
ALBATROSS: Omaggio ad Almerigo Grilz,
giornalista e combattente “Caduto sul Campo”
Scritto da Massimiliano Serriello il . Pubblicato in Cinema, Musica e Teatro.
Il fine dichiarato dell’appassionato ed eclettico attore e regista torinese trapiantato a Roma Giulio Base consiste in Albatross nel costruire idealmente un ponte, anziché alzare ulteriori muri dettati dalle impuntature ideologiche confuse per punti d’onore, per rendere omaggio ad Almerigo Grilz. Il primo giornalista italiano caduto sul fronte, a Mozambico, dopo la seconda guerra mondiale.
Dietro la scelta stilistica ed espressiva adottata per riuscire ad andare oltre lo scoglio dei partiti presi, dalla parte di quelli che Giampaolo Pansa chiamava i gendarmi della memoria avversi ai seguaci dell’egemonia dello spirito sulla materia, risiede un fine più sottile. Degno quindi d’interesse.
Occorre capire se la scelta di anteporre per l’occasione l’immediatezza del cinema nella sua accezione schiettamente popolare alla ricercatezza d’alta classe con cui Base aveva approfondito l’affascinante ed emblematico rapporto tra immagine e immaginazione nei previi film, da Il banchiere anarchico ad À la Recherche, nomen omen, risulta la formula giusta per trascendere i limiti dei biopic avvezzi alla deleteria enfasi di maniera.
Nell’incipit ambientato a Trieste, con gli anni di piombo sugli scudi, gli slogan opposti dei proseliti del livellamento egualitario e degli alfieri dell’amor patrio, ghermiti dalla piena padronanza dell’opportuno match-cut visivo, delineano la fase ex ante dello scontro in chiave western. Preceduto dagli sguardi di sfida. Scandito da una sorta di freez frame. Proseguito in itinere dallo slow motion. Sulla scorta, poi, a tutta birra, d’un’ammiccante canzone d’epoca. Per accrescere, grazie pure all’implicita ironia sinonimo di ponderatezza dovuta alla sana equidistanza dalle fazioni in lotta, le risposte empatiche del pubblico. Specie di fronte alla solidarietà esibita inopinatamente dal giovane capociurma di destra Almerigo Grilz nei confronti dell’acerrimo avversario per sottrarlo all’arresto.
L’ingresso del capopolo progressista, impersonato in gioventù dal persuasivo Michele Favaro, nella sezione missiva testimonia l’efficacia del carattere d’autenticità. Preferito, perlomeno dapprincipio, al carattere d’ingegno creativo necessario a tradurre in maniera originale ed ergo assolutamente personale l’estro letterario dell’amatissimo Pessoa ne Il banchiere anarchico e dell’arguto Marcel Proust in À la Recherche. Tuttavia la ricerca del tempo perduto, lo scorrere del tempo, la contemplazione del reale connessa all’ideale, ravvisabile nei timbri antropologici ed etnografici della città di Trieste costretta a pagare dazio alla cifra dell’odio della cortina di ferro e pronta ugualmente a esibire lo slancio sincero dell’amore per i vincoli di suolo mai ripudiati, rientrano negli argomenti che stanno da sempre a cuore al versatile Base. Predisposto in altri contesti dall’audace oltranzismo evocativo del lavoro di sottrazione a esplorare il terreno dell’identità, dell’angoscia esistenziale, della realtà giustapposta al sogno.
Tuttavia ora gli preme porre in risalto, step by step, la breve ma significativa vita di un giornalista nel rigoglio dell’età verde che non sogna. Bensì converte i propositi teorici in intenti concreti. Per allargare nella scoperta dell’alterità d’ogni viaggio in giro per l’Europa la prospettiva altrimenti circoscritta solo ed esclusivamente al luogo natìo. Il trattamento delle sequenze che lo riprendono in Jugoslavia, Spagna, Francia, con la torre Effeil in evidenza, Germania, Irlanda, Grecia e Olanda risulterebbe piuttosto sbrigativo, perfino superficiale in determinati passaggi, al pari dei colossi dai piedi d’argilla in cui la Storia con la maiuscola serve unicamente da mero pretesto esornativo ai mélo da soap opera, se la capacità di scrivere con la luce non rivelasse il talento del giornalista in boccio a cogliere il celeberrimo attimo fuggente. E con esso l’anima dei posti visitati.
Lontano dagli sfondi inerti di tipo cartolinesco e altresì dalle banalità scintillanti de lla propaganda. Il personaggio di Vito ai giorni d’oggi, incarnato con la consueta verve recitativa dal mostro sacro Giancarlo Giannini sul modello del compianto collega transalpino Jean-Louis Barrault nel servirsi dell’interazione tra postura rivelante ed eloquenti silenzi per accrescere l’interesse tanto del pubblico dai gusti semplici quanto della platee maggiormente avvertite sul prosieguo della trama, privilegia al dunque alla suspense meditabonda dei controversi chiaroscuri la cornice sentimentale d’uno spettacolo consolatorio. Benché legato di nuovo allo scorrere del tempo, al bisogno di fare bilanci e all’innegabile senso di appartenenza della generazione dei giornalisti che portarono la politica dalle tribune all’università della strada, leccandosi le varie ferite alla stregua delle cicatrici onorevoli dei gladiatori moderni col sorriso sulle labbra, sui versanti opposti delle barricate.
L’arte oratoria di Giannini alias Vito per spingere i vecchi compagni ostili ad Almerigo perfino da morto sull’opportunità di riconoscergli una targa commemorativa, a dispetto delle accuse lanciate per demonizzarne la curiosità di conoscere e far conoscere il mondo negletto in cui imperano gli uragani di sangue d’atroci conflitti, spinge all’applauso gli spettatori scevri dalle pretese eccessive. Sedotti dalla dialettica allergica a fronzoli od orpelli vari (“L’unica differenza tra noi e Almerigo è che noi siamo vivi mentre lui è caduto sul campo”). Mentre lascia indifferente chiunque rifugga dalla natura pedagogica dei film d’impegno civile che passano dal realismo descrittivo alla voluttà di assorbire nell’ebbrezza dell’affresco d’ascendenza hollywoodiana, o quasi, l’ovvio mix d’accenti intimisti ed empiti collettivi. La giustapposizione delle luci con le ombre garantita dallo sfogo del giornalista fazioso ostile al collega fedele sino alla morte all’idea bocciata dalla Storia devia l’affrettato happening, tagliato con l’accetta a dispetto delle debite sfumature, sui credibili binari dei pregiudizi difficili, talvolta impossibili, da superare. Giulio Base, ispirato dai cult movie a stelle e striscie sui giornalisti provvisti a iosa d’idee chiare ed estremo coraggio, al di là del mero partito preso, dal leggendario Quarto potere di Orson Welles a Reds di Warren Beatty, snuda lo stream of consciousness del reporter di guerra dal cuore nero, fermamente intenzionato a innalzare i principi deontologici dell’informazione riguardante i campi di battaglia visti dal di dentro, mediante le modalità esplicative della risaputa voice over. Con le lettere indirizzate agli amici per la pelle Fausto Biloslavo e Gian Micalessin che fondarono insieme a lui l’agenzia giornalistica intitolata all’albatros caro a Baudelaire. Goffo sulla terra. Regale in volo quando trova nella libertà il posto nel mondo dispiegando le ali.
Nondimeno è nell’elegiaca incisività del gioco fisionomico del sorprendente Francesco Centorame nei panni del coriaceo Almerigo, estraneo a qualsiasi patetica forma di vittimismo, nel volto impolverato del giornalista all’acme dei conflitti in Afghanistan, Cambogia, Birmania, Iran, Iraq, Angola, negli occhi abituati a parlare, sull’esempio di Morgan Freeman ne Le ali della libertà, che Giulio Base dà il meglio di sé in cabina di regìa. Catturando lo sguardo del ragazzo con la videocamera al posto del mitra che precipita al suolo ghermendo nell’extrema ratio della dipartita l’effigie crudele dell’ennesimo attacco guerrigliero. L’occhio perennemente sull’obiettivo, certi movimenti di macchina a schiaffo carichi di pathos, l’uso mirato della correzione di fuoco per vederci chiaro nelle questioni annebbiate ed esacerbate dalle immancabili controversie, l’interazione tra habitat ed esseri umani, col leitmotiv dell’edicola della fidanzata ai tempi dell’età verde a braccetto dell’area archeologica che unisce passato e presente, veicolano il carattere frammentario ed eminentemente crepuscolare della memoria da proteggere in trapassi ora tragici ora teneri. Impreziosendo con le testimonianze raccolte sulla scorta della fragranza dell’amicizia l’ultimo banco di prova d’un tenace ed entusiasta ricercatore della verità. Ed è infatti la traduzione in termini pratici della concezione insita nel termine aletheia, inteso alla stregua dei concetti di “dischiudimento”, “svelamento”, “rivelazione”, a emergere nel rito funebre celebrato nella provincia di Sofala in onore del giornalista triestino. Alla costante ricerca dell’alterità destinata a divenire familiare e dell’attimo fuggente assurto a mito della fabbrica dei sogni nell’omonimo cult. Colpito da una pallottola vagante all’apice degli attacchi ‘colpisci e fuggi’ della Resistenza Nazionale Mozambicana al governo del Fronte di Liberazione.
In conclusione a Giulio Base non interessa indottrinare nessuno in merito al pluralismo dei punti di vista ininterrottamente agli antipodi. Gli interessa, al contrario, suggerire una via d’intesa. Lo spessore della realtà ritratta, al pari dei processi conoscitivi congiunti alla complicità, che in zona Cesarini manda a carte quarantotto l’aria di ostilità, permette ad Albatross di catturare l’interesse finanche delle teste d’uovo poco inclini alla commozione per qualsivoglia testa di cuoio e garantire così ad Almerigo Grilz un’ombra di simpatia dei militanti di sinistra ostili agli spiritualisti alla sbarra. Formuliamo comunque l’augurio di rivedere presto Giulio Base scandagliare con la macchina da presa la sempiterna questione dell’esclusione alla partecipazione ai diritti riprendendo lo status d’autorialità interrotto col lavoro di sottrazione ed evocazione impiegato in À la Recherche per unire personalità specularmente opposte. Come quelle dei due protagonisti del suo film più bello e sottovalutato, Poliziotti, che taglia il traguardo delle trenta primavere. Col beneplacito del solido Giudice costituito dal Tempo.
Questo articolo, a firma di Massimiliano Serriello, è già stato pubblicato martedì 1 luglio sul “Mondo dello Spettacolo“, storico Blog diretto da Alessandro Cunsolo, che correttamente e doverosamente citiamo come Fonte Editoriale. E’ stato ripreso dalla Consul Press, grazie a specifica e cortese autorizzazione dello stesso autore, da più anni nostro Amico e stimato Redattore, in omaggio ad Almerigo Grilz.
