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ToHorror Film Festival 2022

Un bilancio del

Con gli ultimi due film in concorso, si è concluso il 22° ToHorror Film Festival: tutte e due le pellicole, dietro l’apparenza di film horror, trattano il tema della violenza di genere.

il primo film, A wounded fawn (2022), del regista americano Travis Stevens, è diviso in due atti come una tragedia greca: la prima parte, più tradizionale, si riallaccia strettamente al cinema di genere italiano anni 70’e 80’, in particolare a lavori come Deliria (1987) di Michele Soavi e a Quando Alice ruppe lo specchio (1988) di Lucio Fulci; la seconda parte, più originale, scivola nell’irrazionale e presenta elementi originali che mostrano la punizione del reo in termini di delitto e castigo assolutamente nuovi per questo tipo di cinema.

Il film, all’inizio, è ambientato nel modo delle aste e dei curatori d’arte, in particolare al centro della scena c’è una statuetta di età ellenistica che rappresenta le tre Erinni o Furie della mitologia classica greco-romana (Aletto, Megera e Tisifone): venduta ad una giovane donna (Malin Barr) ad un’asta, entra poi in possesso dell’uomo che la uccide, che si rivela poi essere un serial killer che uccide solo donne, spinto all’azione omicida perché tormentato dalle visioni di un gufo gigantesco, (forse una divinità pagana, o il demonio); da li l’azione prosegue nelle profondità della mente dell’assassino, e viene completamente condizionata dalla presenza di questo oggetto.

Il risultato è un superbo miscuglio di soprannaturale ed horror psicologico dal regista che ha diretto Jacob’ wife (2021) e Girl on the third floor (2019): l’azione presenta Meredith (Sarah Lind), che si è appena lasciata alle spalle con successo una relazione con un uomo violento e tossicomane  e che è già pronta ad una nuova esperienza nel mondo degli appuntamenti: sfortunatamente ed a sua insaputa, l’uomo con cui decide di trascorrere il weekend in una remota baita di montagna è Bruce Ernst (Josh Ruben), che si è rivelato all’inizio del film essere l’assassino; Meredith inizia a sospettare dell’uomo quando lei vede nella sua casa l’opera d’arte che raffigura le Erinni che sono recentemente transitate nella casa d’aste dove lei lavora. Tuttavia, Meredith certamente non rende le cose facili per Bruce ma l’uomo, per quanto preoccupato, non si rende conto che questo è solo l’inizio per lui dopo che l’ha uccisa, perché il film da lì prende una svolta e probabilmente in un modo un po’ridicolo il suo passato ritorna  ed inizia a tormentarlo: in questo pandemonio, gli avvenimenti si rivelano un po’ difficili e troppo lunghi da seguire anche se appaganti alla vista ed avvenenti; si presenta come un sogno febbrile, con antichi motivi greci che lo suggeriscono e che indicano gli effetti di una cattiva condotta maschile che viene mostrata come presente fin dall’antichità, mostrando anche immagini falliche e le tre vittime di Bruce che lo perseguitano in una notte da incubo prendendo le sembianze delle Erinni e finalmente lo fanno impazzire. La fotografia è perfetta ed anche i personaggi sono delineati in modo dettagliato, con Bruce che mostra i suoi sentimenti nascosti nel profondo man mano che il film va avanti: lui sembra il rappresentante di un mondo patriarcale ossessionato dal sesso che lo porta a competere per il suo controllo; elementi come il gufo rosso che compare per seguirlo lo rendono un horror psichedelico e ci spingono a domandarci come lui sia veramente responsabile di tutto questo – è mentalmente malato o spinto da una forza sconosciuta a lui e a noi?

Josh Ruben offre un interpretazione da routine nella prima parte come serial killer  ma brilla nella seconda offrendo una prova d’attore molto più fisica mentre Sarah Lind è forte nel dar vita ad un personaggio con un lato di sé insicuro: il regista Stevens si è gia mostrato come abile narratore visuale, ma questo film lo porta ad un livello superiore.

Il secondo film, Glorious (2022), della regista americana Rebekah Mckendry, ha come protagonista Wes (Ryan Kwanten, anche produttore, già visto nella serie tv True Blood) che sfreccia attraverso il paese, e più precisamente in Mississippi, cercando di restare sveglio senza avere una destinazione finale conosciuta: è uscito male da una relazione con Brenda la sua ragazza conosciuta ad una festa perché il loro rapporto non ha retto alla scoperta da parte della donna di alcune foto polaroid inquietanti che potevano far pensare ad un suo comportamento non proprio lineare nei confronti dell’altro sesso; incapace di restare sobrio a lungo, Wes decide di fare una sosta in un’area di servizio deserta nel mezzo del nulla, sperando di rinfrescarsi e di affrontare l’ansietà che lo tormenta dopo la recente rottura (il loro legame era durato poco più di due anni).

Avendo scelto di trascorrere la notte nell’edificio apparentemente vuoto, Wes decide di bere fino allo stordimento: quando si risveglia il mattino dopo, lui si precipita al gabinetto per uomini, cercando di far passare un disturbo violento e di rimettersi a posto; tuttavia, Wes non è completamente solo nel bagno ed inizia ad ascoltare una strana voce che esce fuori da un box con un foro della gloria riccamente decorato.

Wes non è sicuro di quello che sta vedendo e presto si deve confrontare con Ghatanothoa (voce di J. K. Simmons), un dio in missione per salvare l’universo, che cerca di arruolarlo per ché aiuti la sua causa.

C’è un tocco di aria nuova nei minuti iniziali del film, che vedono Wes perdere e ritrovare conoscenza quando lui accellera verso la meta dove è diretto:  quando finalmente arriva alla stazione di servizio, è esausto, a stento capace di contenere la sua rabbia quando un distributore automatico non gli rilascia la barretta di cioccolato che ha pagato; c’è anche una donna del mistero che gli dà il primo indizio che qualcosa non va in quel posto.

La sceneggiatura presenta la mente che si consuma di Wes con le sue attività serali, bruciando quando lui beve eccessivamente, cercando di far funzionare qualcosa del suo sistema nervoso corrotto, incapace di trovare la sua strada fuori dalla pazzia: perché Wes è così sconvolto?

E’ complicato e la sua giornata diventa ancora più strana quando entra nel bagno degli uomini, lanciandosi sulla tazza del water per vomitare: invece di soffrire in silenzio, Wes viene accolto da una voce che arriva dal gabinetto accanto, con questo essere misterioso che offre parole di conforto ad un uomo emozionalmente bruciato, cercando di aprire una linea di comunicazione: la forma del dio è solo accennata, non lo si vede mai e quando Wes prova a farlo ne consegue una severa punizione, con l’uomo rinchiuso dentro l’ambiente della toilette  e costretto a considerare un’offerta che potrebbe salvare la vita così come la conosciamo; Ghatanothoa ha qualcosa di specifico in testa e “Glorious” studia i molti modi con cui Wes cerca di negare questa realtà, trattenendo la coppia in prolungate conversazioni su parecchi argomenti importanti, inclusa la salute mentale di Wes. La produzione ha tenuto in piedi il film attraverso allucinazioni e visioni, con Wes che ripensa alla sua vita con Brenda, una donna dolce che ha cercato di amare il suo fidanzato: lui deve anche confrontarsi con il grande potere del dio ed è costretto a considerare il “Rituale” quando il tempo scorre via per tutti e due; in questo senso, c’é più interesse ad esplorare la situazione fuori di testa del centro del film e la crescente relazione tra l’uomo e la divinità.

Il film dura 75 minuti, il che è ideale per un film dagli esterni limitati, senza lieto fine, che ci consegna un’esperienza visiva disturbante, che discute dei sentimenti e del passato, creando una relazione unica tra un uomo confuso e un essere (mostruoso?) con tutte le risposte.

Il premio principale del festival è stato vinto dal lungometraggio canadese “Skinamarink”, mentre una menzione speciale ha ottenuto il film norvegese “Syk pike” di Kristoffer Borgli, vincitore anche del premio del pubblico: nelle altre categorie, il premio per i migliori effetti speciali è andato a “Terrifier 2” di Damian Leone e il premio Antonio Margheriti per lo spirito indipendente a “Mad Heidi” di Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein.

Marti Francesca