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All’EUR in via Eufrate una targa sulla casa di Pier Paolo Pasolini

“Vidi Pier Paolo Pasolini due giorni prima della sua morte. Poi, pochissimi giorni dopo, al Congresso del Partito Radicale a Firenze, giunse appunto la notizia della sua tragica fine. Per tutti fu uno shock, un vero trauma, ma specialmente per me, che l’avevo visto, qui sulle scale di casa sua pochissimi giorni prima, dinamico come sempre. Lo ricordo anche in altri momenti, come quando, ad esempio, girava per via Tuscolana, cercando disperatamente di capire il senso di questa nostra società e di questa nostra città”.

 Così Francesco Rutelli, presidente di ANICA ha ricordato, in Via Eufrate 9 all’EUR, il poeta e artista multimediale di Casarsa proprio davanti alla casa dove, sin dal 1963, visse con l’amata madre, Susanna Colussi, sino a quel maledetto 1° novembre 1975 e al terribile “appuntamento” nella notte, con la “Commare secca” all’Idroscalo di Ostia. Sul marciapiede di fronte alla casa, è stata incastonata una targa commemorativa, ricordante appunto gli anni in cui Pasolini abitò lì.

L’Assessore capitolino alla Cultura Miguel Gotor, Francesco Rutelli, il Professore emerito dell’Università Roma Tre Felice Carlo Casula, la scrittrice Tea Ranno e la Presidente del Municipio Roma IX Eur, Titti Di Salvo, hanno ricordato lo scrittore, poeta, regista e giornalista di Casarsa. “Pasolini – ha precisato Gotor – arriva qui nel 1963, reduce da Monteverde e, ancora prima, dal Casilino: a quell’epoca è ancora solo un intellettuale squattrinato, docente a scuola: in poco tempo, riuscirà a salire la china, e proprio in questa casa realizzerà le sue migliori creazioni, compresa la sceneggiatura dello straordinario “Vangelo secondo Matteo”. Mettere questa targa commemorativa ha risposto a una precisa sensibilità culturale e umana sia di Roma Capitale che del ministro della Cultura, Franceschini”.

Pasolini, personaggio senz’altro poliedrico, refrattario alle etichette su base ideologica o, peggio ancora, partitica, che, subito dopo la guerra, in un Friuli già straziato da eventi bellici, lotta tra fascisti e partigiani, faide interne alla stessa Resistenza e tragedia delle Foibe, sceglie di entrare nel PCI.

Quello stesso PCI cui appartenevano vari militanti che, nel ’44 – ’45, s’erano schierati col IX corpus titoista jugoslavo, rendendosi responsabili di massacri come quello del febbraio ’45 alle Malghe di Porzus: dove 17 partigiani di orientamento cattolico, badogliano o laico – socialista, membri delle Brigate “Osoppo”, erano stati fucilati da altri – in prevalenza gappisti – legati appunto al Partito comunista italiano.

Tra gli uccisi, anche Guidi Pasolini, fratello minore di Pier Paolo, che dopo la Liberazione aderisce proprio al PCI, pensando di promuovervi, col tempo, il pentimento dei suoi dirigenti e la piena “riabilitazione” di suo fratello e dei suoi compagni di lotta. “Sindrome di Stoccolma” politica? No, ragionamenti da intellettuale spesso puramente teorico, mentre non è da escludere che alle radici di questa scelta di Pasolini ci siano stati anche influssi da parte dei trockisti, che, sin da prima della Seconda guerra mondiale, avevano lanciato la scelta dell’entrismo” nei partiti comunisti ufficiali, nell’illusoria speranza di modificarne la linea. La militanza comunista di Pasolini, tuttavia resterà sempre molto relativa, mantenendo, il poeta, su molti temi sociali, culturali, dei diritti civili, una linea assolutamente autonoma da quella ufficiale del PCI.

Va ricordato che Pasolini, pur esprimendo giudizi molto severi sul fascismo storico, cercherà sempre, per quanto possibile, di mantenere – al di là delle forti polemiche del “Borghese” e di altre testate su alcuni suoi film e sul suo orientamento sessuale – un minimo di dialogo con la destra del dopoguerra, sui temi soprattutto della difesa dell’identità culturale e civile degli italiani da massificazione e globalizzazione incipiente. Significativi resteranno, ad esempio, il suo apprezzamento di Yukio Mishima, il film documentario “La rabbia”, realizzato, nel ’63, insieme a Giovannino Guareschi, e soprattutto, nel 1968, una sua intervista, a Venezia, al vecchio Ezra Pound (che morirà poco dopo nel ’72).       

 

 

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