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L’Evoluzione Normativa e i Benefici Economici DSA

Scritto da Veronica Socionovo il . Pubblicato in , .

Disturbi Specifici dell’Apprendimento 15

Dalla mancata tutela agli strumenti di inclusione e sostegno economico: come il riconoscimento dei DSA ha trasformato diritti, agevolazioni e opportunità nel sistema scolastico e lavorativo italianoLa storia del riconoscimento dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e della loro equiparazione a condizioni di invalidità è un percorso complesso e articolato che si snoda attraverso un arco temporale di oltre un secolo, segnato da continui mutamenti sociali, culturali e legislativi. Nei primissimi anni del Novecento, l’attenzione verso le difficoltà di apprendimento era pressoché inesistente, e l’atteggiamento dominante nella società e nelle istituzioni era permeato da stereotipi e pregiudizi che non distingueva affatto tra deficit intellettivi globali, condizioni psichiche o disturbi specifici come la dislessia, la discalculia, o altre forme di difficoltà cognitive circoscritte. Le politiche pubbliche e le normative di tutela di quell’epoca si concentravano esclusivamente su forme di disabilità più evidenti, soprattutto quelle di natura motoria o sensoriale, lasciando completamente in ombra le problematiche legate all’apprendimento e ai disturbi ad esso associati. L’assenza di una legislazione specifica e la scarsa conoscenza scientifica resero invisibili per decenni le persone con DSA, che venivano spesso etichettate con termini generici e stigmatizzanti, come “ritardate” o “inabili”, senza alcuna differenziazione né riconoscimento del loro effettivo profilo cognitivo.

Nel corso del XX secolo, tuttavia, grazie ai progressi in campo psicologico e neurologico, si iniziò a comprendere che esistono disturbi specifici isolati da deficit intellettivi globali, che si manifestano con difficoltà circoscritte in aree come la lettura, la scrittura o il calcolo, pur mantenendo un’intelligenza nella norma. Questo importante cambiamento di prospettiva scientifica ha aperto la strada a un lento ma progressivo processo di trasformazione culturale e legislativa. L’Italia, come altri paesi europei, cominciò a riconoscere la necessità di tutelare queste persone, anche se in modo ancora frammentario e con molte limitazioni.

Nella prima metà del Novecento, il sistema legislativo italiano non contemplava affatto i DSA come categorie autonome o tutelate ai fini dell’invalidità civile. Gli interventi normativi e le politiche pubbliche si rivolgevano esclusivamente a disabilità fisiche o gravi menomazioni psichiche, e la scuola pubblica non offriva alcuna risposta specifica agli studenti con difficoltà di apprendimento. Anzi, in quel periodo era comune una prassi educativa che tendeva a emarginare o punire gli alunni che mostravano difficoltà nelle abilità di base, a causa dell’assenza di strumenti diagnostici e di strategie didattiche adeguate. Nemmeno l’accesso a concorsi pubblici o opportunità lavorative prevedeva agevolazioni o riconoscimenti per chi soffriva di DSA, lasciando così questa categoria di persone priva di tutela e visibilità.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si avviò un cambiamento graduale nel quadro legislativo italiano relativo alla disabilità. Nel 1968, con la promulgazione della Legge 118, venne istituito il servizio nazionale per l’invalidità e l’inabilità, che sanciva formalmente i diritti delle persone con menomazioni fisiche e psichiche all’assistenza sanitaria, all’istruzione e all’inserimento lavorativo. Tuttavia, anche questa legge non faceva alcun riferimento specifico ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, né li riconosceva come categoria distinta ai fini dell’attribuzione dell’invalidità civile. Fu solo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 che, grazie ai progressi della ricerca internazionale e italiana, si iniziò a considerare in modo più attento e specifico la realtà dei DSA. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) introdusse infatti le prime definizioni diagnostiche formali, contribuendo a far emergere la rilevanza di questi disturbi e a stimolare una maggiore attenzione da parte della comunità educativa e delle istituzioni.

Gli anni ’80 furono dunque un decennio cruciale per l’affermazione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento nel contesto italiano. Studi sempre più approfonditi permisero di definire con precisione le caratteristiche di dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia, e si svilupparono i primi protocolli diagnostici, con la nascita di centri specializzati in neuropsichiatria infantile capaci di offrire valutazioni accurate e multidisciplinari. Dal punto di vista normativo, l’attenzione iniziò a spostarsi verso l’inclusione scolastica, ma ancora senza un riconoscimento esplicito dei DSA come categoria autonoma. La Legge 517 del 1977, che sanciva il diritto all’integrazione scolastica per gli alunni con handicap, rappresentò un passo avanti, sebbene la normativa non si soffermasse sulle specificità delle difficoltà di apprendimento, lasciando un vuoto normativo significativo.

Nonostante ciò, la questione dell’invalidità rimaneva pressoché immutata: i DSA non venivano riconosciuti come condizioni suscettibili di determinare uno stato di invalidità civile o di handicap. Le agevolazioni previste per le persone con disabilità, come permessi lavorativi, benefici fiscali o facilitazioni nell’accesso a concorsi pubblici, non si estendevano esplicitamente ai soggetti con DSA, mantenendo così questi ultimi in una condizione di svantaggio e marginalità.

La vera svolta normativa arrivò con la Legge 104 del 1992, considerata un punto di riferimento fondamentale per la tutela delle persone con disabilità in Italia. Questa legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate sancì un quadro ampio di diritti, tutele e agevolazioni, includendo tra i beneficiari anche i soggetti con DSA nel caso in cui la loro condizione comportasse una menomazione significativa che limitasse l’autonomia personale. La Legge 104/1992 introdusse un insieme di benefici economici e agevolazioni diversificate: permessi lavorativi retribuiti per i familiari che assistono persone con disabilità, congedi straordinari, agevolazioni fiscali tra cui detrazioni sulle spese mediche, sull’acquisto di ausili e sull’adattamento di abitazioni e veicoli, oltre a facilitazioni nell’accesso a servizi e trasporti pubblici. Questi interventi rappresentarono un sostegno concreto e significativo per le famiglie e gli individui coinvolti, contribuendo a ridurre l’onere economico legato all’assistenza e alla cura.

È però importante evidenziare che per poter usufruire di tali tutele, la persona con DSA deve ottenere un riconoscimento formale da parte delle commissioni mediche ASL, che valutano la gravità della menomazione e il suo impatto sulla vita quotidiana. Questo riconoscimento può tradursi nello status di handicap lieve o grave, a seconda del livello di compromissione funzionale rilevato, e ciò determina la tipologia e l’entità delle agevolazioni applicabili.

Un ulteriore salto in avanti avvenne con la Legge 170 del 2010, che segnò una svolta decisiva nel riconoscimento legislativo dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Per la prima volta, questa legge definì chiaramente i DSA come disturbi neurobiologici specifici e non riconducibili a deficit intellettivi generali, riconoscendoli ufficialmente nel contesto scolastico e tutelandone il diritto allo studio. La Legge 170/2010 introdusse strumenti fondamentali come il Piano Didattico Personalizzato (PDP), misure compensative e dispensative, e impose l’obbligo per le scuole di adottare pratiche inclusive per garantire agli studenti con DSA un percorso educativo adeguato e personalizzato. Grazie a questa legge, si aprì una nuova fase di riconoscimento formale e sociale dei disturbi specifici dell’apprendimento, con ricadute importanti anche sulle procedure di riconoscimento dell’invalidità.

Inoltre, la normativa sollecitò un rafforzamento della formazione degli insegnanti, un incremento delle diagnosi precoci e un maggiore coordinamento tra scuola, famiglia e operatori sanitari. Questi aspetti contribuirono a sensibilizzare l’intero sistema educativo e istituzionale sull’importanza di riconoscere e valorizzare le differenze individuali nell’apprendimento, promuovendo un approccio più inclusivo e rispettoso delle peculiarità di ciascun alunno.

Nonostante la Legge 170/2010 rappresenti un progresso significativo, il riconoscimento della condizione di invalidità civile per i DSA resta una questione complessa e fortemente dibattuta. La normativa italiana vigente, disciplinata dal Decreto Legislativo 509/1988 e successive modifiche, definisce criteri rigorosi per il riconoscimento dell’invalidità e dello stato di handicap, basati sul grado di compromissione della capacità lavorativa o delle attività quotidiane. Nel caso dei DSA, l’invalidità civile viene generalmente concessa solo quando il disturbo determina un impatto rilevante sull’autonomia personale o sulla capacità di inserirsi efficacemente nel contesto sociale e lavorativo. Non si tratta dunque di un riconoscimento automatico, ma di una valutazione attenta, multidisciplinare e basata sulla gravità del disturbo.

Va però segnalato che in alcune regioni e contesti territoriali esistono prassi più favorevoli, che consentono di riconoscere formalmente la condizione di disabilità anche a persone con DSA di media entità. Ciò permette loro di accedere a benefici specifici come agevolazioni fiscali, permessi lavorativi, facilitazioni nei concorsi pubblici e accesso a servizi di supporto, elementi fondamentali per migliorare la qualità della vita e favorire l’inclusione sociale e lavorativa.

Un aspetto particolarmente rilevante nella tutela delle persone con DSA riguarda le opportunità di lavoro e la partecipazione ai concorsi pubblici. La normativa italiana prevede infatti una serie di agevolazioni e misure compensative anche nel mondo del lavoro, riconoscendo che le difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono rappresentare un ostacolo significativo sia nell’accesso sia nello svolgimento di determinate attività lavorative. In particolare, il Decreto Ministeriale 5669 del 2011 regola le modalità di accesso ai concorsi pubblici per i candidati con DSA, prevedendo la possibilità di richiedere tempi aggiuntivi per lo svolgimento delle prove, l’utilizzo di strumenti compensativi come software specifici e l’esonero da prove che risultino particolarmente penalizzanti o non coerenti con le difficoltà del candidato. Queste misure hanno l’obiettivo di garantire una maggiore equità nelle procedure selettive, evitando discriminazioni e assicurando il pieno diritto di partecipazione.

Parallelamente, la Legge 68 del 1999, dedicata al collocamento mirato delle persone con disabilità, stabilisce un quadro generale per l’inserimento lavorativo di tutte le persone con disabilità, includendo anche quelle con DSA riconosciute come tali. Questa normativa promuove l’adozione di percorsi personalizzati di formazione e inserimento lavorativo, favorendo l’integrazione e la valorizzazione delle competenze individuali nel mondo del lavoro. Nonostante ciò, permangono ancora criticità significative, legate in particolare alla diffusione insufficiente di informazioni, alla preparazione limitata delle commissioni di selezione e alla reale applicazione delle misure compensative previste dalla legge. È comunque in crescita la consapevolezza e la sensibilità su questi temi, accompagnata da iniziative formative e campagne di informazione volte a migliorare la situazione.

Il percorso italiano di riconoscimento e tutela dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento deve essere osservato anche alla luce del contesto europeo e internazionale, che ha esercitato un’influenza importante e stimolato l’adeguamento normativo e culturale del nostro Paese. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), adottata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile, poiché sancisce il diritto all’uguaglianza, all’educazione inclusiva, all’accesso al lavoro e alla piena partecipazione sociale per tutte le persone con disabilità, incluse quelle con DSA. Tale convenzione promuove un modello di disabilità basato sui diritti umani e sulla rimozione delle barriere fisiche, sociali e culturali, incoraggiando gli Stati a garantire misure di sostegno efficaci e non discriminatorie.

Anche le direttive europee sottolineano l’importanza di politiche anti-discriminazione e di inclusione attiva, sollecitando gli Stati membri a sviluppare normative coerenti e integrate che favoriscano la partecipazione piena e paritaria delle persone con disabilità nei vari ambiti della vita sociale ed economica. L’Italia ha progressivamente recepito tali indirizzi, adeguando le proprie leggi e prassi amministrative, ma il cammino verso una piena inclusione e parità di opportunità è ancora in fase di consolidamento, con la necessità di continuare a migliorare le condizioni di vita, l’accesso ai servizi, la sensibilizzazione e la formazione degli operatori.

Nel complesso, il riconoscimento legislativo e sociale dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento in Italia è passato da una totale assenza di tutela a una situazione articolata e in progressivo miglioramento, caratterizzata da normative specifiche che garantiscono benefici economici, agevolazioni finanziarie e strumenti di supporto sia nel contesto scolastico che in quello lavorativo. L’evoluzione normativa ha permesso di affermare diritti fondamentali, quali il diritto allo studio, all’inclusione sociale, al lavoro e al sostegno familiare, traducendosi in misure concrete come il riconoscimento dell’invalidità civile in casi di compromissione grave, l’accesso a permessi lavorativi retribuiti, agevolazioni fiscali e facilitazioni nell’ambito dei concorsi pubblici. Questi elementi rappresentano una base imprescindibile per favorire la qualità della vita delle persone con DSA, la loro partecipazione attiva e il loro pieno inserimento nella società, anche se resta ancora molto da fare per superare gli ostacoli residui e garantire una piena equità in tutti i contesti.

L’impegno futuro si concentra quindi sul rafforzamento delle politiche di inclusione, sulla diffusione di una cultura della differenza e della valorizzazione delle diversità cognitive, sulla formazione continua di insegnanti, operatori e decisori pubblici, nonché sull’implementazione concreta delle misure di sostegno e dei benefici previsti dalla legge. Solo attraverso un approccio integrato e multidisciplinare sarà possibile costruire una società realmente inclusiva, in cui i Disturbi Specifici dell’Apprendimento non rappresentino più un limite, ma una parte riconosciuta e valorizzata della ricchezza della diversità umana.

©Veronica Socionovo

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