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Alain Locatelli, due giorni a settimana senza i suoi croissant

articolo di Anna Prandoni via Linkiesta.it

 

Milano, il pasticcere Alain Locatelli segue le orme del colosso giapponese Panasonic chiudendo il suo laboratorio due giorni a settimana. Essere più operativo nei giorni di apertura, recuperare le energie, ma soprattutto, godersi di più la vita e preservare la salute fisica e mentale dei propri collaboratori. 

Il nodo cruciale del lavoro è sempre in primo piano: e se il colosso giapponese Panasonic decide di dare ai suoi dipendenti più tempo libero per studiare, fare volontariato e dedicarsi ai propri hobby, introducendo una settimana lavorativa di quattro giorni, il dibattito sul tema resta centrale anche qui da noi. Se per una multinazionale un discorso di redistribuzione del lavoro può essere comprensibile e attuabile, lo è anche per attività diverse, più piccole o addirittura familiari?

Il dibattito è aperto e la carta più alta questa settimana la mette sul tavolo Alain Locatelli, pasticcere-personaggio, bravissimo e dannato, che ha deciso di aprire in pandemia un nuovo locale a Milano, e oggi sceglie di chiudere due giorni a settimana, scatenando una serie di commenti negativi e non da parte degli affezionati ai suoi croissant. La decisione di condividere il suo pensiero su Instagram, lo strumento che gli è più affine, ci fa capire quanto il dibattito si possa esprimere ovunque e non sia per forza da relegare ai tavoli istituzionali: perché per attività familiari, o individuali come quella di Alain le decisioni da prendere sono personalissime, magari scomode, ma sicuramente possono tracciare una strada anche per altri.

«Questo post, non è sulle colazioni. E nemmeno sui dolci». – scrive il pasticcere «Serve per far comprendere agli addetti della ristorazione e non solo, che il doppio day off di riposo è da prendere in considerazione seriamente, se si vuole bene ai propri collaboratori o facenti parte del proprio team, per lavorare in completa serenità». La visione della salute mentale da preservare è sicuramente un nuovo ingresso nel dibattito sul mercato del lavoro, soprattutto in questo settore. E va avanti, Locatelli, nel suo post Instagram: «Lavorare più di 12 ore al giorno, senza nemmeno fare pausa, ritmi forsennati e prediche senza senso, perché non si “rende” mai abbastanza, è controproducente e tossico allo stesso punto. Figurarsi dare solo un giorno di riposo. Esso non porta a recuperare le energie, ma a far venire lo schifo per il proprio mestiere e la propria passione. Bisogna invece cercare di lavorare il giusto, così che uno possa organizzarsi anche nella propria vita e godersela appieno. Si vive una volta sola. Non ho mai incontrato nessuno che mi dimostri il contrario». 

Da qui la decisione di chiudere due giorni, e di essere ancora più operativo e disponibile negli altri giorni di apertura. Con la consapevolezza che confrontarsi e lottare contro i grandi colossi non è il compito dei piccoli negozi artigianali: «Viviamo in tempi con un sistema frenetico e logorante, che ci costringe a ragionare come se fossimo dei piccoli “Amazon” per essere sempre aperti e disponibili alla clientela, a discapito delle stesse persone che vi lavorano dentro. Siamo artigiani, non multinazionali». Il post accorato si chiude con una grande domanda che spesso in questo ambiente è sottovalutata, o mai posta: «Alcuni diranno che basta avere doppio personale di squadra o avere più stagisti per colmare il gap, ma siate sinceri: in quanti in effetti lo fanno, con quei costi sul lavoro assurdi?! Ma soprattutto..tutto questo, fa la vera felicità?». 

Le risposte sono varie, e vanno dalla completa condivisione alle riflessioni: perché se è vero che due giorni senza croissant non sono una tragedia, è altrettanto vero che è problematico ripensare completamente l’economia per come è strutturata oggi. 

Alcuni colleghi sottolineano come per il solo coraggio di iniziare un percorso simile in un negozio Locatelli sia da premiare, pagando di più per permettere di sostenere questa scelta, che appare migliore di molti altri che rimangono aperti solo grazie a stagisti non pagati o turni di lavoro imposti perché “si è sempre fatto così”. La mentalità da scardinare è quella dell’imprenditorialità portata all’ennesima potenza, del guadagno fine a sé stesso, che non tiene conto delle reali esigenze umane, spesso anche dei proprietari. 

Se non si promuove questa mentalità non si cambierà mai il sistema. D’altro canto, è anche vero che bisogna potersi permettere di pagare di più: e se lavoriamo meno, forse anche il nostro potere di spesa scenderà, impedendoci di sostenere queste scelte imprenditoriali coraggiose. Il livello sempre più basso degli stipendi italiani non aiuta, ma ci sono ormai esempi di Paesi, soprattutto nel Nord Europa, che hanno provato e dimostrato che può diventare sostenibile se c’è davvero un cambio di cultura. Forse, in Italia non siamo strutturalmente predisposti, forse il peso fiscale che grava sulle aziende è davvero troppo elevato, e il costo del lavoro troppo alto. Forse, semplicemente, non siamo ancora pronti, non siamo abbastanza maturi per queste scelte così radicali.  Ma il solo fatto che se ne parli è il segno tangibile che la strada è tracciata, che il futuro è vicino, e che – forse proprio grazie all’accelerata di riflessione data dal Covid – anche questo settore cambierà volto a stretto giro, più rapidamente di quanto ci saremmo aspettati.

Con buona pace di chi vuole mangiare il croissant di Alain tutti i giorni della settimana.

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