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A Lecce il brutale omicidio di De Marco: …..”ho agito solo per rabbia”

L’omicidio di Lecce 
Sulla banalità del male – Il vuoto che uccide

Una analisi di ALICE MIGNANI VINCI * 

“Ho agito solo per rabbia”: queste nella loro spaventosa e disarmante crudezza le parole di Antonio De Marco, il 21enne omicida di Lecce, reo confesso del massacro ai danni della coppia di fidanzati Daniele De Santis ed Eleonora Manta, rispettivamente 30 e 31 anni.  Numerosi i colpi inferti con un coltello da caccia, anche in parti non vitali come il volto, il che indica una propensione alla violenza, nella sua forma più pura e refrattaria ad ogni pietà. Rabbia, rancore e desolazione: il male che si alimenta nel profondo dell’animo umano.

L’omicidio di Lecce ha sconvolto le nostre coscienze e le certezze di molti. Ma perché? Diceva Hannah Arendt della “banalità del male”. Il volto del mostro che ha straziato una giovane coppia, un volto normale, incolore, quasi rasenta l’anonimo. Un fantasma che si aggirava senza destare scalpore, un ragazzo all’apparenza timido e riservato, in realtà accumulava risentimento e progettava vendetta ai danni di chi lo aveva rifiutato, di chi reputava responsabile del suo stato di frustrazione: non sopportava la felicità di quella coppia simbolo di un mondo di gratificazione per lui irraggiungibile. La gioia altrui, specchio contorto che rimanda il riflesso dell’infelicità di De Marco. E silente, nell’ombra, ha architettato un piano per dare concretezza alla sua furia repressa.

A mio parere la chiave di lettura in questa vicenda è il vuoto: il vuoto socio-relazionale, il vuoto nel provare empatia, il vuoto che diviene chiasso emotivo, rabbia, rancore, e va a tradursi in atto distruttivo. E noi da questo pozzo di odio senza motivazione apparente siamo atterriti, non ci sembra plausibile e sufficiente a privare della vita una coppia di ignare vittime. Ma non c’è niente di più pericoloso della rabbia che si origina e urla inascoltata dal vuoto.
Nella desolazione di un animo, come quello di De Marco, che ha covato vendetta e l’ha posta in essere con ferocia inaudita. E questo è normale che susciti in noi terrore assoluto, la paura ancestrale che si possa nascondere attorno a noi un silente omicida, un male torbido che può trarre soddisfazione dall’annientare la felicità altrui, che per catalizzare la propria frustrazione arriva a nuocere al prossimo. E’ questo il male più banale, eppur profondo, è quell’abisso in cui non vorremmo mai specchiarci, e tantomeno ritrovare sul nostro cammino. Ma attenzione a non confondere deficit di empatia e carenza affettiva con l’incapacità di intendere e volere: qua l’agito omicidiario è, a parer di chi scrive, accompagnato da piena lucidità e premeditazione. E ciò rende il caso di Lecce emblema e archetipo della “banalità del male”.

Alice Mignani Vinci – Assistente sociale,
Criminologa ed Educatore Professionale
– Esperta in Scienze del Servizio Sociale
e in Scienze della Comunicazione

 

 

 

 

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