmatizzazioni e misure discriminatorie; dall’altro, esclusi dalle forniture sanitarie essenziali, con vaccini, farmaci e tecnologie distribuiti in modo altamente diseguale.
La rilevazione della variante in Sudafrica ha innescato una reazione internazionale più politica che scientifica. Nonostante la rapidità e la trasparenza con cui le autorità sudafricane hanno condiviso i dati genetici, il continente africano è stato oggetto di sospensioni di voli e di una stigmatizzazione che ha rivelato la persistenza di vecchi schemi di esclusione e sospetto. Quella che avrebbe dovuto essere una dimostrazione di responsabilità globale si è trasformata in un’ulteriore marginalizzazione. È emblematico che a fine 2021 meno del 10% della popolazione africana avesse ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre in Europa e negli Stati Uniti si discuteva già di terze e quarte dosi. Questa disparità non è semplicemente una falla morale o etica, ma rappresenta un rischio concreto per la gestione globale della pandemia: un virus che circola liberamente in una parte del mondo può mutare e minacciare la salute di tutti, dimostrando quanto la sicurezza sanitaria sia un bene collettivo globale.
L’impatto economico di Omicron è stato altrettanto grave e immediato. La variante ha fatto esplodere tensioni che erano già presenti da mesi. I mercati finanziari, già fragili a causa di inflazione crescente e crisi nelle catene di approvvigionamento, hanno subito shock improvvisi, con crolli azionari che hanno inciso sulle aspettative di crescita. Settori particolarmente esposti come il turismo, i trasporti e l’ospitalità hanno registrato perdite ingenti, aggravando situazioni di fragilità in economie emergenti, soprattutto in Asia, Africa e America Latina. Queste economie sono rimaste incastrate in un circolo vizioso: debiti elevati, instabilità politica, scarsa capacità infrastrutturale e accesso limitato ai vaccini hanno creato un mix esplosivo che ha ulteriormente ridotto la capacità di risposta e resilienza. Le banche centrali si sono trovate a dover bilanciare il pressing per mantenere la crescita economica e la pressione inflazionistica, rischiando di frenare una ripresa già debole e diseguale. Si è così delineata una ripartenza “a due velocità”: da una parte le economie avanzate, dotate di maggiori margini di manovra e risorse finanziarie; dall’altra, il Sud globale, stretto tra carenze strutturali e una crisi sociale che si aggrava di giorno in giorno.
In parallelo, la pandemia ha posto sotto stress le istituzioni multilaterali. I 194 Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno avviato negoziati per un Trattato internazionale sulle pandemie, un tentativo ambizioso di creare un quadro comune per prevenire, gestire e rispondere a crisi future. Tuttavia, già dalle prime fasi è emersa la profondità delle divisioni: da un lato, la resistenza di molti Paesi a cedere sovranità nazionale su temi sensibili; dall’altro, la forte opposizione degli interessi industriali e politici alla liberalizzazione della proprietà intellettuale su vaccini e tecnologie mediche. Il fallimento di iniziative come COVAX ha dimostrato che le buone intenzioni non bastano senza strumenti vincolanti e trasparenti. Il rischio che anche questo trattato diventi un mero esercizio diplomatico, incapace di incidere realmente sulle dinamiche di potere e diseguaglianza, è molto concreto, e mette in discussione la capacità del sistema internazionale di evolversi e rispondere alle sfide globali.
La crisi di leadership globale si è manifestata in modo lampante nel modo in cui le principali potenze hanno affrontato Omicron. Gli Stati Uniti hanno adottato una strategia prevalentemente interna, focalizzandosi sulla protezione della propria popolazione e cercando di gestire le tensioni economiche e sociali interne. La Cina ha invece rafforzato la propria posizione tramite la cosiddetta “diplomazia del vaccino”, esportando dosi e supporto sanitario in Africa e Asia, ma con modalità opache e spesso legate a interessi geopolitici di lungo termine, più che a una genuina cooperazione globale. L’Unione Europea si è trovata divisa tra impulsi solidaristici e misure protezionistiche, mettendo a nudo contraddizioni interne che minano la sua capacità di agire come attore unitario e credibile a livello mondiale. Di fronte a questo vuoto di leadership, alcune realtà regionali come l’Unione Africana o l’ASEAN hanno tentato di proporre modelli alternativi di cooperazione, ma senza sufficiente peso politico ed economico per modificare significativamente l’ordine globale. La frammentazione della governance multilaterale, l’assenza di una regia comune e la lentezza decisionale hanno fatto da sfondo a un sistema globale in profonda crisi, incapace di garantire risposte efficaci ed eque.
Le conseguenze sociali della variante Omicron e delle misure di contenimento sono state devastanti, in particolare per le fasce più vulnerabili. Settori chiave come il lavoro precario, il turismo, la ristorazione e l’economia informale, che sostengono milioni di persone soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sono stati colpiti duramente, invertendo decenni di progressi nella lotta alla povertà. Donne, giovani e lavoratori marginalizzati hanno subito il peso maggiore di una crisi che ha aumentato disuguaglianze e tensioni sociali. Si è aperto così il rischio di una “stagflazione pandemica”, un mix pericoloso di inflazione alta, stagnazione economica e sfiducia collettiva nelle istituzioni e nel futuro. Questo scenario mette in evidenza come la salute non sia solo una questione medica, ma un pilastro politico e sociale, una vera e propria infrastruttura che sostiene la coesione e la resilienza delle società. Per uscire da questa crisi, sarà indispensabile ripensare la salute pubblica come bene comune, interconnesso con sviluppo economico, giustizia sociale e governance globale, superando i confini nazionali e le logiche di competizione sterile. Solo così si potrà costruire un futuro più stabile, equo e sostenibile in un mondo profondamente mutato.