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Tommaso Marinetti ed il Ponte di Messina

Scritto da Redazione il . Pubblicato in .

Filippo Tommaso Marinetti ed il Ponte di Messina

Era il 1972 ed io iniziavo, a 16 anni, la mia prima esperienza giornalistica con un ruolo organizzativo dirigenziale nella Rivista Augustus, organo degli studenti del Liceo Ginnasio Augusto del quale assunsi l’anno scolastico successivo la formale direzione, per portarlo a vincere il premio quale miglior rivista studentesca italiana.

Decisi che il primo numero sotto la mia direzione si occupasse, tra gli altri, dell’imminente realizzazione del Ponte di Messina, perché, come la maggior parte dei ragazzi, almeno di quella generazione, sognavo pensando al futuro ed alle grandi possibilità che la tecnologia avrebbe offerto.

Non so se lo potrei definire “Futurismo tecnologico”, quel che è certo è che i cuori di molti di noi erano mossi da “l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità” che aprivano il “Manifesto del Futurismo” di Tommaso Marinetti. Erano gli anni in cui imperavano le “grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa” che Marinetti voleva cantare. 
Tommaso Marinetti è intellettualmente catalogato tra gli ispiratori della rivoluzione fascista del 1922 e probabilmente è vero, ma le grandi folle, i grandi cortei che attraversavano l’Italia negli anni 70 del secolo scorso ci dicono che egli era una personalità molto più grande nel pensiero intellettuale, rappresenta tutt’ oggi il desiderio dell’uomo di evolversi, l’esplosione della vitalità dopo che, ai suoi tempi, la società si era trasformata da contadina ad industriale, ove poteva affermarsi “la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”. 
Velocità che è proprio ciò che si cerca affannosamente nel XXI secolo e che, paradossalmente, nel settore delle comunicazioni spesso è il motivo di distacco tra la società e l’essere umano, che, come tale, perde i propri riferimenti senza avere il tempo di costruirne di nuovi, sicché cerca di fermarsi, talvolta anche disperatamente, persino con il suicidio.

Non tutto ciò che scrisse Marinetti in quel “Manifesto è oggi condivisibile: il suo disprezzo della donna e la definizione della guerra sola igiene del mondo fanno rabbrividire e possono essere compresi solo rendendoci conto che sono stati scritti da un uomo nato nel 1876 che, per la sua epoca, era anch’egli sopraffatto da quella velocità che tanto idealizzava, ma che aveva quale logica conseguenza la liberalizzazione della donna e, quindi, l’incapacità del maschio di adeguare il proprio modo di pensare ad un fenomeno che si sarebbe sviluppato mettendo in dubbio lo schema familiare tradizionale, ovvero il nucleo sociale primario sino a quel momento esistente. 
Ciò che però è certo è che Marinetti è il simbolo dell’essere umano che vuole andare oltre, superare i propri limiti, evolversi, anche a costo della vita: in questa evoluzione vi sono i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli
I ponti sono ciò che l’uomo costruisce per scavalcare gli ostacoli, lo ha insegnato Papa Leone XIV, il Cardinale Robert Francis Prevost nel proprio discorso di insediamento: Aiutateci anche voi a costruire ponti con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti, per essere un solo popolo, sempre in pace.

Non a caso lo Stari Most, ovvero il Ponte Vecchio di Mostar, in Bosnia ed Erzegovina, simbolo della città e della sua storia, venne distrutto durante  la Guerra in Bosnia il 9 novembre 1993, ad opera delle forze croato-bosniache, per essere poi ricostruito nel 2004 a simbolo di riconciliazione. 
I ponti significano ed hanno lo scopo di unire mondi differenti, integrare culture, consentire di superare gli ostacoli politici e religioni.
Il ponte dei Dardanelli in Turchia unisce due continenti, l’Oberbaumbrücke era il punto di passaggio tra l’occidente e la dittatura sovietica, simbolo dell’unica possibilità di contatti, lì ove il Muro di Berlino aveva lo scopo di dividere l’occidente libero dalla dittatura comunista. 
E, ancora, senza i suoi ponti Venezia non sarebbe una città, ma tante piccole isole all’interno di una laguna, mentre nessuno potrebbe ipotizzare Londra orfana del suo ponte (né di quelli successivamente costruiti sul Tamigi), New York orfana del ponte di Brooklyn, ovvero San Francisco del Golden Gate Bridge o Lisbona del Ponte 25 de Abril. 
Si potrebbe continuare all’infinito, sino ad arrivare ai tempi moderni, con i mega ponti cinesi (dal ponte sul mare Hong Kong-Zhuhai-Macao sino ai 164 km del Danyang Kunshan Bridge che collegano Pechino a Shanghai).

Era il 1972 ed avevo fiducia nel Parlamento che il 17 dicembre 1971, sotto l’allora Governo Colombo, aveva approvato la legge n. 1158 che autorizzava la creazione di una società di diritto privato a capitale pubblico, concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stabile viario e ferroviario. 
Poi la politica ha preso il sopravvento sul futuro ed è iniziata la guerra al ponte, che potrei definire triste contrapposizione all’allegria ed al messaggio di condivisione di una pubblicità all’epoca in auge, Brooklyn, la gomma del ponte
Ciò che nel 1972 sembrava il futuro prossimo venturo sarebbe potuto divenire il copione della storia infinita di una pessima commedia all’italiana, ove la vicenda non si fosse trasformata nella tragedia per i conti pubblici, allorché il Governo Monti, invertendo a 360 gradi la rotta rispetto al Governo Berlusconi, con il decreto del 18 ottobre 2012 impose la sospensione del progetto e nella successiva legge di stabilità stanziò 300 milioni per il pagamento delle penali per la sua mancata realizzazione.

Siamo arrivati ai giorni nostri, sono passati circa 53 anni da quella mia iniziativa giornalistica giovanile ed il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, ha annunciato che il progetto definitivo per il Ponte sullo Stretto di Messina ha ricevuto l’ok del Cipess – Comitato interministeriale programmazione economica e sviluppo sostenibile, che i cantieri dovrebbero (ri)partire a settembre 2025 e che la spesa di oltre 13 miliardi risulta tutta finanziata, sicché il viadotto dovrebbe essere percorribile tra il 2032 e il 2033. 
Ho subito pensato: se quello che leggo è vero, forse riuscirò a coronare il mio sogno futurista di percorrerlo prima di andare nell’altro mondo a rivedere i miei genitori ed a conoscere i miei avi
Sono passate poche ore all’annuncio e dai partiti di sinistra è ripartita la guerra al ponte, con parole forti, quali che la sua costruzione sarebbe un regalo alla mafia, che è uno spreco di denaro, che prima si devono realizzare altre opere pubbliche, ecc.

A fianco degli ambientalisti, innamorati del gasolio che alimenta i motori dei traghetti, si uniscono PD e M5S, insieme alle loro frange rumorose a sinistra ed alla CGIL, cui inspiegabilmente interessano poco i previsti 120.000 nuovi posti di lavoro, tanto da impugnare carta e penna per scrivere anche alla Commissione Europea, dimenticando che, insieme a CISL ed UIL ed altri sindacati, un anno fa, esattamente il 25 Luglio 2024 aveva firmato il protocollo d’intesa per il CCNL con la Società Ponte di Messina spa. 
La parola d’ordine è: le grandi opere sono regalo alla mafia. Questa percezione politica portò l’ex-Sindaco di Roma, Virginia Raggi, al ritiro il 21 Settembre 2016 della candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2024 (*1), ribaltando la decisione della precedente giunta comunale e questo è ciò che i media riferiscono delle critiche di Elly Schlein e Giuseppe Conte.

Ripensando a Marco Tullio Cicerone non posso non domandarmi “cui prodest?”, a chi conviene bloccare un’opera pubblica che non solo farebbe uscire la Sicilia dall’isolamento proprio di una regione separata dal continente, ma attirerebbe nel meridione milioni di persone solo per vederla, nella bellezza della sua navata unica che andrebbe a dominare e rendere mondiale il panorama di Scilla e Cariddi? 
La criminalità ha terreno fertile nelle società chiuse, più facili da controllare e condizionare, anche nelle menti. Quando si vuole imprigionare un territorio si fanno saltare i ponti, oppure si impedisce di costruirne, se il sogno segreto è mantenere lo statu quo. 
Garibaldi sognava come Marinetti, probabilmente ha ispirato il poeta quando ha scritto cheil coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia
Il primo pilone ideale del ponte sullo stretto è stato gettato da Garibaldi con la spedizione dei Mille.

Certamente la maestosità del ponte cambierà il panorama del territorio, ma non deturpandolo, come fanno le pale eoliche degli pseudo ecologisti che preferiscono imbrattare zone montane ed aree ventose, ovvero abbattere i frutteti per far posto ai pannelli fotovoltaici, piuttosto che costruire una sola centrale nucleare che darebbe energia ad un’intera nazione liberandola dal giogo economico del vicino francese che le non ha avuto paura di realizzarle. (*2)
Un grande ponte non deturpa un territorio, con la sua aggressività e bellezza lo esalta. Anche in questo caso è Marinetti a spiegarlo: nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro
C’è chi vuole bloccare ogni opera, perché nulla cambi, stimolando la pavidità delle persone che temono che malcostumi passati si ripetono e, quindi, accettano inconsapevolmente quelli presenti.

Così il sogno futurista di una legge del 1971 è stato bloccato da oltre 50 anni, così i pavidi ed i complici politici di questo malcostume vorrebbero che cadesse nel nulla la decisione del Governo Meloni di dare il via libera all’opera.
Ad essi ed alle loro miopi o interessate polemiche non vale la pena dedicare ulteriore tempo in risposte, si devono usare ancora una volta le parole del poeta Marinetti: Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!.. Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile?.

 

* Intervento a cura dell’Avv. ROMOLO REBOA
già pubblicato l’11.08 su “JUS & POLIS”, che
sta avviando con la CONSUL-PRESS un ampio
progetto di collaborazione in sinergia  su varie
Tematiche Culturali & Professionali” condivise
e/o condivisibili 

 


NOTE A MARGINE
(*1) Su tale “sciagurata decisione”, la Consul Press si è sempre schierata contro, ricevendo astiose critiche a volte anche ed inaspettatamente da parte di numerosi componenti di una Area Politica “Amica”.
Personalmente mi piace rievocare il 1960  – Anno delle Olimpiadi in Roma come l’ “Anno del Trionfo per l’ Intera ITALIA: avevo allora 18 anni e frequentavo il IV ITC presso il “Duca degli Abruzzi” ….OLIMPIADI che ancora si ricordano non solo per lo Sport, ma altresì anche per la loro “Dimensione Umana” che, in seguito, spesso è decisamente iniziata a venir meno. Quelle storiche e magiche OLIMPIADI sono riuscite a trasmettere nella Nazione e nella Popolazione entusiasmo, orgoglio ed ottimismo, nonché a trainare l’economia con la realizzazione di grandi opere – già avviate negli anni precedenti – i cui benefici sono stati positivamente apprezzati anche negli anni successivi.
Una occasione unica che si sarebbe potuta ripetere per il 2020, qualora sia l’imbelle Governo, allora presieduto da Mario Monti, sia gli altri pavidi Poteri Istituzionali avessero dimostrato saper utilizzare le necessarie Capacità e Competenze, nonché il Coraggio per accettare la sfida ! 

(*2) Sul “Nucleare”, parimenti, la Consul Press ha sempre valutato favorevolmente e positivamente le posizioni assunte a suo tempo, tra metà anni ’60 / ’70, dal Periodico L’Orologio – un eccezionale “Laboratorio geopolitico ed identitario”, con Sede e Redazione a Roma, in via Barletta 29.  Una iniziativa realizzata allora da Luciano Lucci Chiarissi, insieme a Giuseppe Ciammaruconi, Pacifico D’Eramo, Carlo Garabello, Gaetano Rasi, Luigi Tallarico, Giorgio Vitangeli, Romano Vulpitta, Maurizio Bergonzini ed altre anime nobili, che può essere argomento di ammirazione e studio per le sue numerose analisi, discussioni ed intuizioni a suo tempo intuitivamente e sapientemente già elaborate, ben oltre 60 anni or sono !
_____________________________ GIULIANO MARCHETTI  

 

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