Skip to main content

Stati Uniti e Monarchie del Medio Oriente

Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in .

A cura di Ottavia Scorpati

Il ritorno di Donald Trump nelle monarchie del Golfo segna un rilancio delle sue relazioni economiche e politiche con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, tra interessi personali, contratti miliardari e delicate sfide diplomatiche.

Il ritorno di Donald Trump nel Golfo, con una serie di visite ufficiali in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, segna una nuova fase nelle sue politiche estere e nelle relazioni bilaterali tra gli Stati Uniti e le monarchie del Medio Oriente. Questa visita, che ha assunto una forte valenza economica e geopolitica, non è solo un atto di rinnovato impegno diplomatico, ma anche una manifestazione tangibile degli interessi personali e commerciali che da sempre caratterizzano l’ex presidente.

Trump ha fatto del Golfo uno dei pilastri della sua politica estera, preferendo i Paesi ricchi di petrolio e investimenti alle tradizionali alleanze transatlantiche, come quelle con il Regno Unito o il Canada. Oltre a consolidare il già solido legame con i leader di queste monarchie, il presidente ha anche preso posizione su alcune delle più controverse questioni geopolitiche della regione, come il programma nucleare iraniano e il conflitto israelo-palestinese, cercando di orchestrare un equilibrio tra alleanze, affari e diplomazia.

In parallelo, gli affari personali della Trump Organization – dalla costruzione di torri a Jeddah ai progetti immobiliari di lusso a Dubai – si intrecciano con la sua agenda politica, portando a interrogativi su quanto le sue strategie internazionali possano essere influenzate da interessi privati. Con un occhio attento agli sviluppi economici e una strategia diplomatica mirata, Trump prova a riaffermare il proprio peso nel contesto internazionale, mentre riafferma il proprio legame personale con le monarchie del Golfo, che hanno mostrato di apprezzare la sua visione pragmatica della politica estera.

Donald Trump è tornato nel Golfo, un’area geopoliticamente centrale, attraversata da una rete di alleanze strategiche, affari e negoziati diplomatici che rivestono una crescente importanza per la sua visione politica e il suo business personale. La sua recente visita ufficiale in Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti non solo rievoca i legami di affari e cooperazione economica stabiliti durante il suo primo mandato presidenziale, ma rilancia anche un quadro di alleanze internazionali in continua evoluzione. Il ritorno di Trump nel Golfo, tuttavia, non è solo un’operazione geopolitica di grande respiro, ma anche una strategia strettamente legata ai suoi interessi privati, come dimostra l’influenza della Trump Organization nella regione. In questo contesto, i temi economici, diplomatici e politici si intrecciano in maniera indissolubile, alimentando un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali.

Fin dal suo primo mandato, Donald Trump ha dimostrato un’attenzione particolare nei confronti delle monarchie del Golfo, un rapporto che sembra intensificarsi con la sua nuova campagna presidenziale. Contrariamente a quanto accadeva con l’amministrazione Obama, che mostrava una certa distanza dai regimi del Golfo, Trump ha scelto di concentrarsi principalmente su questi partner. La visita, che ha incluso tappe in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, si è inserita in una strategia che punta a riprendere il dialogo con alleati storici in chiave economica e militare.

Trump ha sempre visto il Golfo come un terreno fertile per il business e la diplomazia, e la sua politica si è mossa di pari passo con l’aspirazione di costruire relazioni bilaterali che fossero vantaggiose sia sotto il profilo economico che geopolitico. La visita del 2025, che sarebbe potuta essere la prima tappa di un viaggio internazionale della sua nuova campagna presidenziale, non è solo una dimostrazione del suo ritorno sulla scena mondiale, ma anche un’iniziativa fortemente orientata all’ottenimento di vantaggi per l’economia statunitense. In un periodo in cui l’America si trova a fronteggiare sfide interne ed esterne, la riapertura dei legami con i Paesi del Golfo diventa un obiettivo prioritario.

La visita di Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti ha avuto una connotazione fortemente economica. Gli Stati Uniti, infatti, sono in un momento critico dal punto di vista economico. La politica protezionistica avviata da Trump nel suo primo mandato ha avuto effetti ambivalenti sull’economia nazionale. Tuttavia, nonostante alcune difficoltà interne, il presidente ha scelto di puntare su contratti economici che comprendono principalmente settori come la difesa, l’energia e le nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale.

Uno degli elementi più significativi emersi è stato l’accordo per la vendita di missili all’Arabia Saudita, del valore di 3,5 miliardi di dollari. In cambio, Riad ha promesso investimenti da 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni. Questo scambio di favori rappresenta una strategia consolidata tra i Paesi del Golfo e gli Stati Uniti, che ha visto in passato gli acquisti militari delle monarchie del Golfo come una vera e propria linfa per le industrie belliche americane. Inoltre, l’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, insieme agli altri membri dell’OPEC+, hanno deciso di aumentare la produzione di petrolio, un’iniziativa che ha come obiettivo la riduzione dei prezzi energetici, una mossa che giova direttamente alla Casa Bianca, dato che Trump ha sempre sostenuto politiche di abbassamento dei prezzi del carburante.

L’orientamento economico di Trump, tuttavia, non è limitato ai settori tradizionali. L’interesse per l’intelligenza artificiale, ad esempio, è diventato uno degli ambiti di maggiore attenzione, con contratti mirati a rafforzare la cooperazione tra gli Stati Uniti e i Paesi del Golfo in questa area altamente strategica. L’intelligenza artificiale, la cyber-sicurezza e la tecnologia della difesa sono diventati temi cruciali nelle relazioni tra Washington e il Golfo, con particolare riferimento agli Emirati Arabi Uniti, che hanno sviluppato iniziative molto avanzate in questo campo.

Non si può ignorare, in questa nuova fase, il ruolo preponderante che la Trump Organization svolge negli affari internazionali del presidente. I legami economici non si limitano all’aspetto istituzionale, ma coinvolgono anche gli interessi personali della famiglia Trump. L’investimento nel settore immobiliare di lusso, in particolare in luoghi come Dubai e Jeddah, ha permesso alla famiglia di Trump di consolidare la sua presenza commerciale nel Golfo. Progetti come la Trump Tower in costruzione a Jeddah e i campi da golf in Dubai non sono solo dimostrazioni della proiezione globale del marchio Trump, ma rappresentano anche una fonte significativa di guadagni per la famiglia.

La questione degli affari familiari di Trump è stata oggetto di dibattito. Nonostante la portavoce della Casa Bianca abbia cercato di minimizzare le speculazioni in merito, molti osservatori internazionali hanno notato che l’intreccio di affari e politica potrebbe sollevare preoccupazioni. Eric Trump, ad esempio, ha recentemente annunciato un accordo con un fondo emiratino per investire 2 miliardi di dollari in criptovalute tramite la sua società. In ogni caso, è evidente che le monarchie del Golfo abbiano visto nell’amministrazione Trump una grande opportunità per sviluppare progetti economici con un marchio che evoca successo, lusso e affari.

Oltre agli affari, la visita di Trump ha avuto una valenza politica significativa. Il presidente ha incontrato i leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), un’organizzazione che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore peso diplomatico, giocando un ruolo centrale nella mediazione di crisi internazionali come quelle in Ucraina e Gaza. Il ritorno di Trump in Golfo va visto anche alla luce delle sfide geopolitiche che coinvolgono il Medio Oriente, in particolare la questione iraniana e il conflitto israelo-palestinese.

L’Iran rimane uno dei temi caldi. La politica di Trump sul nucleare iraniano si è sempre contraddistinta per l’approccio duro, con il ritiro unilaterale dagli accordi nucleari del 2015 e l’imposizione di sanzioni economiche. Nel contesto della sua visita, Trump ha ribadito il suo impegno a contrastare l’espansione nucleare iraniana, ma allo stesso tempo ha cercato di riequilibrare le posizioni tra gli alleati del Golfo e la sua amministrazione, che sta cercando di mediare una possibile soluzione diplomatica al conflitto in Yemen, ma anche alla crisi siriana.

Un altro aspetto cruciale riguarda la questione israelo-palestinese. Trump ha avanzato l’idea di un possibile riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita, ma Riad ha posto come condizione la creazione di uno Stato palestinese. In questo delicato equilibrio, Trump dovrà navigare tra le pressioni interne e quelle provenienti dai suoi alleati, cercando di risolvere un conflitto che rimane una delle sfide più grandi per la diplomazia internazionale.

La visita di Trump non è solo una questione di affari e politica, ma rappresenta anche una forma di “rilegittimazione” per le monarchie del Golfo. Questi Paesi, che durante l’amministrazione Biden sono stati più volte al centro delle critiche per le violazioni dei diritti umani, trovano in Trump un alleato che non solo ha mostrato un’aperta simpatia verso i leader della regione, ma che ha anche evitato di sollevare questioni delicate come quelle legate ai diritti umani. L’assenza di una visita a Israele, come avvenne nel 2017, non deve essere interpretata come un allontanamento da Tel Aviv, ma piuttosto come una chiara strategia di riavvicinamento ai Paesi del Golfo senza porre condizioni legate ai diritti umani.

Nel Golfo si inserisce in un contesto complesso che unisce affari, diplomazia e alleanze strategiche. La sua capacità di manovrare tra i vari interessi economici e politici, mentre promuove gli interessi della sua famiglia e della sua amministrazione, conferma la sua abilità nell’intrecciare la sfera privata con quella pubblica, mettendo a frutto la sua esperienza da uomo d’affari per ridefinire le priorità degli Stati Uniti in Medio Oriente.

 

Condividi su: