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Rivive Apollo del Belvedere  

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in .

Dopo cinque anni di restauro, la celebre statua torna a splendere nei Musei Vaticani, grazie a un intervento che unisce tecniche moderne e rigore filologico, restituendo alla scultura la sua bellezza e stabilità originarie.L’Apollo del Belvedere rappresenta uno dei simboli più emblematici dell’arte classica, ammirato per secoli come ideale di perfezione estetica e armonia formale. Questa celebre scultura, capolavoro della tradizione greca poi reinterpretata dai Romani, ha attraversato una storia complessa fatta di spostamenti, restauri e vicissitudini storiche. La sua conservazione è stata una sfida continua, che ha richiesto nel tempo interventi sempre più sofisticati per mantenere intatto il suo valore artistico e culturale. Il recente restauro, durato quasi cinque anni, segna una tappa fondamentale nella tutela di questo monumento, grazie all’impiego di tecnologie all’avanguardia e a un approccio multidisciplinare che ha permesso di affrontare le fragilità strutturali e di restituire all’Apollo un aspetto più vicino all’originale, rivelando dettagli prima nascosti e garantendo la sua conservazione per le generazioni future. In questo approfondimento, analizzeremo le tappe del restauro, le sfide tecniche affrontate e il significato culturale di questo grande intervento conservativo.

Dopo un’attesa lunga e complessa durata quasi cinque anni, l’Apollo del Belvedere, uno dei capolavori più ammirati e simbolici dell’arte antica, è tornato a risplendere nei Musei Vaticani con un aspetto rinnovato che coniuga magistralmente tradizione e innovazione tecnologica. Questa celebre scultura marmorea, datata alla metà del II secolo d.C. e riconosciuta come copia romana di un originale bronzo greco realizzato tra il 330 e il 320 a.C. dallo scultore ateniese Leokare, è stata sottoposta a un restauro straordinario e delicato, frutto di un lungo lavoro scientifico e artistico che ha permesso di salvaguardare un’eredità culturale di valore inestimabile.

L’Apollo, noto per la sua postura slanciata e dinamica, che lo ritrae nel momento esatto in cui scocca una freccia, incarna un equilibrio armonico tra la classicità greca e la raffinata maestria romana nella riproduzione artistica. La statua, scoperta nel 1489 sul colle Viminale da Giuliano della Rovere – futuro Papa Giulio II – venne trasportata in Vaticano proprio per volere di quest’ultimo, che desiderava consacrare il suo pontificato con un forte richiamo alla grandiosità della Roma antica, collocandola nel Cortile del Belvedere. Da allora, questa scultura ha attraversato i secoli, affascinando generazioni di artisti, studiosi e visitatori, divenendo un vero e proprio simbolo di perfezione estetica e ispirazione artistica.

Il percorso della statua non è stato tuttavia privo di difficoltà: nel tempo ha subito numerosi spostamenti e manomissioni, è stata esposta per lunghi periodi all’aperto, ed è passata attraverso eventi storici turbolenti come le spoliazioni napoleoniche, durante le quali fu trafugata e portata a Parigi per essere restituita a Roma solo nel 1816 grazie all’intervento di Antonio Canova. Questi eventi hanno lasciato segni evidenti sulla struttura, tra cui fratture, perdite di materia marmorea e interventi di restauro precedenti, come quello del 1511 a opera di Giovanni Angelo Montorsoli, che ricostruì la mano sinistra e parti del braccio destro, e quello più recente di circa quarant’anni fa, quando furono utilizzate resine poliestere per sostituire parti di marmo danneggiate.

Nel dicembre 2019, un monitoraggio approfondito ha rivelato criticità strutturali che rischiavano di compromettere irreparabilmente la statua, evidenziando fragilità alle gambe, con microfratture alle ginocchia e alle caviglie, nonché la perdita di materia in diverse zone. La necessità di intervenire in maniera tempestiva per evitare il disfacimento di un’opera così preziosa si è scontrata però con l’imprevisto sopraggiungere della pandemia di COVID-19, che ha rallentato e complicato il lavoro di restauro, imponendo una pausa forzata e un lungo periodo di attesa.

Quando i lavori sono potuti riprendere, il progetto di restauro è stato affrontato con un approccio multidisciplinare, capace di coniugare l’uso delle più moderne tecnologie con un rigoroso rispetto filologico, al fine di preservare l’integrità estetica e strutturale dell’opera. Il coordinamento è stato affidato alla direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, affiancata da un team di esperti che includeva Giandomenico Spinola, vice direttore artistico-scientifico; Claudia Valeri, curatrice del Reparto Antichità Greche e Romane; Guy Devreux, responsabile del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei; e Fabio Morresi, responsabile del Gabinetto di Ricerche Scientifiche.

Uno degli interventi chiave ha riguardato il problema della stabilità della statua, messa a rischio dal peso del braccio sinistro proteso in avanti e dal lungo drappeggio del mantello, che gravava sulle fragili gambe indebolite dal tempo e da precedenti restauri non completamente risolutivi. Dopo aver analizzato diverse soluzioni, il team ha deciso di adottare una tecnica che si rifà a un precedente storico: come già fatto nel Cinquecento e da Antonio Canova nel 1816, la statua è stata ancorata al basamento tramite un sistema di sostegno interno. Questa volta, però, la barra metallica è stata sostituita da un innovativo elemento in fibra di carbonio, un materiale leggero ma estremamente resistente, inserito nel plinto e nel tronco posteriore, utilizzando solo fori e incassi preesistenti, così da non alterare ulteriormente la struttura originale. Questa soluzione ha permesso di ridurre il peso che grava sulle parti più delicate di circa 150 chilogrammi, alleggerendo significativamente il carico e migliorando il bilanciamento complessivo della statua.

Durante la fase di pulitura, è emersa una scoperta di grande interesse storico e artistico: tra i riccioli della chioma dell’Apollo sono riapparse tracce di policromia violacea, un residuo della preparazione alla doratura che anticamente avrebbe impreziosito i capelli della scultura con foglie d’oro, rivelando un aspetto dell’opera che arricchisce la nostra comprensione del suo originale impatto visivo e della cura estrema con cui era stata concepita.

Un altro intervento di grande valore filologico ha riguardato la sostituzione della mano sinistra, un elemento fondamentale per la naturalezza del gesto del dio. La mano ricostruita nel Cinquecento da Montorsoli, benché funzionale, risultava meno proporzionata e meno fedele al modello originale. Fortunatamente, negli anni Cinquanta del Novecento, tra le rovine di un palazzo imperiale di Baia, a nord di Napoli, furono rinvenuti oltre cento frammenti di calchi in gesso appartenenti a un’officina che conservava copie degli originali bronzi greci del V e IV secolo a.C. Tra questi calchi è stata identificata anche la mano sinistra mancante dell’Apollo. Questo ha consentito ai restauratori di sostituire l’intervento cinquecentesco con una mano più aderente alla versione originaria, più proporzionata, leggera e naturale, restituendo così alla statua la postura autentica concepita da Leokare.

Tutto il restauro è stato accompagnato da una serie di approfondimenti scientifici, tra cui esami con ultrasuoni per rilevare fratture nascoste e analisi chimiche sui materiali usati nelle precedenti integrazioni, per garantire la compatibilità e la durabilità degli interventi. L’intervento si è rivelato non solo un’operazione di conservazione ma anche di conoscenza approfondita, capace di arricchire la storia della statua e la sua interpretazione.

La cerimonia di inaugurazione dell’Apollo restaurato si è svolta il 14 ottobre 2024 nel suggestivo Cortile Ottagono dei Musei Vaticani, alla presenza di numerose personalità del mondo della cultura e delle istituzioni. Il Cardinale Fernando Vérgez Alzaga, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, ha presieduto lo svelamento ufficiale dell’opera, accompagnato dalla direttrice Barbara Jatta e da tutti gli esperti coinvolti nel progetto. Nel suo intervento, il cardinale ha ricordato come l’Apollo abbia suscitato stupore e ammirazione sin dalla sua scoperta, sottolineando il valore simbolico dell’opera come ideale supremo dell’arte classica, un faro di ispirazione per artisti e amanti dell’arte di ogni epoca.

Il Cardinale ha poi evidenziato la difficoltà di dover interrompere il restauro a causa della pandemia, un evento che ha messo in pausa non solo il mondo intero ma anche le attività culturali, evidenziando come la scultura stessa abbia dovuto “attendere il ritorno alla normalità”. Grazie alla generosità dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums e al contributo fondamentale della Bank of America Art Conservation Project 2021, il progetto ha potuto riprendere e giungere a compimento, garantendo così la conservazione per i secoli a venire.

Barbara Jatta ha ribadito come questo restauro rappresenti il percorso innovativo dei Musei Vaticani, in cui il dialogo tra tradizione e tecnologia è fondamentale per valorizzare e tutelare il patrimonio artistico. Un progetto che coniuga meticolosità scientifica e rispetto filologico, assicurando stabilità senza compromettere la bellezza e l’autenticità dell’opera. Il restauro non ha solo riparato le fragilità strutturali ma ha restituito all’Apollo un vigore plastico e una luminosità che avevano rischiato di perdersi, riportando alla luce dettagli cromatici che aggiungono profondità alla sua interpretazione.

Il team tecnico, guidato da esperti quali Giandomenico Spinola, Claudia Valeri, Guy Devreux, Fabio Morresi, e i restauratori Andrea Felice e Valentina Felici, ha superato le numerose sfide poste da un’opera così fragile e complessa, dimostrando come l’integrazione di competenze scientifiche, tecnologiche e storiche sia la chiave per il successo di interventi di questo calibro. La collaborazione interdisciplinare ha permesso di adottare soluzioni innovative come la barra in fibra di carbonio, di monitorare costantemente lo stato della scultura con strumenti all’avanguardia e di mantenere un approccio filologico rigoroso, soprattutto nella ricostruzione della mano e nel rispetto delle superfici originali.

Nonostante la riapertura al pubblico, il lavoro di monitoraggio e conservazione non si ferma. Gli esperti hanno annunciato che continueranno i controlli strutturali e chimici per assicurare che l’opera rimanga in condizioni ottimali nel tempo, con la possibilità di valutare anche la realizzazione di una copertura permanente per il Cortile Ottagono, a tutela delle statue dagli agenti atmosferici, al fine di garantire la conservazione degli interventi effettuati e prevenire futuri danni.

Questo restauro non rappresenta solo un’operazione di conservazione, ma un’occasione di riflessione sul ruolo della tecnologia nell’arte, sull’importanza di combinare innovazione e rispetto per il passato, e sulla responsabilità dei musei nel preservare il patrimonio culturale universale per le generazioni future. Come ha sottolineato Barbara Jatta, i Musei Vaticani si confermano così custodi e promotori di un’eredità che non è solo fatta di opere d’arte, ma anche di memoria, conoscenza e dialogo tra epoche diverse.

La statua, con la sua nuova veste, è oggi pronta a continuare a ispirare, affascinare e sfidare il tempo, portando con sé la storia di millenni e raccontando al mondo il valore eterno della bellezza classica. La sua nuova mano, il sostegno invisibile ma fondamentale, la luminosità rinata e i dettagli ritrovati restituiscono un’immagine di Apollo più vicina al suo spirito originale, capace di parlare al pubblico moderno e agli studiosi con la stessa forza e meraviglia di sempre.

Il ritorno dell’Apollo del Belvedere nei Musei Vaticani rappresenta un evento di straordinaria rilevanza culturale, un trionfo della scienza applicata alla conservazione dell’arte e una celebrazione della capacità umana di mantenere viva la bellezza e il sapere attraverso i secoli. Questo capolavoro, espressione sublime di arte, tecnica e storia, è oggi più che mai testimonianza di un dialogo senza tempo tra passato e futuro, capace di raccontare al mondo l’incanto immortale della creatività umana.

©Danilo Pette

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