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“Fuga di gas”: nella Roma delle periferie desolate,
gli “antieroi” di Marco Gemma

Più che un noir , “Fuga di Gas” (Unicopli ed., 2020) dello scrittore autodidatta di vasta esperienza (operaio edile, elettricista, cameriere, ora docente d’ italiano agli stranieri dopo una laurea in Filologia moderna), Marco Gemma, è un classico “Crime thriller”.

I personaggi, però, si muovono in universi mentali che definiremmo tra Pasolini e Verga. Quest’ultimo perchè la loro morale (se ne hanno una!) ricorda davvero la “morale dell’ostrica” dei Malavoglia: intesa come impossibilità d’ uscire da un contesto di quasi miseria decretato da un destino cinico (com’era per i pescatori verghiani).

Contesto aggravato, nel caso degli “antieroi” di Gemma, da un’abitudine a delinquere, o quantomeno a vivere ai margini dell’illegalità che s’è fatta ormai habitus mentale, mondo interiore da cui non si vuole più uscire.

Dicevamo anche di Pasolini: sì, perché i personaggi di “Fuga di Gas” – Gaspare, detto appunto Gas per la sua tendenza a prender subito fuoco, Nando, Gerri, Dario – davvero ricordano “Er Pecetto”  e gli altri comprimari di “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”: sullo stesso sfondo – 60 anni dopo – dei romanzi di Pasolini, cioè una Roma periferica e selvaggia, lontana anni luce dai palazzi del potere e dai salotti bene.

Ancora come Verga, ed anche Pasolini, Gemma, nel far parlare i suoi personaggi, riesce non solo a farli esprimere nel loro “slang”, ma anche a farli parlare in un modo che rispecchia i loro contorti universi mentali, e la loro visione del mondo.

La vicenda ruota intorno al furto di una grossa somma di denaro, fatto da Gas e dal suo vecchio amico Nando ai danni del boss per il quale lavorano; e alle peripezie e complicazioni (anche psicologiche) che intervengono quando, dopo che Nando ha raccontato le sue prodezze alla donna di cui è innamorato, il boss viene a sapere tutto (o quasi).

Come in molte classiche storie di malavita e di mafia italo-USA, proprio Gas riceverà l’ingrato compito di ritrovare ed eliminare Nando. Con tecnica cinematografica, la storia si dipana e s’intreccia sino all’incredibile, quasi pirandelliana, conclusione.

Sullo sfondo della solita Roma dei quartieri estremi, non più borgate da anni ’60 -’70, ma non ancora periferia accettabile, i dannati di Marco Gemma continuano la darwiniana lotta di sempre, rispettando, se malavitosi, a volte ancora i vecchi codici d’onore della “mala” romana.

Sbaglierebbe, però, chi pensasse di trovare in queste pagine le atmosfere di “Suburra” e “Gomorra”, coi sordidi legami dei clan criminali ( e zingareschi) col potere, civile ed ecclesiastici: i personaggi di “Fuga di gas” sono quasi soli nella lotta per la sopravvivenza, tenuti a distanza dalle stanze del potere, che intravedono appena grazie alla mediazione dei loro boss.

Il tutto, dicevamo, nelle zone più disgraziate di Roma (il quartiere che l’ Autore cita molte volte è immaginario, “Casal Giardino“, non lontano dalla Nomentana): l’atmosfera che vi domina ricorda quella di zone dell’ Urbe come Tor Sapienza e Corviale, regno, oggi, anche dell’immigrazione extracomunitaria e delle comunità asiatiche, con i loro separati universi.

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