Antonella Polimeni: rettore o rettrice?
«Rettrice, la Crusca ci dice rettrice».

E il cuore?
«Rettrice, rettrice, decliniamo così». 

La prima rettrice donna dell’università di Roma la Sapienza, la più grande università d’Europa, in 717 anni della sua storia. Le pesa questo ruolo?
«Mentirei se dicessi il contrario. Sapienza è una storia illustre dove sono passati personaggi pazzeschi. È un’eredità complessa da raccogliere».

Lei ha fatto tutta la sua carriera all’interno della Sapienza, giusto? Fin da quando era studentessa al primo anno della facoltà di medicina?
«Quasi tutta. Dal 1991 al 1995 sono stata all’università di Tor Vergata dove avevo vinto un concorso. Poi sono subito tornata alla Sapienza»

Diventare rettrice era un suo obiettivo?
«Ho fatto un percorso istituzionale dentro l’università. Venticinque anni di percorso istituzionale. Sono diventata preside di Medicina e Odontoiatria, ho lavorato nel Consiglio di amministrazione. Ho messo la mia formazione a disposizione, la mia esperienza».

Ma se lo era posto come obiettivo di diventare rettrice? «No, non esattamente».

E invece adesso è la rettrice del più grande ateneo d’Europa, la prima donna…
«E anche il primo rettore eletto al primo turno, almeno andando a memoria negli ultimi trent’anni, non ricordo altri rettori eletti al primo turno Numeri alla mano».

Numeri alti. Si potrebbe dire che con il 60,7 per cento di preferenze ha sbaragliato gli avversari.«Numeri alti, sì».

Emozionata?
«Direi una bugia se dicessi il contrario. L’emozione è un sentimento importante, viene con la consapevolezza. Del resto…».

Del resto? «Diffido delle persone che non si emozionano».

Lei però viene descritta come una persona molto forte, molto ligia al dovere: è vero che arriva in ufficio tutti i giorni alle sette del mattino? «Sono mattiniera, sì».

E pretende che i suoi collaboratori facciano lo stesso?
«Beh, così imparano che l’impegno paga. Comunque non sempre alle sette, anche alle sette e mezza…».

Persino alle otto? «Anche alle otto. Ma non li chiami collaboratori».

E come allora: allievi?
«Meglio definirli compagni di viaggio. Per me sono compagni di viaggio, la mia seconda famiglia. Sento di essere cresciuta insieme con loro».

Ora con questa sua elezione avranno capito quanto l’impegno paga. «Credo lo avessero capito già».

La sua seconda famiglia: passa più tempo con loro che con la prima «Forse sì».

E che dice la sua prima famiglia. Lei ha un marito economista , vero? «Vero, ho anche due figli che hanno seguito più la linea paterna nel lavoro».

Nessuno dei due ha scelto la strada della medicina come la madre?
«Di più. Lorenzo, 28 anni, si è laureato proprio alla Bocconi e già lavora da alcuni anni. Adesso è in smart working per via del Covid, altrimenti era da sette anni che era andato a vivere a Milano».

L’altro figlio?
«L’altra figlia, Sofia, 25 anni. Si è laureata alla Luiss in Scienze politiche e relazioni internazionali, laurea presa in inglese, come Lorenzo».

Lei ha tempo per avere hobbies? «Leggere e viaggiare».

I viaggi adesso non si possono fare, per lei magari non cambia, non avrebbe avuto il tempo di farne.
«O no, mi pesa tantissimo non poterne fare ora, con mio marito abbiamo sempre trovato il tempo per viaggiare anche quando i bambini erano piccoli. Loro poi sono figli dell’Erasmus e sono stati in Olanda, in Spagna, negli Stati Uniti, in Canada».

Il suo ultimo viaggio? «In Indonesia».

Il più bello?
«Direi il Sud Africa per tutta la sua grandiosità. Ma preferisco aggiungere il viaggio in Cambogia».

L’ultimo libro che ha letto?
«Oddio, negli ultimi due mesi non ho letto molto…».

Non ricorda?
«Sì, sì, l’ultimo saggio di Gianrico Carofiglio, un saggino,un libro piccolino, adesso proprio non mi ricordo il titolo, lo possiamo guardare?».

Lo guarderemo. Ha letto altri libri di Carofiglio?
«Praticamente quasi tutti. Lo ritengono un uomo di una grande intelligenza. Uno dei punti del mio progetto da rettrice riguarda proprio questo».

Carofiglio?
«No, la lettura, le sale lettura. Gli spazi sociali per gli studenti. Come preside di Medicina li ho già realizzati. L’ultimo è stato inaugurato il 9 novembre, proprio il giorno prima che iniziassero le votazioni per il nuovo rettore».

Adesso non si possono utilizzare.
«Aspettiamo la fine di questa emergenza. Nel frattempo a Medicina abbiamo fatto anche un progetto di raccolta fondi proprio per il Covid».

Tanti progetti. Qual è quello che ha realizzato con la facoltà più antitetica alla sua? «Nessuno».

Nessuno?  «Nel senso che non penso ci siano facoltà che abbiano caratteristiche antitetiche alla mia».

Non capisco… «Basta leggere il mio programma».

Diciotto punti.
«Insieme per progettare il futuro. Insieme c’è lo spirito di attraversare i confini».

Ancora difficile da comprendere.
«Mettiamola così: non esistono discipline, ma problemi e il problema necessita soluzione».

Tra i punti del suo programma c’è anche l’ascolto, di tutti. «L’ascolto attivo».

Vuol dire che ascolterà tutti? Sono quasi 120 mila soltanto gli studenti. «Ce la metterò tutta».

La prima rettrice donna della Sapienza ha privilegiato la presenza di donne fra i suoi allievi?
«No, no, tra i miei compagni di viaggio c’è decisamente una composizione mista. La mia filosofia è comunque trasversale».

Trasversali anche i complimenti che le sono arrivati dai partiti politici: glieli hanno fatti a trecentosessanta gradi.
«Ah sì? Non ho avuto il tempo di leggerli tutti».

Ne ha letto qualcuno?
«Diciamo che gli ultimi due giorni sono stati un inferno, il telefono che squillava in continuazione».

A proposito di telefono, la prima telefonata che ha fatto dopo l’elezione? «A casa. Dove c’erano mio marito e i miei figli».

E la seconda? «Ho chiamato le mie due sorelle più piccole».

Anche loro sulla strada della medicina?
«No no, una è insegnante, un’altra lavora in una struttura amministrativa».

E a lei come è venuta la voglia di fare medicina?
«Da mio padre, era un medico. Un gastroenterologo, poi medico internista».

Quindi la specializzazione in odontoiatria da dove arriva?
«Non sono specializzata in odontoiatria, ma in odontostomatologia. Ovvero mi occupo soprattutto di bambini, molti con malformazioni, disabilità. Anche se io lo dico in maniera diversa».

Come lo dice?
«Io dico che al Policlinico Umberto primo di Roma mi occupo di bambini con bisogni speciali, con patologie oro cranio facciali».

Adesso si occuperà di «bambini grandi», quasi 120 mila studenti dell’università più grande d’Europa. Essere la prima rettrice donna che segnale può essere per le nuove studentesse? Che le donne valgono? «Certo. E che he donne danno il loro miglior contributo nelle istituzioni»