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Crisi della politica e della democrazia rappresentativa

C’è stato un tempo in cui in Europa non c’erano cittadini ma sudditi. Dal medioevo fino al XVIII secolo il potere era nelle mani di un sovrano. Nel suo palazzo o nel suo castello, il sovrano, eventualmente assistito da qualche consigliere, decideva il modo di dirigere il paese. Le sue decisioni erano divulgate nella piazza del mercato da un banditore, che le proclamava al popolo. Questa circolazione a senso unico determinava la relazione tra il potere e le masse popolari, ed è stato così dal feudalesimo fino all’assolutismo.

Con il passare dei secoli, tuttavia, i sudditi si opposero a quest’approccio dall’alto al basso e si riunirono nella piazza pubblica per discutere delle loro problematiche specifiche e della situazione generale. Il XVIII secolo conobbe una vera e propria accelerazione. Il politologo tedesco Habermas ha mostrato come, in quell’epoca, siano apparsi dei luoghi dove la gente poteva dibattere di affari pubblici. Nei grandi caffè dell’Europa centrale, intorno alle tavole di albergo in Germania, nei ristoranti in Francia e nelle public houses in Gran Bretagna, ovunque si dibatteva di affari pubblici. Lo spazio pubblico prese forma attraverso nuove istituzioni come i caffè, i teatri, ma probabilmente soprattutto attraverso la particolare invenzione di quest’epoca: il giornale. Gruppi sempre più grandi acquistarono un’autonomia che era germogliata fin dai tempi del Rinascimento. Il cittadino era nato.

Le Rivoluzioni americana e francese del 1776 e del 1789 hanno costituito il punto apicale di questo nuovo protagonismo popolare. La popolazione in rivolta si liberò dal giogo delle corone britannica e francese, e decise che non sarebbe più stato il re, ma il popolo a essere sovrano. Per lasciar parlare questo popolo, fu concepita una procedura formale: le elezioni, un istituto giuridico che fino ad allora era servita soprattutto a designare i nuovi papi. In realtà, il diritto di voto era ancora estremamente limitato alla componente borghese del popolo. Di conseguenza lo spazio pubblico per eccellenza, il luogo dove si poteva parlare letteralmente in tutta libertà per difendere l’interesse comune, si chiamava Parlamento. Edmund Burke, il filosofo e politologo irlandese della fine del XVIII secolo, ha detto a questo proposito: “Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori con interessi divergenti e ostili, il Parlamento è l’assemblea deliberativa di una sola nazione, avente un solo interesse, quello della collettività”.

Naturalmente le cose si sono lentamente evolute fino ed arrivare alla nostra epoca attuale. Sono nati i partiti politici, si è allargata la base dei votanti inserendo via via nuove classi di cittadini alle elezioni, fino ad arrivare al suffragio universale. Inoltre i media e i giornali hanno assunto una importanza crescente fino all’attuale strapotere dei social networks. Tutto questo è andato di pari passo con i cambiamenti del contesto della evoluzione sociale e del progresso tecnologico dalla rivoluzione industriale fino all’elettronica e all’informatica.

I partiti politici sono nati dopo il 1850. Inizialmente erano semplici aggregazioni omogenee: tra chi viveva in città e chi in campagna, tra i ricchi che avevano i soldi e i ricchi che avevano la terra, tra i liberali e i cattolici, tra i federalisti e gli antifederalisti. Ma questi gruppi si sono trasformati in solide organizzazioni formali solo verso la fine del XIX secolo. Questi embrioni di partiti inizialmente non apparivano affatto nella maggior parte delle costituzioni, ma essi si sono rapidamente evoluti per diventare i principali attori della scena politica. Il partito socialista, per esempio, è diventato ovunque, a causa dell’industrializzazione, il principale avvocato del suffragio universale. L’attribuzione di questo suffragio implicava una trasformazione strutturale del sistema elettorale: le elezioni sarebbero ormai diventate una lotta tra gruppi d’interessi divergenti all’interno della società, che cercavano di ottenere il sostegno della maggior parte possibile dell’elettorato.

Dopo la prima guerra mondiale, l’amore per la democrazia elettiva si è significativamente raffreddato. La crisi economica degli anni venti e trenta ha intaccato il sostegno della popolazione. I modelli antiparlamentari totalitari hanno guadagnato popolarità in tutta Europa. Nessuno avrebbe mai pensato che dopo il conflitto mondiale del 1940-1945, la democrazia avrebbe avuto diritto a una seconda vita.

Durante gli anni del secondo dopoguerra, i partiti di massa hanno dominato la scena politica. Attraverso una rete organizzativa capillare, riuscirono ad avvicinarsi in maniera considerevole alla vita di ogni cittadino. Lo spazio pubblico apparteneva in gran parte a questa società civile organizzata. Lo stato era certo proprietario dei più grandi e nuovi mezzi di comunicazione (radio e televisione), ma i partiti ottenevano il diritto di parola sotto forma di mandati amministrativi, tempi di emissione e di associazioni aventi un diritto ad essere ascoltati in radio e televisione. Ne è risultato un sistema estremamente stabile, caratterizzato dalla fedeltà a un partito di propria scelta e da un comportamento elettorale prevedibile.

Il pensiero neoliberista, che ha trasformato radicalmente lo spazio pubblico a partire dagli anni ottanta e novanta, ha messo fine a quest’equilibrio. Non era più la società civile, ma le leggi di mercato a esserne il principale artefice. Questo valeva per numerose aree della vita pubblica, in particolare i media. I giornali di partito sparirono o furono comprati da gruppi editoriali, nacquero nuovi canali commerciali, e anche le reti pubbliche iniziarono a pensare in termini di mercato. I media conobbero una vera e propria esplosione. I dati di audience riguardanti la televisione, la radio e la stampa acquisirono un’importanza enorme: diventarono gli indici di borsa quotidiani dell’opinione pubblica. I media commerciali si rivelarono i principali produttori di consenso sociale. Quando anche i sindacati e le altre organizzazioni sociali vicine ai cittadini cominciarono anch’esse ad adottare un modello di mercato, la società civile perde terreno. I partiti, in particolare quando cominciarono a ricevere sempre più sovvenzioni pubbliche, smisero un po’ alla volta di considerarsi come organizzazioni mediatrici tra le masse popolari e il potere, e si annidarono sulle sponde dell’apparato statale. Per restarci, dovevano presentarsi, dopo un certo numero di anni, all’esame delle urne per fare rifornimento di legittimità. Le elezioni divennero un’accanita battaglia mediatica per ottenere i favori degli elettori. Le violente passioni che si scatenavano in tale occasione in seno alle popolazioni mascheravano un sentimento ben più profondo, un’irritazione crescente contro tutto quanto somigliasse anche solo lontanamente alla politica.

Inoltre sorge, all’inizio del XXI secolo, un nuovo fenomeno: i social media. Il termine “social” è alquanto ingannevole: Facebook, Twitter, Instagram, Flickr, Tumblr e Pinterest sono dei media commerciali come la Cnn, Fox o Euronews, con la differenza che i proprietari non vogliono che si guardi o che si ascolti, ma che si scriva e che si condivida. Il loro obiettivo principale è trattenerci il più a lungo possibile sul sito, per favorire i pubblicitari. Di qui deriva l’interesse che si accorda agli “amici” o ai “follower”, di qui la dinamica irresistibile dei “like” e dei “retweet”, di qui i messaggi continui a proposito di quello che altri stanno facendo, o delle persone da conoscere, o ancora dei trending topics, temi di tendenza.

Mentre il cittadino del 2000 poteva seguire alla radio, alla televisione o su internet, lo svolgimento minuto per minuto degli eventi politici, oggi può anche reagire immediatamente e mobilitare altri cittadini. Il lavoro della personalità pubblica, soprattutto del politico eletto, non ne è facilitato: egli vede immediatamente non solo se le sue proposte sono ben accolte dal cittadino, ma anche quante persone questo stesso cittadino mobilita sulla questione. Questa nuova tecnologia accorda una nuova autonomia ma che impatta negativamente sul sistema elettorale.

Inoltre, i media commerciali e social si rafforzano a vicenda. Riprendendo e diffondendo costantemente le notizie degli uni e degli altri, si stabilisce un’atmosfera di denigrazione permanente. La concorrenza feroce, il ritiro degli inserzionisti e il calo delle vendite hanno spinto i media commerciali a fare eco, in modo sempre più virulento, a conflitti che si ostinano ad amplificare, facendo appello a redazioni sempre più ristrette, giovani e a buon mercato. Alla radio e alla televisione, la politica nazionale è diventata una fiction quotidiana, un’opera di teatro recitata da attori volontari. Le redazioni determinano in una certa misura il quadro, la sceneggiatura e la distribuzione, e i politici si sforzano, con più o meno successo, di dare il tono giusto là dove serve. I politici più popolari sono quelli che riescono a modificare la sceneggiatura e a riformulare il dibattito, in altre parole a prendere il controllo. Esiste un certo margine d’improvvisazione e questa improvvisazione si chiama: attualità.

I vecchi attori della democrazia, cioè i giornali e i partiti, si svuotano e sono sempre di più i protagonisti di una morte annunciata. Le elezioni, un tempo concepite per rendere possibile la democrazia, sembrano ormai piuttosto ostacolarla. Si assiste sempre più spesso alla sconfitta del lungo termine e dell’interesse generale di fronte al breve termine e agli interessi dei partiti.

Fino alla scoperta della stampa, solo qualche individuo contava in Europa: gli abati, i principi e i re decidevano i testi che potevano essere copiati o no. La stampa ha improvvisamente permesso a migliaia di persone di acquisire questo potere. Questo ha portato al declino della vecchia autorità e la scoperta di Gutenberg ha garantito la transizione dal Medioevo al Rinascimento. Oggi, con l’arrivo dei social media, si potrebbe dire che tutti possiedono una tipografia! E non è tutto, si potrebbe anche dire che tutti sono a capo di uno scriptorium. Il cittadino non è più lettore ma capo redattore, fatto che causa uno sconvolgimento negli equilibri di potere. Grandi imprese con attività saldamente impiantate sono costrette a piegarsi davanti alle azioni di qualche cliente insoddisfatto. Dittature che sembravano incrollabili perdono il loro ascendente sulle masse popolari, che si organizzano attraverso i social media. Le voci delle componenti della società non sostengono più i partiti politici, ma li fanno a pezzi. Il modello classico, patriarcale, che i partiti applicano per difendere degli interessi non funziona più, in un’epoca in cui il cittadino è diventato più autonomo che mai. La democrazia rappresentativa è per essenza un modello verticale, ma il XXI secolo diventa sempre più orizzontale.

Se i padri fondatori degli Stati Uniti e gli eroi della rivoluzione francese avessero saputo in che contesto il loro metodo avrebbe dovuto funzionare duecentocinquant’anni dopo, avrebbero sicuramente concepito un altro modello. Immaginiamo di dover elaborare oggi una procedura per imparare a conoscere la volontà del popolo, la migliore soluzione sarebbe davvero quella di chiedere ai cittadini di andare ogni quattro, cinque anni ai seggi elettorali, per scegliere nella penombra di una cabina non un’idea, ma dei nomi su una lista? È chiaro che il sistema elettorale rimane la via maestra ma va rilanciato su basi completamente nuove e serve più che mai qualcuno in grado di proporre e portare avanti una nuova proposta credibile e difendibile anche nel nuovo sistema mediatico oggi esistente.

Nicola Sparvieri

Foto © Wikipedia

Crisi della politica, Democrazia, Elezioni