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Democrazie in equilibrio instabile

La diffusione e l’irrompere della rete internet ha profondamente modificato non solo le relazioni fra gli individui e molte pratiche quotidiane, ma anche e soprattutto i rapporti in ambito politico.

Se consideriamo che ogni individuo può essere schematizzato come un nodo di una rete in grado di comunicare con ciascun altro nodo della stessa rete e che in una nazione come l’Italia ci sono decine di milioni di individui che possono fare questo ci viene subito di pensare che il sistema sia incontrollabile o, perlomeno, difficilmente descrivibile. Risulta invece che i sistemi complessi possano dare una risposta soddisfacente anche in merito allo studio delle instabilità dei sistemi democratici indicandone possibili soluzioni.

In natura esistono molti sistemi che possiedono un enorme numero di componenti tutti interagenti tra loro. Per esempio, possiamo considerare un gas reale, un vetro di spin, la crosta terrestre prima di un terremoto, il sistema climatico atmosferico e ancora gli organismi viventi e i sistemi economici e quelli sociali.

Questi sistemi, dagli specialisti, vengono chiamati “sistemi complessi” che non significa che siano “complicati”. Complesso non è sinonimo di complicato. Un sistema complicato può essere scomposto in parti più piccole e compreso analizzandone ciascuna di esse. Tale approccio è chiamato riduzionistico e trae la sua motivazione dal fatto che utilizza equazioni deterministiche tipiche dei sistemi della fisica classica.

Ecco un esempio di sistema deterministico: una pallina lanciata su un tavolo liscio. Possiamo prevedere quanto accelererà, in quale direzione andrà, dove si fermerà e dopo quanto tempo. Possiamo farlo perché abbiamo le equazioni newtoniane del moto a disposizione: inserendo alcuni parametri (massa della pallina, forza di lancio, direzione di lancio, coefficiente d’attrito della superficie su cui si trova, forza di gravità) possiamo calcolarne altri.

Invece, un sistema complesso può essere compreso e osservato correttamente solo considerandolo “nel suo insieme” e osservando in particolare le interazioni tra i suoi elementi. Questo approccio è chiamato olistico e interpreta il comportamento del sistema come risultato delle relazioni tra le sue parti. Questo metodo supera l’approccio riduzionistico ed è assolutamente fondamentale per lo sviluppo della comprensione dei sistemi complessi.

Nei sistemi complessi il meccanismo causa-effetto non è sempre chiaro. In ogni caso non è prevedibile ma solo osservabile. Si può descrivere una relazione tra due fenomeni diversi, ma spesso non si riesce a capire qual è la causa e quale l’effetto. La diversa latenza con cui due componenti del sistema possono reagire limita la definizione di chi sia la causa e chi l’effetto. Sostenere che una cosa è causa di un’altra solo perché avviene prima non è più valido (come per i latini: “post hoc ergo propter hoc”= dopo di questo, quindi a causa di questo).

Tutti i sistemi complessi sono composti da parti che operano in parallelo e contemporaneamente, in tempi diversi e non sincroni. Ad esempio, ogni gruppo di cellule neuronali esegue le sue funzioni coi suoi tempi, contemporaneamente le cellule intestinali fanno lo stesso in tempi diversi, e così via. Perciò l’osservazione di un istante, o di un lasso di tempo breve, non è sufficiente a descrivere e comprendere tutti i processi del sistema.

Ogni sistema complesso può essere definito da una struttura a rete costituita da nodi e da collegamenti tra nodi.

Fatta questa doverosa, rapida e superficiale premessa su cosa sono i sistemi complessi entriamo un po’ nel merito di un sistema sociale umano come esempio di sistema complesso. Nell’ambito di tale sistema le forme di gestione della gerarchia di potere possono essere trattate con i metodi matematici dei sistemi complessi.

In questo contesto un argomento di particolare interesse riguarda quella forma di aggregazione sociale nella quale le decisioni riguardanti il sistema vengono prese da un sottoinsieme di individui rappresentanti la totalità ed eletti con una libera votazione.

Molti politologi occidentali vedono una crisi del sistema democratico. Le analisi e gli studi degli esperti di media e comunicazione individuano le cause della crisi della democrazia nella sfiducia verso le istituzioni, nella perdita di attrazione dei partiti, nella crisi finanziaria e nella diffusione e utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a mezzo internet.

Per alcuni si tratta di una trasformazione, di un passaggio e di un necessario adattamento al periodo contingente (come è già avvenuto nel passato); mentre, per altri, è auspicabile un rinnovamento, se non addirittura, un rivoluzionamento e sostituzione della democrazia stessa con forme che prevedono una maggiore o totale partecipazione dei cittadini nelle decisioni e nell’amministrazione della cosa pubblica.

La democrazia risulta insomma oggetto di attacchi concentrici: da un lato la globalizzazione che ha cambiato profondamente le politiche nazionali che si sono rese più deboli e meno indipendenti cedendo gran parte del potere a istituzioni sovranazionali e mercati globali (vedi il caso dell’Unione Europea), e così i politici non sono più in grado di mantenere le promesse fatte agli elettori. Dall’altro le comunità locali, le regioni autonomiste, gli enti e i poteri minori (come ONG e lobby locali) condizionano la politica tradizionale. Inoltre, internet ha reso più facile l’organizzazione e le proteste.

Insomma, in un mondo in cui i cittadini partecipano con il voto a programmi televisivi, e firmano petizioni online, i meccanismi elettorali parlamentari finiscono per risultare anacronistici.

L’assedio maggiore, però, le democrazie lo stanno subendo da dentro: dai propri cittadini, dagli elettori. Da questo dipendono il distacco verso la politica e l’astensionismo, rilevabili nella maggior parte delle democrazie e che si manifesta, per contro, con i successi elettorali di partiti o movimenti nuovi e di stampo populistico.

Del resto, la connotazione positiva della democrazia è piuttosto recente, come scrive il giurista – già giudice e presidente della Corte costituzionale – Gustavo Zagrebelsky (Imparare Democrazia, Einaudi, 2007): in passato la democrazia era stata associata all’idea del governo della massa che ignora i suoi limiti e, quindi, come un modello negativo e da evitare. Soltanto dopo la sconfitta dei regimi totalitari di destra, con il secondo conflitto mondiale, la democrazia si pone come base per la costruzione di un assetto costituzionale, politico e sociale in cui alle decisioni collettive potesse effettivamente, liberamente e responsabilmente prendere parte il popolo intero, attraverso opportune forme di organizzazione dei cittadini ed efficaci procedure di partecipazione. E, anzi, da allora, il termine “democrazia” è entrato nel linguaggio degli uomini politici e costituisce la categoria-base su cui si collocano e si confrontano tutte le nostre azioni, relazioni e pensieri non puramente privati. Il suo uso intensivo ed estensivo è arrivato al punto di trasformarsi in un concetto idolatrico onnicomprensivo, sintesi di tutte le cose buone e belle che riguardano lo Stato, la società e perfino la famiglia e i rapporti fra gli individui.

Tuttavia, come dice il giurista Franco Gallo, già presidente della Corte costituzionale nella lectio magistralis Democrazia 2.0: “È un dato di fatto, del resto, che si parli sempre meno di democrazia tout court e che – consapevoli della debolezza del termine – la si aggettivi in funzione del tema che si intende trattare. La si definisce così, oltre che ‘rappresentativa’, anche ‘liberale’, ‘parlamentare’, ‘elettorale’, ‘politica’, ‘sociale’, ‘digitale’ ‘formale’ o ‘sostanziale’, ‘diretta’ o ‘indiretta’, ‘procedurale’, ‘deliberativa’ e così via”.

Questo riflette il modo in cui noi occidentali siamo vissuti negli ultimi 50-60 anni. Ma i tempi sono cambiati. I cittadini delle democrazie stanno diventando meno contenti con le loro istituzioni. Sono sempre più disposti a abbandonare le istituzioni e le norme che sono state fondamentali per la democrazia. Sono più attratti da tipi di regimi alternativi, persino autocratici. Questo dimostra la necessità di ripensare l’idea delle democrazie come istituzioni stabili.

I sistemi democratici possono essere studiati con i metodi tipici usati nello studio dei sistemi complessi. A questo proposito è stato recentemente presentato uno studio da Karoline Wiesner dell’Università di Bristol e colleghi ed è pubblicato sull’European Journal of Physics. Esso segue il classico approccio a rete e cioè internet, le reti sociali e reti cellulari di telefoni. La trattazione non è dissimile da analoghi altri studi fatti su reti di ripiegamento proteico, reti biochimiche, reti neuronali, reti immunitarie etc.

Prima di passare a considerare i risultati bisogna tener presente una particolarità importante dei Sistemi Complessi e cioè che essi auto modificano le loro caratteristiche rispondendo ai cambiamenti dell’ambiente in cui vivono. Come tutti i sistemi evolutivi sono in grado di adattarsi all’ambiente e di evolvere.

Questo è cruciale per l’argomento che ci interessa: il sistema democratico può esibire proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che governano le sue componenti se osservate singolarmente. Il parametro che è stato analizzato è stato la auto-influenza delle notizie (feedback) sulla stabilità del sistema democratico.

È stata fatta l’analisi del voto del Regno Unito per la Brexit e le elezioni presidenziali di Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile per esaminare la stabilità delle democrazie per mostrarci come una democrazia si destabilizzi al punto da non essere più descrivibile come una democrazia.

I risultati generali sono raggruppabili nei seguenti punti:

  1. Le disuguaglianze sociali generano instabilità. È stato notato che una maggiore disuguaglianza associata a problemi sanitari e sociali dei più poveri e l’aumento delle disuguaglianze economiche, dovute ad esempio alla crisi finanziaria del 2008, porta allo scontro nel rapporto tra scelte degli elettori poveri e politiche liberali.
  2. L’estrema diversità di opinioni può a volte essere causa di instabilità. Mentre un grado di diversità e di disaccordo tra diversi partiti è sano e persino necessario in una democrazia, troppa diversità può portare all’incapacità di comprendere e risolvere problemi comuni.

Due sono le nuove parole chiave che emergono dallo studio: radicalizzazione e polarizzazione.

La radicalizzazione avviene quando le élite politiche cercano di rimodellare la politica per garantire un vantaggio permanente piegando le regole, ignorando le norme e perseguendo strategie che un tempo non lontano erano considerate scorrette da un punto di vista morale.

La polarizzazione comporta una rottura della fede comune. Conduce i membri di un partito ad ignorare le potenziali minacce alla democrazia, sulla base della convinzione che avere i loro avversari al potere sarebbe peggio. In tale modo si perde un senso di appartenenza collettivo a una patria comune.

Coloro che hanno grandi risorse finanziarie possono influenzare molto il cambiamento istituzionale rispetto a quelli che non lo fanno. Ci sono molte prove che la forza con cui le persone hanno un’opinione è proporzionata alla misura in cui credono che sia condivisa da altri.

E se questo segnale fosse distorto? I punti di vista estremi possono entrare nel mainstream quando sono legittimati da una maggioranza effettiva o presunta. Questo è spesso utilizzato per radicalizzare le opinioni estreme e renderle resistenti al cambiamento.

Il fatto che qualsiasi opinione, non importa quanto assurda, sarà condivisa da almeno alcuni degli oltre un miliardo di utenti di Facebook in tutto il mondo crea un’opportunità per l’emergere di un falso consenso su qualsiasi opinione marginale, perché il segnale sociale è distorto dall’interconnettività globale.

Ormai non si può più ignorare il fatto che i feedback e la radicalizzazione delle opinioni (spesso pilotate da chi fa leva sulle disuguaglianze economiche) impattano fortemente sulla stabilità della democrazia che ormai è totalmente permeata dai social networks. Questi argomenti sono del tutto nuovi nella storia e conducono a sviluppi non noti e che necessitano di essere conosciuti e governati.

Nicola Sparvieri

Foto © Gli Stati Generali

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Democrazia, Governi, Sistemi politici