
Ragione e le Sfide Globali
Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in Voci Aperte.
Allarme globale che racconta la crescente minaccia dei vita e invita a ripensare il nostro rapporto con simbolo.
L’oceano rappresenta oltre il 70% della superficie terrestre e costituisce la vera linfa vitale del nostro Pianeta. È la fonte primaria di vita non solo per l’umanità, ma per un’infinità di organismi che popolano la Terra. Attraverso processi biologici fondamentali, l’oceano produce almeno la metà dell’ossigeno che respiriamo, fungendo da gigantesco polmone blu per l’intero ecosistema terrestre. Al suo interno si concentra la maggior parte della biodiversità mondiale, e rappresenta una fonte insostituibile di proteine per oltre un miliardo di persone nel mondo. Questo vastissimo ambiente è anche un pilastro essenziale per l’economia globale: si stima che circa 40 milioni di persone lavorino in settori legati direttamente agli oceani, che vanno dalla pesca commerciale alla logistica marittima, passando per il turismo e la ricerca scientifica. Eppure, nonostante la sua importanza cruciale, l’oceano è in una condizione di grave rischio, minacciato da una molteplicità di fattori che, se non affrontati con urgenza, potrebbero compromettere irreparabilmente il suo equilibrio e la sua capacità di sostenere la vita.
Tra le minacce più allarmanti vi è l’inquinamento da plastica, un fenomeno di portata globale che ogni anno riversa nei mari e negli oceani circa 11 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, secondo i dati più recenti delle Nazioni Unite. Questo numero impressionante è destinato a crescere vertiginosamente, con proiezioni che prevedono un possibile triplicarsi entro il 2040, se non si intraprenderanno azioni concrete e incisive. Il risultato di questa dispersione di rifiuti è la formazione di enormi isole galleggianti di plastica, note come “garbage patches”, estese per milioni di chilometri quadrati, capaci di estendersi fino a 16 milioni di km², una superficie pari a circa 40 volte quella dell’Italia. Queste isole sono formate da un insieme di bottiglie, tappi, sacchetti, reti da pesca abbandonate e frammenti di microplastica, il tutto che non solo deturpa l’ambiente ma rappresenta una minaccia diretta per gli ecosistemi marini e per tutte le specie che li abitano.
In risposta a questa crisi ambientale senza precedenti, l’artista e architetto Maria Cristina Finucci ha ideato un progetto artistico di grande impatto e innovazione, chiamato “Wasteland”. Questo progetto mira a portare all’attenzione globale il problema delle isole di plastica non soltanto come fenomeno ambientale, ma come un vero e proprio stato simbolico, una nazione immaginaria formata da rifiuti plastici, battezzata Garbage Patch State. Attraverso una forma di arte concettuale e performativa, Finucci ha creato un “Stato” dotato di una propria bandiera, costituzione, registro anagrafico, ministri e ambasciatori, dando vita a una rappresentazione fisica e simbolica di questa piaga ecologica. Il Garbage Patch State è stato ufficialmente dichiarato indipendente l’11 aprile 2013 in una performance tenutasi presso la sede dell’UNESCO a Parigi, dove l’artista ha proclamato questo Stato come entità a sé stante, con una presenza e una responsabilità riconosciute.
Maria Cristina Finucci, come capo di questo singolare Stato, ha firmato l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, sottolineando l’importanza di riconoscere questa “nazione” fatta di plastica come un problema urgente e globale che appartiene a tutta l’umanità. Questo progetto mette in luce una verità spesso invisibile: quella che la plastica che invade gli oceani è composta da oggetti di uso quotidiano, provenienti da tutte le nostre vite, da bottiglie, piatti, bicchieri, sacchetti, pezzi di plastica di ogni tipo che ognuno di noi ha utilizzato, inquinando inconsapevolmente. Il Garbage Patch State non è dunque solo un’allerta, ma anche una forma di presa di coscienza collettiva che invita a una responsabilità condivisa.
La potenza del messaggio artistico di Finucci non si limita alla creazione di uno Stato simbolico. Ha anche portato avanti una serie di installazioni monumentali nei luoghi più simbolici del mondo, come il Foro Romano a Roma, la sede delle Nazioni Unite a New York, e piazze importanti di città come Milano, Parigi e Madrid. In queste installazioni, attraverso l’assemblaggio di rifiuti plastici e tappi colorati incatenati in strutture metalliche, è stata scritta la parola “HELP” – un grido d’allarme rivolto all’umanità intera affinché si fermi l’avanzare della crisi ambientale. Emmanuele F.M. Emanuele, presidente della Fondazione “Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo”, ha sottolineato l’importanza di questo gesto artistico, capace di evocare la sensibilità collettiva verso la tragedia ambientale in corso.
La creazione di uno Stato artificiale di plastica serve a sottolineare l’urgenza e la gravità del problema che rischia di compromettere la nostra stessa sopravvivenza. Maria Cristina Finucci ha iniziato questo percorso più di dieci anni fa, intuendo già allora il grave pericolo che incombeva sulla vita del Pianeta e sulla nostra esistenza, messa in pericolo da scelte che ormai conosciamo essere dannose e consapevoli. Attraverso le sue installazioni ha denunciato in particolare il problema della microplastica e nanoplastica, frammenti piccolissimi che entrano nella catena alimentare marina e umana, con effetti potenzialmente devastanti e ancora poco conosciuti. Le sue opere, disseminate in luoghi di forte valenza simbolica, hanno contribuito a diffondere una maggiore consapevolezza globale, sebbene i risultati concreti in termini di riduzione dell’inquinamento e tutela ambientale tardino ancora a manifestarsi.
Accanto al tema dell’inquinamento da plastica, un altro grave problema che affligge gli oceani è il sovrasfruttamento delle risorse marine. Il WWF denuncia come un terzo degli oceani e due terzi delle piattaforme continentali marine siano oggi sottoposti a pesca intensiva, spesso non regolamentata, che mette a rischio la sopravvivenza di molte specie marine. Si calcola che l’80% delle riserve ittiche mondiali sia ormai compromesso, con popolazioni di pesci ridotte al limite della sostenibilità o addirittura estinte in alcune aree. Sono oltre 400 le cosiddette “zone morte” nel mare, aree vastissime dove la carenza di ossigeno impedisce la vita degli organismi marini, coprendo una superficie di 250 mila chilometri quadrati. A questo si aggiunge la distruzione di barriere coralline, habitat fondamentali per la biodiversità marina, che sono state danneggiate per oltre il 50%. Il risultato è che stiamo prelevando dall’oceano più di quanto esso possa rigenerare, in un processo di sfruttamento insostenibile e devastante.
La crescente gravità di queste crisi ambientali ha spinto la comunità internazionale a reagire con decisione. Nasce così la “Global Ocean Commission”, un organismo indipendente nato dalla collaborazione tra enti pubblici, privati e associazioni ambientaliste, che ha il compito di studiare la situazione degli oceani e proporre soluzioni per fermarne il degrado. Questo lavoro ha portato all’approvazione, da parte di rappresentanti di 175 Nazioni, di una storica risoluzione a Nairobi, intitolata “End Plastic Pollution: Towards an international legally binding instrument”. Questa risoluzione impegna i Paesi a creare un accordo internazionale giuridicamente vincolante entro la fine del 2024, per affrontare l’intero ciclo di vita della plastica, dalla sua progettazione alla produzione e allo smaltimento, con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento plastico globale. Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), ha definito questo accordo come la polizza assicurativa più importante per il nostro tempo, capace di garantire alle generazioni presenti e future la possibilità di convivere con la plastica senza esserne schiavi o vittime.
In un’epoca segnata da crisi ambientali, tensioni geopolitiche e rivoluzioni tecnologiche, si delinea un quadro di complessità senza precedenti, che impone di ripensare profondamente il nostro rapporto con la realtà che ci circonda. Non è più sufficiente reagire agli eventi, ma è necessario intraprendere un cammino consapevole e creativo che integri riflessione, trasformazione e azione. Questo processo coinvolge tutte le dimensioni dell’essere umano: la mente razionale, la sfera spirituale e gli strumenti culturali e pedagogici che ci permettono di crescere sia come individui sia come comunità. Le crisi possono diventare opportunità se siamo in grado di metterci in gioco e di elaborare risposte innovative, empatiche e lungimiranti.
Il 2024 rappresenta un anno cruciale, un punto di svolta che richiede agilità strategica: non una semplice capacità di reazione rapida, ma una flessibilità che permetta di superare vecchi schemi economici e politici per abbracciare un modello di sviluppo più umano, integrale, centrato sulla persona. In questo contesto, è essenziale sviluppare una capacità di leadership in grado di ascoltare la diversità, favorire il dialogo e promuovere la coesione sociale. Solo così potremo costruire un futuro sostenibile, equo e resiliente, capace di preservare l’oceano e la vita che esso sostiene.
Oceano è la linfa vitale del nostro Pianeta e la sua salvaguardia è una responsabilità collettiva che riguarda tutti noi. Il progetto artistico Garbage Patch State di Maria Cristina Finucci è un potente strumento di sensibilizzazione che ci spinge a riflettere sul nostro impatto quotidiano e sull’urgenza di cambiare rotta. Solo attraverso un impegno globale coordinato, che unisca scienza, politica, arte e società civile, potremo sperare di proteggere questo bene prezioso e garantire un futuro di vita e speranza per le generazioni a venire.
©Danilo Pette