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Aborigeni d’Australia: un rompicapo da scoprire

Il po­po­lo de­gli aborigeni in Australia è un vero rom­pi­ca­po per gli an­tro­po­lo­gi e ar­cheo­lo­gi. Di loro non si sa pra­ti­ca­men­te an­co­ra nul­la se non al­cu­ne trac­ce di an­ti­che tra­di­zio­ni di cui si è per­so ogni si­gni­fi­ca­to, non solo, ma an­co­ra non sap­pia­mo as­so­lu­ta­men­te da dove que­sto po­po­lo pro­ven­ga.Non han­no scrit­tu­ra, né una vera tra­di­zio­ne ora­le, co­stu­mi ri­ma­sti all’età del­la pie­tra per un nu­me­ro di anni o me­glio di se­co­li im­pre­ci­sa­to, sen­za al­cu­na for­ma di cul­tu­ra, per­lo­me­no come la in­ten­dia­mo noi oc­ci­den­ta­li, una vita ba­sa­ta es­sen­zial­men­te sul no­ma­di­smo, ci­ban­do­si dei frut­ti del suo­lo o ani­ma­li da cac­cia­re e nul­l’al­tro. In de­fi­ni­ti­va uno sta­to ai pri­mor­di del­la sto­ria del­l’uo­mo. Ma era solo que­sto il modo di vi­ve­re di que­sti an­ti­chi abi­ta­to­ri au­stra­lia­ni?
For­se no, o quan­to meno è an­co­ra tut­to da stu­dia­re e ri­scri­ve­re la loro sto­ria. Pur­trop­po, man­ca­no dati evi­den­ti del­la loro cul­tu­ra tra­man­da­ta fino a noi e an­cor più dif­fi­ci­le ri­co­struir­la dopo la vio­len­za che que­sto po­po­lo pa­ci­fi­co ha su­bi­to dal­la co­sid­det­ta ci­vil­tà dei bian­chi fino a poco più di ses­san­t’an­ni fa con le armi del bi­got­ti­smo, del­l’i­gno­ran­za e del­la pre­po­ten­za. Una spin­ta alla ri­sco­per­ta di que­sto an­ti­chis­si­mo po­po­lo, si par­la di una da­ta­zio­ne di al­me­no 60­mi­la anni fa, la dob­bia­mo a ri­cer­ca­to­ri co­rag­gio­si che com­pre­se­ro, al di là del con­for­mi­smo del­l’e­po­ca, l’im­por­tan­za di que­sto po­po­lo non solo per l’Au­stra­lia, ma come ve­dre­mo an­che per la no­stra co­sid­det­ta ci­vil­tà.
Il mo­der­no stu­dio an­tro­po­lo­gi­co su­gli abo­ri­ge­ni pos­sia­mo far­lo ri­sa­li­re al 1938, gra­zie alle ri­cer­che del pro­fes­sor An­dreas Lom­mel che vis­se qua­si per un in­te­ro anno in­sie­me alla tri­bù de­gli Unambal, cac­cia­to­ri-rac­co­gli­to­ri fer­mi al­l’e­tà del­la pie­tra, vis­su­ti nel­la re­gio­ne del Kim­ber­ly, nel nord ove­st del­l’Au­stra­lia.
Sog­gior­nan­do con loro quo­ti­dia­na­men­te, Lom­mel si ac­cor­se che non era­no poi così pri­mi­ti­vi, ma ave­va­no una loro cul­tu­ra e, an­che se può sem­bra­re esa­ge­ra­to, una loro teogonia as­sai com­ples­sa. Ascol­ta­va con gran­de in­te­res­se le loro leg­gen­de, sto­rie che si per­de­va­no nel­la not­te dei tem­pi, ma per que­sta gen­te non era­no rac­con­ti astrat­ti, ma era­no as­so­lu­ta­men­te vere e an­co­ra ric­che di si­gni­fi­ca­to come per i mi­ste­rio­si Wan­d­ji­na, raf­fi­gu­ra­ti in al­cu­ne pit­tu­re ru­pe­stri an­co­ra vi­si­bi­li. L’in­te­res­se del­lo scien­zia­to per quel­le pit­tu­re, fino ad al­lo­ra ce­la­te al­l’uo­mo bian­co, ave­va­no il sa­po­re del mi­ste­ro, di un mon­do al di la del tem­po e del­lo spa­zio, qual­co­sa che ve­ni­va for­se da un al­tro mon­do. Que­ste fi­gu­re, dopo la sco­per­ta di Lom­mel, han­no avu­to tan­te in­ter­pre­ta­zio­ni: da sem­pli­ci uo­mi­ni o ani­ma­li sti­liz­za­ti fino ad ar­ri­va­re per i pa­ti­ti de­gli Ufo alla spie­ga­zio­ne che in real­tà i Wan­d­ji­na sa­reb­be­ro an­ti­chi vi­si­ta­to­ri non ter­re­stri sce­si sul­la Ter­ra in tem­pi re­mo­ti. La­scia­mo per­de­re le va­rie teo­rie, ma per­ché tan­ta stra­nez­za in que­ste fi­gu­re ri­spet­to alle cen­ti­na­ia che si ve­do­no an­co­ra in tan­te pit­tu­re ru­pe­stri del­la stes­sa epo­ca?
Le pit­tu­re che rap­pre­sen­ta­no dei Wan­d­ji­na sa­reb­be­ro la te­sti­mo­nian­za sto­ri­ca di un con­tat­to che le po­po­la­zio­ni au­toc­to­ne eb­be­ro con al­tri po­po­li a noi sco­no­sciu­ti o ad­di­rit­tu­ra, come ab­bia­mo ac­cen­na­to, ad alie­ni di un re­mo­to pas­sa­to che gli abo­ri­ge­ni di quel tem­po an­ti­co, non com­pren­den­do l’e­ven­to a cui as­si­ste­va­no, li in­ter­pre­ta­va­no come es­se­ri so­pran­na­tu­ra­li. Si­cu­ra­men­te lo sti­le uti­liz­za­to da­gli abo­ri­ge­ni per ri­trar­re que­sti im­pe­ne­tra­bi­li es­se­ri di­vi­ni con fac­ce bian­che e non come sa­reb­be sta­to nor­ma­le per la loro raz­za con la pel­le scu­ra, sen­za boc­ca, con oc­chi gran­di e neri, con la te­sta cir­con­da­ta da un alo­ne, o per al­cu­ni ad­di­rit­tu­ra un ca­sco di astro­nau­ta, non è sfug­gi­ta cer­ta­men­te l’af­fi­ni­tà con le nu­me­ro­se im­ma­gi­ni con­ven­zio­na­li che ab­bia­mo de­gli ex­tra­ter­re­stri. Inol­tre, i per­so­nag­gi sono rap­pre­sen­ta­ti sem­pre da soli o in grup­po solo tra di loro o tut­t’al più rap­pre­sen­ta­ti con fi­gu­re e og­get­ti sa­cri come il Serpente Arcobaleno ele­men­to fon­da­men­ta­le tra le di­vi­ni­tà abo­ri­ge­ne.
Fin qui le fi­gu­re, ma at­ten­zio­ne: con i Wan­d­ji­na non si scher­za. Sono sem­pre de­gli es­se­ri an­co­ra pre­sen­ti vivi e ve­ge­ti e quan­do si ar­rab­bia­no pos­so­no pu­ni­re con ful­mi­ni, piog­gia o ad­di­rit­tu­ra ci­clo­ni.
Una ve­ri­tà in­di­scu­ti­bi­le tan­to che an­co­ra oggi gli abo­ri­ge­ni sono tal­men­te con­vin­ti che le im­ma­gi­ni sia­no do­ta­te di que­sti po­te­ri da su­sci­ta­re gran­de ri­spet­to e ti­mo­re, tan­t’è vero che solo a po­chi in­di­vi­dui è per­mes­so di ri­toc­ca­re o re­stau­ra­re le pit­tu­re. La ri­cer­ca come sem­pre è aper­ta a qual­sia­si sup­po­si­zio­ni fino a quan­do non avre­mo una ri­spo­sta cer­ta, que­sti es­se­ri con­ti­nue­ran­no a co­mu­ni­car­ci solo il loro mi­ste­ro an­co­ra in­vio­la­to.

Miriam Dei