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Arsenio Lupin, personaggio reale o frutto della fantasia?

Chi è cresciuto tra gli anni ’80 e ’90 si ricorderà senza dubbio, tra i cartoni della propria infanzia “Le avventure Lupin IIIche raccontavano le gesta di Arsenio Lupin appunto, un ladro gentiluomo che si accompagnava con i suoi fedelissimi compari Jigen Daisuke, Goemon Ishikawa e la bellissima Fujiko Mine, unico personaggio femminile della serie e femme fatal dal carattere ribelle e spesso doppiogiochista di cui il protagonista è innamorato perdutamente, tanto da farla vincere in alcune situazioni.

Dal 2021 il personaggio di Lupin è tornato in voga grazie a una brillante serie Netflix che ne prende spunto per raccontare la storia di un uomo, Assane Diop che per vendicarsi contro una ricca famiglia che aveva ingiustamente accusato il padre di furto, decide di prendere spunto da un libro regalatogli in gioventù dal padre che racconta le gesta del “ladro gentiluomo”.

Ma Lupin è esistito realmente o è solo frutto della fantasia? Brutte notizie per quei romantici che pensavano che un ladro che si ispirasse a Robin Hood, che rubava ai ricchi per dare ai poveri: non è mai esistito nella storia Arsenio Lupin.

Questo infatti è il frutto della penna dell’autore francese Maurice Leblanc che nel 1905 inventa il personaggio di Arsène Lupin (Arsenio Lupin) come risposta alla popolarità del detective Sherlock Holmes, altro personaggio di fantasia di Arthur Conan Doyle. 

L’abilissimo e scaltro ladro rappresenta l’esatto opposto di Sherlock Holmes nonostante siano simili per intelletto e abilità nei travestimenti, solo che uno è un detective e il nostro protagonista è un criminale, seppur sui generis dato opera secondo un rigidissimo codice morale che gli impone di non arrecare danni a donne o bambini e l’idea di colpire esclusivamente persone facoltose le cui ricchezze sono state accumulate in maniera scorretta, approfittando dei meno fortunati. 

Una sorta di Robin Hood moderno, anche questo personaggio frutto della fantasia ma che, come nel caso nelle storie su Re Artù potrebbe essere un mosaico composto da verità storiche e fantasie intrecciate tra loro fino a dar vita al personaggio. 

Ma questa è un’altra storia.

Con il suo tipico cilindro e il monocolo, la prima apparizione di Lupin fu in delle storie serializzate sulla rivista francese Je sais tout, anche se divenne rapidamente così popolare che Leblanc scrisse 17 romanzi, comprese diverse dozzine di storie o novelle. Arsène Lupin, ladro gentiluomo (in lingua originale “Arsène Lupin, gentleman-cambrioleur”) è stata la prima raccolta di storie di Maurice Leblanc che raccontano le avventure del ladro, pubblicata il 10 giugno 1907.

Leblanc nel corso della sua attività continuò a scrivere romanzi di Lupin fino alla fine degli anni ’30. Il romanzo finale ufficiale è chiamato “I miliardi di Arsène Lupin” serializzato nel 1939 e pubblicato postumo nel 1941 dopo la sua morte nello stesso anno. C’è stato anche un romanzo postumo, definito “perduto”, chiamato “L’ultimo amore di Arsène Lupin” e venne pubblicato nel 2012 dopo essere stato scoperto nel 2011.

Il personaggio inventato da Leblanc è sicuramente originale al 100% ma, secondo alcune fonti potrebbe aver tratto ispirazione da un criminale e anarchico francese Alexandre Jacob, noto come Marius Jacob che, proprio come Lupin, si dedicava nel commettere furti ai danni dei borghesi per poi finanziare il movimento anarchico francese.

Nato a Marsiglia nel 1879 condusse una vita degna dei romanzi. Inizia a imbarcarsi come mozzo all’età di undici anni e, tra queste, anche su una baleniera rivelatasi poi essere unna nave pirata, per poi tornare malato e in compagnia di un giovane anarchico. 

Le somiglianze con Lupin iniziano adesso. Sembra che Marius fosse dotato di abile ingegno eincredibile abilità nell’arte del travestimento, vi ricorda qualcuno? Pare infatti che si traverstisse spesso da prete per ingannare i malcapitati. Inoltre era dedito nello studio e nel perfezionamento delle pratiche per scassinare ogni tipo di cassaforte.

Pare inoltre che come palo si affidasse a un insolito aiutante: un rospo. 

Si avete letto bene. Utilizzava un rospo come palo. Aveva scoperto che questi piccoli anfibi non gracidano quando qualcuno si avvicina. 

Ricordato per le sue abilità e il sense of humor, capace anche di generosità nei confronti delle sue vittime, il 19 aprile del 1900, dopo essersi finto pazzo per sfuggira a una condanna di reclusione di 5 anni, si fece rinchiudere nel manicomio di Aix-en-Provence da dove riuscì presto a fuggire grazie alla complicità di un infermiere. 

Mentre si nascondeva Sète, formò la banda degli “operai della notte” con cui metteva a segno numerosi colpi, ma tutt secondo un rigidissimo codice morale: non si uccide se non per difendere la propria vita, si roba esclusivamente a giudici, clero e soldati, persone ritenute parassiti sociali dei tempi, mentre non si toccano gli artisti, i medici e architetti, professioni considerate utili e bisogna sempre devolvere alla causa anarchica una parte del bottino. 

Dopo anni di fuge rocambolensche viene arrestato insieme alla banda nel 1903 trasforma la sua difesa in un comizio e viene condannato all’ergastolo per aver ucciso un poliziotto e trasferito alla Cayenne, nella Guyana francese per una vita di lavori forzati.

La sua vita da romanzo cessa nel 1954 quando, dopo aver ricevuto la grazia muore suicida con una overdose di morfina al termine di una festa presso la propria abitazione. 

Benché il personaggio di Lupin è quindi un mero frutto della fantasia con dei riferimenti a personaggi realmente esisiti, c’è chi ha davvero messo a segno un colpo degno dei romanzi sul ladro gentiluomo.

Sto parlando del più grande furto d’arte del Novecento commesso dall’architetto Vincenzo Pietro Peruggia al museo del Louvre nel 1911: il furto della Gioconda.

Nonostante la complessità dell’impresa Peruggia riuscì a portare a casa il dipinto senza bisogno di trucchi o espedienti racamboleschi, semplicemente travestito da operaio rimosse la Gioconda dalla sua cornice e uscì dalla porta principale con il dipinto nasconto sotto una veste.

Inutile dire che il furto gettò le autorità competenti nel caos, che iniziarono ad interrogare, perquisire e chiedere informazioni a tutti coloro che avevano avuto a che fare con il Louvre. Peruggia venne interrogato e la sua stanza fu sottoposta a un’ispezione che ebbe esito negativo; la Gioconda, infatti, era nascosta in un apposito spazio sotto il tavolo.

Il quadro venne restituito al museo solo nel 1913, quando Vincenzo Peruggia mandò una lettera al collezionista d’arte fiorentino Alfredo Geri dove gli proponeva la vendita della Gioconda con un unico patto: sarebbe dovuta tornare in Italia. Geri fissò un incontro con Peruggia, firmatosi con uno pseudonimo, l’11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze. Si presentò con Giovanni Poggi, direttore della Regia Galleria di Firenze, che prese il quadro in custidia per esaminarlo. Peruggia fu arrestato il giorno seguente dai carabinieri nella sua stanza d’albergo. 

Il ladro motivò il furto spiegando che voleva semplicemente restituire l’opera rubata da Napolenoe al suo Paese di origine, l’Italia. Bisogna però sottolineare che la Gioconda non fu rubata all’Italia da Napoleone, ma fu lo stesso Leonardo a portarla in Francia.

Gianfranco Cannarozzo 

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