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TOHOrror Fantastic Film Fest 2022

Raquel 1:1  Una recensione

Il TOHOrror Fantastic Film Fest si è aperto ieri con il primo film in concorso, Raquel 1:1, della regista debuttante brasiliana Manuela Bastos, che si può considerare un horror vicino ad un thriller femminista: la protagonista, Raquel (la bravissima Valentina Herszage), si trasferisce, dopo che la madre è stata uccisa dall’ex fidanzato, con il padre, che ha dovuto lasciare la libreria che dirigeva, nella periferia di San Paolo, a Monte Megido,  dove il genitore ha comprato un negozio di alimentari; lì la ragazzina, profondamente colpita dal trauma e dalla perdita della madre, entra in contatto con il gruppo giovanile di una comunità protestante, forse evangelica, interamente femminile, ed inizia ad avere delle visioni o un’esperienza mistica molto forte che la spinge a mettere in discussione le regole della comunità, sia dal punto di vista dottrinale che dei rapporti personali, arrivando ad una profonda rottura con la donna-pastore che dirige la comunità e son sua figlia, che è la leader del grippo giovanile, peraltro composto solo da ragazze.

Questo porta prima a delle incomprensioni tra la figlia e il padre agnostico,  che si ritiene in parte responsabile per la morte della moglie e vuole risolvere i suoi problemi affidandola ad una terapeuta, poi ad un rapido isolamento dei due da parte della comunità, con conseguente devastazione della loro casa: la ragazza è ritenuta un’eretica e una perturbatrice dell’ordine e dell’equilibrio esistenti prima del loro arrivo, avendo osato mettere in discussione le linee dottrinali della comunità o sarebbe meglio chiamare della setta; la resa dei conti finale è solo apparentemente rivolta ad un happy end e lascia pensare alla sostituzione di una dottrina con un’altra.

Il film, che mette bene in luce quelle che sono alcune delle problematiche del Brasile attuale, con la Chiesa Cattolica in forte crisi e il dilagare di sette e denominazioni protestanti fondamentaliste, offre momenti di realismo magico che sono un po’ il suo punto di forza, con la costante ricerca da parte della protagonista di risposte nella Bibbia alla sua tragica esperienza personale ed una verifica nella vita reale degli insegnamenti in essa contenuti: il film in ultima analisi inizia quando Raquel comincia a chiedere conto dell’attualità della Bibbia alle sue coetanee nel gruppo giovanile, che corrisponde all’analisi e all’interpretazione libera e personale del testo sacro nella chiesa luterana, portando ad un’audace esplorazione del libro arbitrio e della spiritualità femminili; in chiave apparentemente horror, la regista intende presentare un thriller “sociale” dove vengono trattati temi ed argomenti molto attuali nella nostra attuale società, come la violenza contro le donne ed il ruolo da esse rivestito dentro le comunità religiose, ufficiali o settarie che siano. La ragazza è turbata da come, nel testo sacro della comunità e fatto a suo uso e consumo, siano presenti troppo passi che presi da soli e slegati dal contesto fanno pensare ad una denigrazione della donna: in modo crudo ma efficace la regista mescola il sonoro con passi del Testo sacro che sembrano presentare scioccanti sentimenti misogini; tra i quali quello della lapidazione della donna adultera a cui Gesù nel Vangelo dà l’interpretazione corretta. Raquel, la protagonista, non è ritratta come una vittima della repressione religiosa quanto della presunzione di essere nel giusto e di avere la ragione dalla propria parte: gli elementi della trama, come il fatto che il Brasile sia al quinto posto nella classifica della violenza di genere contro le donne, sono sottili ma occupano una posizione importante nel film; il trauma passato di Raquel è presentato attraverso il suono così come una registrazione sonora ricorda le varie fasi della tragedia fino all’omicidio della madre.

Il film è poi strettamente collegato a Carrie – Lo sguardo di Satana (1976) di Brian De Palma, a partire dalla trama che ne ripercorre i punti principali dino alla soluzione finale, e sembra un po’ la versione anni 2000 del classico anni 70’:  il body horror si mescola con oscure metafore adolescenziali mentre critica la religione, in particolare i suoi presunti atteggiamenti misogini nei confronti delle donne: questa impostazione in sé avrebbe potuto fare del film un dramma affascinante, ma la regista confonde le cose aggiungendo elementi soprannaturali a spunti di critica sociale, in un mix non molto bene riuscito; tali aggiunte non sono mai veramente approfondite e risultano essere aggiunte non necessarie nel genere su quello che altrimenti si può considerare un dramma relativamente tradizionale.

C’è un edificio abbandonato nei boschi che sembra esercitare un’influenza sulle ragazze che ricorda quella del film Picnic ad Hanging Rock (1975, del regista australiano Peter Weir), ma la Bastos non esplora pienamente quest’idea, non ne trae spunto: lo stessa cosa accade per le ferite come stigmate che compaiono sul petto di Raquel; forse c’è un richiamo ad un presunto atteggiamento misogino mantenuto dalle denominazioni religiose  ufficiali in Brasile che ha fatto sì che la regista sentisse la necessità di avvolgere la sua storia di sfida in sottili ambientazioni horror, ma piuttosto di un film horror che serva da allegoria/esempio, Raquel 1:1, presentato anche nella Selezione ufficiale al SXSW Film Festival 2022, sembra che faccia come un tentativo disperato per convincerci che è un film horror,

Francesca Marti