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STORIA e Fascismo: la storia va studiata e non recitata come filastrocca

Scritto da Massimo Rossi il . Pubblicato in .

 

Ci sono categorie politiche che hanno la capacità di attraversare i tempi e gli anni (anche decenni o più). Hanno la capacità di evocare, grazie al martellante operato di alcuni, degli spauracchi e delle paure che si fondano, essenzialmente, o su suggestioni o sull’ignoranza. Una categoria politica che ha questa capacità è il “fascismo”.

Il Fascismo come movimento politico e storico ha una origine ed una fine storicamente datate. Nasce nel 1920 (circa) ed ha il suo epilogo tra il 1943 e il 1945. L’esperienza del Fascismo è una esperienza del tutto legata a quegli anni; una esperienza molto controversa. Volenti o nolenti è la nostra storia è il nostro passato ed è un pezzo di storia italiana e, per certi versi, non del tutto analizzato. La storia prima ancora di “citarla” senza conoscerla, va studiata e, verrebbe da dire, parecchio bene.

Il Fascismo ha avuto negli anni ’20 (ormai oltre un secolo fa) una evoluzione che potremo definire a “gradi”. Nasce, in sostanza, dal mondo rurale e dalla borghesia del nord operosa. Nasce da un profondo malcontento delle classi meno agiate ed operose che hanno retto le enorme crisi della prima guerra mondiale ed ebbero a reggere la “rinascita” del dopo guerra. Nasce il Fascismo da moti sociali e dalle classi più basse. Nasce da quel mondo socialista che non riconosceva più al socialismo il ruolo di traino e di stimolo della società italiana. Nascono i fasci del lavoro e delle corporazioni come realtà sociali e di tutela dei lavoratori in primo luogo dei lavoratori dell’agricoltura e dell’artigianato.

muoveva con scaltrezza, 

Benito Mussolini non era certo un uomo di alta cultura e non proveniva dalle classi agiate, ma era un uomo, comunque, che ha dapprima ricoperto il ruolo di direttore del quotidiano socialista l’Avanti e più tardi attua una vera e propria scissione. Un uomo di lettere non lo è mai stato, la sua origine era umile (anche se non proletaria) e l’ambito nel quale si è mosso è quello della rivendicazione socialista e sociale: oggi si direbbe populista. Un ambito ed un settore nel quale il giovane Benito si ma anche con la consapevolezza del limite.

La fondazione del partito Fascista non è altro che una “mini” scissione dal partito socialista e fiorisce a gemma, ma sostanzialmente all’inizio è preso come un fenomeno poco più che folcloristico. Benito Mussolini (e chi gli era accanto) hanno, però, una intuizione in quel tempo: l’Italia ha bisogno di una guida forte e la monarchia tentenna, appare in tutta la sua inadeguatezza. L’Italia deve trovare, dopo la rovinosa prima guerra mondiale, una sua collocazione nello scacchiere mondiale. Non è una nazione che ha vinto la guerra, ma una nazione che l’ha persa e che la monarchia governava con l’appoggio dei nobili ed aristocratici, i quali non riuscivano ad intercettare i bisogni delle classi operaie e rurali.
L’intuizione è che occorre una guida salda ed un governo che non abbia tentennamenti. Diciamo l’idea in se era non solo corretta, ma del tutto azzeccata. L’Italia, in quel momento storico, era allo sbando politico e sociale. Era uscita povera, impoverita nelle classi operaie e rurali, del tutto annientata a livello internazionale e, soprattutto, con una guida incerta, che non comprendeva i bisogni e le necessità delle classi meno agiate.

La marcia su Roma non fu un successo, come il regime poi volle glorificare, ma fu una “prova” che il Paese aveva bisogno di una guida sicura e/o rassicurante, un capo popolo, un Dux alla ateniese maniera. Aveva bisogno di sperare in un futuro ed il futuro era fascista, era in quel concetto di ordine e di equità che fu il primo periodo del Fascismo; una rinnovata fierezza del popolo italiano e una ritrovata fiducia in valori di Patria, famiglia e autarchia. Quelle camice nere (le masse dovevano capire chi fossero) non impersonavano il passato, non impersonavano il “macello” che fu la prima guerra mondiale dove morirono per lo più contadini e povera gente in quelle trincee bagnate dal sangue e dal sudore di ragazzi poco più che diciottenni.

I reduci tornarono, quando riuscirono a farlo, storpi e malati alle loro case, ormai ridotte a catapecchie ed alle loro famiglie  portate alla povertà. Questa era l’Italia del 1919 e non uno splendido paradiso in cui si poteva filosofeggiare e tanto meno festeggiare la fine del conflitto mondiale. Il Fascismo al suo nascere e per alcuni anni non fu una dittatura e la marcia su Roma non fu un trionfo, ma una “carnevalata” a tratti ridicola, a tratti suggestiva ed a tratti oscena. Ma vi era un dato: Roma era il centro di quella Italia che voleva risorgere dalle maceria del primo conflitto mondiale.

Roma era la capitale di un regno che doveva diventare un Impero e lo diventerà con enormi sforzi e distonie. Il fascismo impersonava la speranza in un mondo migliore, in un “sol dell’avvenire” che questa Italia di contadini e di commercianti si sarebbe meritata ma che era difficile, per non dire impossibile, anche solo pensare. Le ragioni per le quali il Fascismo diventa altro sono, in sostanza ed in una sintesi estrema, tre:
a) il delitto Matteotti ed il discorso di Mussolini alla Camera dei Fasci;  b) l’introduzione delle orrende ed orribili leggi razziali;  c) l’entrata in guerra al fianco della Germania nazista.

Non sono poca cosa, anzi, sono tutto. Con il delitto Matteotti il Fascismo diventa una dittatura a tutto tondo e, nonostante ciò, si è assistito nella storia alla incapacità degli altri partiti  “aventiniani” di porre un argine: l’Aventino fu la tomba dei partiti storici che aprì la strada al fascismo. La democrazia era venuta meno e la dittatura nel 1924 ebbe inizio. La dittatura come la conosciamo e come si è sviluppata si è macchiata di orribili colpe e nefandezze: le leggi razziali sono state l’apice, ma non l’unico esempio. Anche qui, la storia insegna che l’Italia non era (e non è) antisemita. Moltissimi ebrei furono salvati dagli italiani ed anche da italiani che avevano aderito al movimento fascista.

La dittatura, però, legiferò le vergognose leggi razziali e si pose alla stregua della Germania nazista solo perché era convinto il Duce di poter vincere la guerra ed acquisire quel consenso internazionale perso col primo conflitto mondiale. Una follia in piena regola, una colpa assoluta e grave di un regime che non aveva il senso del limite e il senso della storia.

La Germania nazista non doveva e non poteva essere un alleato affidabile e gli atti di guerra già compiti prima del 1940 lo testimoniavano. La potenza militare tedesca non aveva confronto in Europa e poteva competere solo con quella britannica e degli Stati Uniti. Le leggi razziali furono una macchia indelebile che il Fascismo come tale, ma quel regime e non altri, si porta con se nelle pagine di storia. Le leggi razziali sono una sciagura per il regime (dittatura piena) e lo è ancora di più in termini di vite l’entrata in guerra del 1940. Pagina di storia che la monarchia con il Generale Badoglio (con molto ritardo e miopia) fermano (almeno in parte) quell’8 settembre del 1943. Fine della dittatura, fine del Fascismo come movimento politico ed inizio dei quella che gli storici, oggi, finalmente, chiamano con il loro nome: guerra civile.

L’Italia nel 1943 dopo l’armistizio era un teatro di guerra in più fronti e calpestata da più eserciti. Vi erano gli eserciti di liberazione (angolo-francesi e statunitensi) che stavano occupando (e liberando) l’Italia, vi era l’occupazione nazista che fece stragi tremende e vigliacche e poi vi furono una schiera di italiani (anche in buona fede) che aderirono alla Repubblica di Salò. L’altra Italia (magari prima anche fascista) si era coalizzata in truppe partigiane che combattevano contro i nazisti ed i fascisti al fianco delle truppe alleate. Nei fatti avevamo italiani contro italiani e questa è, per sua natura, una guerra civile.

La guerra civile e la fine definitiva della dittatura fascista avviene con la liberazione del 1945 ad opera delle truppe alleate e dei partigiani e con l’amnistia voluta dal Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti (segretario del Partito Comunista Italiano). Togliatti (Ministro ed ex detenuto nelle carceri fasciste) ebbe (insieme al Governo di unità Nazionale) la più grande intuizione per riappacificare gli italiani: una amnistia che copriva sia i delitti dei fascisti sia quelli dei partigiani.

Questi ultimi per più di mezzo secolo negati, ma purtroppo (ma è la guerra) assolutamente reali e provati. La guerra civile, almeno sulla carta, era finita. Altri Paesi come la Francia, la Spagna, il Portogallo, l’Olanda il Belgio ed altri hanno avuto durante la seconda guerra mondiale dei partiti filo-nazisti e fascisti, ma solo in Italia si parla di Fascismo come se ci fosse ancora. Solo in Italia la dignità del pensiero conservatore e di destra è confuso con la dittatura fascista.

L’ordine è fascismo, la legge è fascismo, l’onore è fascismo, l’obbedienza è fascismo e via di seguito. Solo in Italia non si è superata la disinformazione che il Fascismo è finito e che la posizione conservatrice o di destra ha una sua dignità ed un suo riconoscimento costituzionale. Ed anche qui dobbiamo rifarci alla storia dell’immediato dopo guerra ed alla nascita del Movimento Sociale Italiano guidato da Giorgio Almirante. La presenza di un partito (costituzionalmente accettato) che rappresentava il pensiero della destra è segno di democrazia e di superamento del Fascismo; una linea di demarcazione che posero i costituenti.

Ecco perché oggi parlare di Fascismo relativo al partito di Fratelli d’Italia prima di essere un insulto agli aderenti di quel partito è una idiozia sul piano storico e politico. Il Fascismo in Europa è finito con il 1945, le ideologie fascista e comunista, oggi, sono relegate in soffitta e nei libri di storia. Anche la Cina non è più comunista e gli osservatori più attenti lo sanno e l’odierno Presidente cinese ne è la personificazione del liberismo cinese. Nessuno –se non ignorante – oggi può dare del fascista alla compagine di Fratelli d’Italia. Ma viene sistematicamente fatto. Viene chiesto a quegli esponenti di dichiararsi antifascisti. È ovvio che sono antifascisti ma sono conservatori. È la storia che lo dice. Occorre, però, studiarla, apprezzarne i risvolti ed i contenuti. Se vi sono atti criminali seguendo ideologie quali il fascismo o il comunismo, gli autori di questi atti devono essere indagati e puniti in modo esemplare. Senza se e senza ma. La destra è valori costituzionali e tutela della società a tutti i livelli. Nessuno si deve permettere di dare del fascista ad un conservatore perché il fascismo, come ideologia, non esiste più.


NOTE  A  MARGINE  DI UN “FASCISTA DISSIDENTE 
….. A PRESCINDERE dalla stima ed amicizia personale con Massimo Rossi, debbo contestare cavallerscamente alcune sue affermazioni, proprio in quanto – Io Reprobo – mi considero un “Fascista”, pur se dissidente e generalmente sempre nell’Ala Minoritaria dell’Opposizione Ufficiale nei confronti dei “relativi Vertici”. 
Proprio per la mia antica militanza nel MSI, nei Gruppi de “L’Orologio”, in Fiamma Tricolore, nonchè per la mia fraterna vicinanza con i Camerati di Odine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Terza Posizione – pur criticando i vari e forse numerosi “errori” del Fascismo (nonché anche alcuni suoi “orrori”) – non posso condividere la subdola e perversa costrizione ad abiurare uno “Stile di Vita”, tramite un infame Ricatto Democratico a cui purtroppo “Fratelli d’Italia” sembrerebbe non sapersi opporre ! 
A questo punto, riservandomi di ritornare più appronditamente sull’intervento di Massimo Rossi, desidero richiamare l’attenzione di Coloro che ci leggono su una riflessione di Marcello Veneziani sul XXV Aprile, pubblicata su Consul Press il 16.04-2025  ed indicare come sulla stessa lunghezza d’onda si siano più volte espressi anche Pierangelo Buttafuoco e Franco Cardini, graditi ospiti su questa Testata ! …. e credo sia alquanto nobilitante trovarsi in tale ambito Cenacolo.      

______________Giuliano Marchetti 


Foto autore articolo

Massimo Rossi

Avvocato Penalista e Patrocinante in Cassazione, con studio in Siena; Docente a contratto presso Unifi in Procedura Penale e Relatore in Convegni a livello nazionale – avvocatomassimorossi@yahoo.it
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