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Bengalesi, bengalini e…altri uccelli migratori

BANGLADESH A ROMA

Il Bengala è una vasta regione geografica del subcontinente indiano; il territorio, prevalentemente pianeggiante, è attraversato da due grandi fiumi: il Gange e il Bramaputra. Il clima è quello monsonico, portatore di alluvioni e piogge abbondanti che mettono a dura prova la popolazione.

Le attività principali cui la popolazione è dedita sono quelle legate principalmente all’agricoltura che però non è sufficiente per far decollare il paese, le cui condizioni socioeconomiche sono ancora in via di sviluppo.

Politicamente la regione è suddivisa tra l’India e l’attuale Bangladesh o Repubblica del Bengala. Lo Stato ha conquistato l’indipendenza da appena una cinquantina di anni, la sua data di “nascita” risale al 1970; era una lontana provincia del Pakistan, senza che tra i due territori ci fosse alcun tipo di legame; si chiamava Pakistan orientale per distinguerlo dal vero e proprio Pakistan, detto occidentale.

E’ uno dei paesi più popolosi al mondo, con una  densità di circa 1.000 abitanti per km quadrato; infatti negli ultimi decenni la popolazione è aumentata a dismisura.

I 10.000 km che separano il Bangladesh dall’Italia non rappresentano un ostacolo insormontabile per chi vuole fuggire dalla miseria e dare un senso alla propria vita; un flusso inarrestabile di centinaia di migliaia di individui si è mosso costantemente nei decenni all’assalto del fortino occidentale rappresentato dagli Stati europei tra i quali la meta privilegiata è il Bel Paese; in Italia la comunità bengalese è tra quelle più numerose.

Il risultato di questo esodo di massa è visibile nelle nostre principali città, specialmente Roma; molti quartieri, molte strade hanno cambiato la fisionomia da un punto di vista sociale, economico e urbanistico; il volto della popolazione romana è profondamente cambiato; in alcuni quartieri situati nella zona est della capitale, oramai gli italiani stanno diventando lentamente ma inesorabilmente, una minoranza.

Nella tradizione musulmana il commercio è una delle attività più importanti, specialmente se è un lavoro autonomo; i bengalesi quando arrivano in Italia, iniziano come lavoratori dipendenti, poi aprono un proprio negozio in cui vengono smerciati prodotti ortofrutticoli e altro come bevande, alcolici, birra un po’ di tutto insomma.

La peculiarità di questi negozi, che spuntano come funghi, è quella di non avere problemi di orario, sono sempre aperti, fino a notte fonda, tutti i giorni, domeniche comprese, feste di precetto e altro.

Neanche la crisi pandemica, le ondate di contagio hanno fermato l’apertura di nuove attività gestite dai bengalesi, anzi questi negozi pullulano in maniera incontrollata, se ne contano a Roma, fino ad ora, 1092; i negozi gestiti dagli italiani invece sono andati progressivamente diminuendo, è come se esistesse un rapporto inversamente proporzionale tra i negozi di generi alimentari italiani che vengono decimati dalla crisi e quelli dei bengalesi che prosperano e si sviluppano.

Che cosa c’è dietro a questa anomalia? Come si spiega questo arcano?

La procedura amministrativa, a detta dei diretti interessati, sembrerebbe semplice; quello che forse è meno comprensibile è la disponibilità della ingente somma di denaro necessaria per rilevare le attività e per pagare l’affitto mensile.

Tutto funzionerebbe come una specie di mutuo soccorso, i bengalesi quando arrivano in Italia, vengono aiutati dai connazionali già residenti per avviare l’attività commerciale, ottengono un prestito che poi viene restituito a rate con gli interessi, insieme con una tassa fissa.

Se sono in grado di sostenere le spese, vanno avanti, altrimenti cedono la licenza, ciò spiega come mai con rotazioni frequenti, cambiano i gestori

L’origine del capitale potrebbe essere oscura, la criminalità organizzata potrebbe coinvolgere le frutterie che si riforniscono al Sud non solo di frutta ma anche di prestiti che  spingono gli immigrati nel racket.

La ragione sociale dei mini market sarebbe quella di vendere ma in realtà molti funzionano come centri di accoglienza dove il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è garantito e con esso la possibilità di rimanere in Italia a chi arriva coi barconi dalla Libia.

Lidia D’Angelo

foto@As food culture evolves, the concept of ‘ethnic’ food is changing. (Lisa Norwood/Creative Commons)

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