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L’IMPASSE DELLE CARTERIE E LA CORRETTA INFORMAZIONE

Scritto da Redazione il . Pubblicato in .

Una crisi finanziaria bisognosa della verità sostanziale dei fatti

Il processo attivo di svelamento connesso alla parola greca aletheia, ad appannaggio del codice deontologico dei giornalisti decisi ad anteporre la realtà oggettiva a quella parziale o ancor peggio condizionata dalle prese di posizione contro, costituisce l’unica via percorribile per sgombrare il campo relativo alla crisi delle cartiere nel Bel Paese da una deleteria visione manichea.

La cosiddetta sfida del digitale, che ha comportato ultimamente dei netti cambiamenti nella cultura organizzativa congiunta alle logiche di funzione delle grandi aziende, e l’impatto nefasto sul mercato comportato dall’aumento da capogiro del gas, dovuto allo spaventevole mix di tensione geopolitica ed escalation belligerante nel conflitto Russia-Ucraina, rappresentano una iattura per le fabbriche alle prese con la fabbricazione di carta. Destinata ad assumere versioni multiformi ed emblematiche. Dalle banconote, agli assegni, ai titoli, ai libri, alle riviste, ai giornali, ai documenti sino ad arrivare ai vari imballaggi conseguiti dai materiali cellulosici. 
Il processo di trasformazione della carta – con la vagliatura delle fibre di cellulosa, la cernita meccanica di quelle lunghe e sottili dalle altre corte e dense, la pulitura definitiva sugli scudi – paga così mestamente dazio tanto ai sei pilastri della cosiddetta digital transformation (Pilastro uno: cultura, Pilastro due: customer experience, Pilastro tre: persone, Pilastro quattro: innovazione, Pilastro cinque: cambiamento, Pilastro sei: leadership) quanto alle raccapriccianti ripercussioni sui costi di produzione per le aziende in seguito agli effetti della guerra attualmente in corso.

La mesta conseguenza risiede, nell’ambito del settore delle cartiere strette d’assedio in alcuni casi dal nuovo che avanza e sempre negli ultimi cinque anni dal vecchio uragano di sangue d’ogni conflitto che implacabilmente ritorna, nella sconsolata seppur inevitabile dismissione del macchinario che non produce più. Che, perciò, rischia di mandare in rosso la fabbrica col fatturato già in calo ed esacerbare per giunta gli animi degli operai messi, spesso obtorto collo, in mobilità. I fatti della pentola, come si suol dire, in questo tipo di situazioni che non promettono nulla di buono dal principio, considerando il tempo in cui viviamo, li sa il coperchio. Dietro i faccia a faccia tra sindacati e proprietà s’annida lo scoglio, il più delle volte insormontabile, sintetizzato al meglio dal proverbio latino, coniato da Terenzio, Quot homines tot sententiae, al quale gli abitanti della Città Eterna col consueto cinismo benefico colmo di pungente ironia aggiungono l’aforisma “Ogni capoccia è un tribunale” all’insegna del carattere d’autenticità garantito dall’intrinseca saggezza popolare.

La Verità con la “V” Maiuscola riguardo le iniziative di protesta degli operai specializzati in mobilità, decisi a far sentire la propria voce, le decisioni vagliate dai vertici aziendali, il sovraindicato pluralismo dei punti di vista, l’egemonia delle rigide impuntature sulla sana dialettica delle idee, di qua e al di là delle infeconde barricate, Padreterno a parte, in tasca non ce l’ha nessuno.
Nemmeno la Corte di Cassazione attiva in materia di mobilità sindacale. Ligia ai criteri di selezione che mettono con le spalle al muro i datori di lavoro, sulla base della sentenza n. 33623/2022.  Assai poco gradita nella stanza dei bottoni restia, talora impossibilitata, ad aderire ai percorsi di riqualificazione e ricollocazione professionale. Ritenuti spesso a onor del vero impossibili.
La riqualificazione dei dipendenti delle cartiere, al fine di trovare sul serio nuove opportunità di lavoro per i lavoratori in mobilità sulla scorta degli auspicati servizi di orientamento, è obiettivamente una chimera? O, grazie alla mutua collaborazione tra enti pubblici ed enti privati, capitanati dalle associazioni di categoria tipo ASSIGRAPH, facenti le veci delle imprese grafiche, cartotecniche e di trasformazione della carta, l’impasse cederebbe il passo alla risoluzione del problema? I rapporti di lavoro regolati da CCNL Carta e Cartotecnica meriterebbero un capitolo a parte. Idem il nuovo fiore all’occhiello della retribuzione denominato “Elemento di modernizzazione contrattuale”. Purtroppo la situazione attuale, anche prendendo pienamente atto dei mutamenti che avvengono palmo a palmo attorno ad ognuno di noi, oppure proprio in virtù di questa palingenesi dettata dal presunto progresso, non può concedere alcuno spazio alla mera astrazione. Bensì soltanto all’amara constatazione che nella crisi delle cartiere balza agli occhi la pressoché totale penuria d’una via d’intesa. Resa inapplicabile dagli equilibri precari in cui verte, traballando vistosamente, l’intero settore sotto esame. Intingere la penna nel miele dell’inane seppur carezzevole utopia auspicando che gli sforzi di rivitalizzazione in atto, in termini quantitativi e qualitativi, consentano alla destrezza morale chiamata in causa in frangenti analoghi a ogni piè sospinto di mandare a carte, nomen omen, quarantotto la stigmatizzata moralità economica, contemplata dai fautori della produzione con buona pace del materiale umano sacrificato, vuol dire credere alle favole. Ed ergo alle banalità scintillanti dell’inidonea propaganda.

Tuttavia pure intingere la penna nel fiele dell’atomismo sociale per infiammare gli animi, già abbastanza scossi, e risuonare nelle orecchie dei  presunti colletti bianchi al soldo del potere, mentre la storica cartiera di Fabriano dopo ben quarantasette anni di attività chiude i battenti in seguito all’inarrestabile declino sul mercato della carta da fotocopie, significa non tenere in nessuna considerazione il senso della parola aletheia.  Scomodata all’inizio dell’articolo per provare a capirci qualcosa degno di nota sul crollo della produzione globale, senza soffermarsi pedissequamente a elencare per filo e per segno tutte le percentuali, sulla produzione di fogli A4 divenuta obsoleta, sulla filiera mestamente interrotta, sulla carta sino a ieri avviluppata in bobine di una tonnellata, sulle lacrime agli occhi di dirigenti e operai nel ricordo del foglio di base, ribattezzato A0, piegato quattro volte, sostituito dall’unhappy-end dei 173 dipendenti che per Capodanno lo scorso 31 dicembre al posto degli auguri di buona fine e miglior principio hanno ricevuto, tra capo e collo, il licenziamento.
A dirla schietta a essere discriminati non sono, almeno in prima battuta, i lavoratori attanagliati dalla crisi d’impresa, ma è il macchinario che diviene giocoforza superato.
Chi vorrebbe impartire lezioncine di etica ed economia in determinati frangenti, si tira inevitabilmente addosso qualsivoglia tipo d’imprecazione. Urgono riflessioni sincere d’ordine pratico, fedeli, non a chiacchiere ma nei fatti, alla ricerca dei dati obiettivi, della dignità di qualsivoglia persona, alle prese con la stanza dei bottoni, con la creazione della carta da disegno, con la responsabilità di manutenzione dei macchinari che devono produrre utili, sennò si fermano, con il settore dell’imballaggio, con la preparazione dei costituenti della carta, coi lavori su turni molte volte a ciclo continuo, col monitoraggio degli standard di qualità che in seguito alla crisi perdono colpi.
La mancata cassaintegrazione, come step che precede l’infausta mobilità, quando la carta per imballaggi viene venduta a 680 euro a tonnellata mentre per produrla occorrono 750 euro solo per l’erogazione del gas, è una nota parecchio dolente. A fronte di queste gravi tensioni, dovute in prima istanza alla caduta rovinosa dei margini compatibili con la redditività e in seconda battuta al licenziamento collettivo, con l’iscrizione dei dipendenti, prima specializzati, poi sacrificati, nelle liste di mobilità, che salta il passaggio dell’ammortizzatore sociale costituito dalla cassaintegrazione e la possibilità di mantenere l’impiego ed ergo l’auspicio di uscire dalla crisi.

Occorre tuttavia fare chiarezza sulle fabbriche che saltano questo step assurto a monito di speranza per una benaugurata inversione di tendenza specificando pure che alcune di esse non hanno fortunatamente bisogno d’integrare i sistemi di automazione industriale attraverso l’uso di strumenti digitali augurandosi così di accrescere la qualità del prodotto una volta portato a termine. Allo stesso tempo queste fabbriche – la cui produzione si distingue solo ed esclusivamente nella famiglia della carta tissue, dalla quale si ricavano bobine destinate ai produttori di carta per uso domestico (carta igienica, asciugatutto, fazzoletti e tovaglioli), e in quella della carta per imballaggi – sono spesso soggetti ad azioni discriminatorie rispetto ad altre fabbriche coi santi in paradiso nell’ambito delle leggi, dei decreti e dei  regolamenti previsti dallo Stato per l’accessibilità dei servizi. Ivi compresi quelli necessari a utilizzare la carta proveniente dal riciclaggio con il ciclo di produzione a getto pressoché continuo. Sottoposto, per l’esercizio di attività produttive concernenti la carta potenzialmente inquinante, alle severe procedure dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Basate sul Decreto Legislativo 152/2006 e sul Decreto Legislativo 4 marzo 2014 n. 46.
Le tariffe e i costi necessari per l’ottenimento della suddetta Autorizzazione, in conformità del rispetto della normativa ambientale, sono imperniate su tariffe ministeriali, la cui ragguardevole variabilità dipende dal tipo d’impianto sulla base di quanto è previsto dalla legge in base al D.Lgs 152/06 e al Decreto Ministeriale deliberato il 24 aprile 2008, ed esibiscono, sovente sottobanco, una serie di criticità da approfondire. Per venirne a capo occorre tirare in ballo, ai fini altresì d’una corretta informazione, «questioni che sono nascoste sia deliberatamente da qualcuno in una posizione di potere, sia accidentalmente dietro una massa caotica di fatti».
Stando ai fatti, giacché le chiacchiere come si suol dire se le porta via il vento, i costi d’investimento richiesti dall’AIA per l’applicazione delle BAT (Best Available Technique vale a dire le migliori tecniche disponibili), allo scopo di ridurre al lumicino le emissioni inquinanti relative alla produzione della carta, risultano in alcuni casi esorbitanti. Certamente il processo che richiede consumi elevati d’acqua per la produzione della carta rende la sostenibilità ambientale un punto d’importanza cruciale. Per stabilire in maniera certosina, estranea al dispersivo pluralismo dei punti di vista, l’impatto sull’ambiente determinato dal riciclaggio per esempio di carta e cartone della raccolta differenziata. La ricerca delle soluzioni più avanzate ed efficaci per la messa a punto di bobine  destinate ai produttori di carta da imballaggio e di carta per uso domestico nel pieno rispetto dei criteri ecologici comporta l’impiego di materie prime altamente sostenibili, la certificazione che la carta da macero proviene da fornitori selezionati ad hoc, nonché la prova inoppugnabile che le fibre vergini ricavate dall’abbattimento degli alberi derivano da foreste gestite secondo procedure qualificate ed ecosostenibili. Sennò, insieme al considerevole volume di acque reflue e di fanghi residui dovuti alle cartiere, il legno usato in molti casi come combustibile fornendo calore tanto per l’essiccazione della carta quanto per il funzionamento degli impianti, rischia con ogni probabilità di produrre inquinanti atmosferici che deteriorano ed esacerbano la qualità dell’aria generando effetti avversi.
Lo scopo perciò di preservare la qualità dell’aria dall’emissione d’inquinanti specifici, dai solidi sospesi, COD e BOD, sino ai composti organici alogenati, tramite i processi di produzione dell’energia, del trasporto di materie prime e il riscaldamento necessario, è sicuramente nobile ed ergo assolutamente legittimo. Però l’eccesso di zelo profuso è talora ai danni di fabbriche – ben lungi dallo sversare illegalmente nei fiumi acque provenienti dalla produzione di carta contenenti inquinanti tipo fibre, metalli, composti organici nocivi (denominati AOX, COD, BOD) – che pagano salassi pesantissimi.
È il caso dell’Industria Cartaria Tivoli che opera nel settore producendo bobine jumbo di materiale riciclato per cartone ondulato e di tissue, tenuti assieme grazie all’azione combinata sia delle copertine sia dell’onda interna per garantire la resistenza all’imballaggio, ad uso industriale. Le quote sborsate per non inquinare hanno inciso notevolmente sulle dinamiche del costo del lavoro. Alla medesima stregua dell’impennata del costo dell’energia con il rapporto tra costi di acquisto dei prodotti energetici e valore aggiunto ai limiti della soglia prevista dalla normativa.
Al pari pure dell’incremento dei minimi tabellari previsti dall’accordo di rinnovo del 28 luglio 2021 per il CCNL Carta-Cartotecnico per mezzo dell’introduzione di una nuova tabella retributiva. La dismissione lo scorso agosto, in coincidenza con il Ferragosto, del macchinario, denominato MC 3, con l’inevitabile licenziamento collettivo degli operai specializzati, legati mani e piedi alla produzione dapprincipio di circa 210-220 tonnellate giornaliere di carta per imballaggi, è stata definita dagli alfieri delle prese di posizione contro un’operazione draconiana. A dispetto del drastico abbassamento della qualità della carta per imballaggi. Al punto che i prodotti finiti sono stati rispediti al mittente da due grossi clienti. Come attestano lo storno di pagamento, con l’annullamento della transazione economica ad opera della banca, in linea col Decreto Legislativo n. 11 del 2010, e i documenti fiscali, denominati note di credito, impiegati ad annullare la fattura emessa in precedenza mettendo nero su bianco i resi di merce ritenuta, se non difettosa, inutilizzabile. Possibile che gli operai specializzati del macchinario MC3 non si siano mai accorti della vistosa involuzione del materiale prodotto sotto l’aspetto qualitativo?

Al contrario le note di credito emesse testimoniano la trasparenza d’azione dei cosiddetti colletti bianchi dell’Industria Cartaria Tivoli, presi di mira anche per partito preso ex ante. Prima dell’incontro con le parti sociali. Opportunamente avvertite nel febbraio dello scorso anno in merito alla possibilità purtroppo piuttosto fondata di una procedura di licenziamento collettivo. Rimandata, a costo di un bagno di sangue sotto il profilo finanziario, ad agosto di quest’anno.
Lo stato di agitazione, il presidio seppur pacifico fuori dall’ingresso principale, la protesta a oltranza degli operai specializzati, che si sentono traditi dalla stanza dei bottoni, tengono conto dell’emissione delle suddette note di credito, delle parti sociali, dall’Ufficio del Lavoro al Comune, dalle organizzazioni sindacali al Ministero, avvertite con largo anticipo, come attesta la pec ricevuta, del calo qualitativo registrato dal macchinario MC3?
La discriminazione in virtù della perdita economica comportata dall’involuzione della carta per imballaggi in questione risulta dolorosa, per l’organico di operai specializzati che hanno perso il lavoro, ma obiettivamente inevitabile. Lo stesso si può dire in merito alla discriminazione operata sull’onda del gioco delle parti ai danni dell’Industria Cartaria Tivoli in funzione anche del Protocollo di Kyoto, per la riduzione dell’emissione del gas, e dei costi comportati dal pagamento delle quote per l’autorizzazione ambientale?
Per restare fedeli alla parola greca aletheia, conforme alla verità sostanziale dei fatti, bisogna approfondire le faccende relative al gas che non serve solamente per fare energia, bensì serve pure per fare vapore, all’utilizzo della turbina attiva per fare energia elettrica senza risentire affatto dei temuti sbalzi di tensione, all’impiego innovativo della cogenerazione onde produrre contemporaneamente calore ed elettricità.
Tuttavia è già sufficiente aver fatto capire a chi legge  che dietro la crisi delle cartiere e la dismissione di determinati macchinari c’è una faccenda più complessa delle istanze dei lavoratori e degli accordi, nonché dei disaccordi, sindacali in sede ministeriale. Con Assocarta e Assografici insieme a SLC-CGIL, FISTEL CISL, UILCOM UIL che rappresentano le aziende, i lavoratori e le lavoratrici della filiera della carta, della stampa e dell’imballaggio. Inclini ad avere visioni manichee. Tagliate cioè con l’accetta. Incuranti delle autentiche condizioni di mercato allo stato attuale delle cose. Ben differente dallo stato di agitazione proclamato per il mancato prosieguo del macchinario discriminato.


L’unica via d’uscita dal tunnel che privilegia lo stato di agitazione allo stato attuale delle cose e alla verità sostanziale dei fatti risiede tanto nell’innovazione tecnologica quanto nel sostegno dello Stato. Che, riconoscendo la crisi del settore, bisognoso di nuovi macchinari ed efficienti modalità di produzione, può trarre in salvo le cartiere dall’oblio. Si tratta d’un processo in cui l’ago della bilancia non penderebbe comunque dalla parte dei macchinari di nuova generazione, dagli standard anti-dismissione, bensì da quella della qualificazione e riqualificazione professionale con l’ausilio risolutivo dei contributi a fondo perduto dello Stato. Frattanto l’ipotetica via d’uscita lascia la ribalta sul versante concreto all’impraticabilità di qualsiasi via d’intesa a causa dei vani puntigli alieni all’applicazione della parola aletheia.

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