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Giacomo Puccini “italiano del consenso fascista”

GIACOMO PUCCINI ….UN GRANDE TRA I PIU’ GRANDI

Analisi e Riflessioni a cura di FRANCO D’EMILIO

Il prossimo 29 novembre ricorrerà il centenario della morte di Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858-Bruxelles, 29 novembre 1924), il celebre compositore italiano, a ragione annoverato tra i maggiori operisti d’ogni tempo.

Da una parte, Puccini musicista geniale, innovatore originale con il suo “verismo musicale” e la scrittura di suggestive arie di ampio lirismo, ma anche autore abile nel legare il melodramma verdiano con la sensibilità della nuova scuola musicale francese e con il forte vigore del dramma wagneriano; dall’altra, Puccini uomo, protagonista di passioni e tormenti tra angosce e successi, ma pure persona molto pragmatica, incline e sempre interessata a semplificare e semplificarsi il più possibile la vita per giungere presto e agevolmente a risultati utili.
In Giacomo Puccini il musicista sublima l’uomo e quest’ultimo, invece, spesso fragile nella sua indole toscana, tanto spiccia e determinata, pare quasi rifugiarsi nella lievità dell’ispirazione musicale per placare il peso di irrequietudini e dubbi.

In questa stessa dicotomia tra l’artista e l’uomo si colloca la ricorrente questione se e quanto Puccini sia stato fascista, ovvero se e quanto il suo ideale politico di giusto rapporto tra vita personale e comunità d’appartenenza sia coinciso con l’idealità fascista. (nella foto sottostante la statua in bronzo, raffigurante Giacomo Puccini, opera dello scultore Vito Tongiani, collocata in piazza della Cittadella a Lucca nel 70esimo anniversario della morte del maestro)

                                           

Al riguardo, risultano significative due date, quella del 31 ottobre 1922 e quella del 30 maggio 1923: nella ricorrenza della prima, giorno d’insediamento del primo governo Mussolini, Giacomo Puccini non esita ufficialmente, come altri esponenti del mondo culturale italiano, a manifestare la propria adesione alla Marcia su Roma e a porgere i suoi auguri al nuovo capo del governo; alla seconda data, il celebre compositore lucchese riceve la tessera d’iscrizione onoraria al Partito Nazionale Fascista (PNF), consegnatagli a casa dall’avvocato Alberto Sandrini, segretario del Fascio di Viareggio, cittadina sul litorale versiliese, sempre in provincia di Lucca, dove il maestro ha trasferito la sua residenza da Torre del Lago.
Dunque, due date importanti che nell’arco di sette mesi segnano, prima, il sostegno esplicito di Puccini al Fascismo, poi l’alta considerazione del vertice fascista nei confronti dell’illustre maestro.
Su quest’ultimo punto non mancano alcuni critici antifascisti a sottolineare come la tessera d’iscrizione onoraria di Puccini al PNF possa interpretarsi coercitiva della volontà del compositore, giacché questo stesso mai rivelatosi interessato ad una propria registrazione nelle fila fasciste: costoro sbagliano, incautamente o di proposito, infatti, ignorano come il conferimento di qualunque beneficio onorario sia sempre concessione unilaterale da parte dell’autorità, nel 1923, appunto, il partito fascista, a favore di cittadini che con la loro opera onorino la comunità nazionale.
Giacomo Puccini, al pari di Guglielmo Marconi e altri nomi illustri della politica, della cultura nazionale, è ossequiato dal tesseramento onorario fascista, privilegio che, fra l’altro, pur potendolo fare, non respinge affatto, a differenza di quanto da parte di pochissimi, invece avversi al governo in camicia nera.
(Qui di lato, foto del Caffè Di Simo, già Caffè Caselli, in via Fillungo a Lucca, dove Puccini, appena quindicenne, intratteneva al pianoforte gli avventori per guadagnare qualcosa e contribuire al magro bilancio familiare).                                                         Anche sul tema del rapporto tra il compositore lucchese e il Fascismo sono di particolare aiuto alcune fonti: taluni fondi documentari presso l’Archivio di Stato e la Fondazione Puccini di Lucca; la corrispondenza epistolare del maestro con Arturo Toscanini, Pietro Mascagni e il musicologo Riccardo Schnabl; infine, alcune biografie pucciniane, ampiamente documentate, quali quella ad opera del compositore viennese Mosco Carner (Giacomo Puccini: biografia critica; trad. di Luisa Pavolini. Milano: Il Saggiatore, 1961) e l’altra del critico musicale Claudio Casini (Puccini. Torino: UTET, 1978). In certa corrispondenza, intercorsa con l’editore Giulio Ricordi tra il 1888 e il 1891, Puccini si dichiara germanofilo perchè sostenitore della politica di Otto von Bismarck: quest’ultimo, infatti, ha saputo innanzitutto riunificare la Germania nel Reich, l’impero tedesco, diventandone, appunto, primo cancelliere per ben 19 anni dal 1871 al 1890; poi, è riuscito a garantire ai tedeschi notevole sviluppo economico e benessere sociale, contenendo, spesso anche con la repressione, ogni eccessiva proposta riformista dell’area liberaldemocratica e tutte le istanze radicali, rivoluzionarie del crescente Partito Socialista Operaio di Germania.
Agli occhi di Giacomo Puccini, come di tanti altri italiani germanofili, il cancelliere Bismarck appare il valoroso artefice di un processo di unificazione, subito produttivo di evidente progresso sociale, proprio grazie alla presenza e all’esercizio di un potere statale saldo, energico perché forte, deciso, oculatamente provvido per il bene dei cittadini: davvero il contrario di quanto avvenuto in Italia dove l’unificazione non è stata seguita da un esteso e sensibile sviluppo economico della nazione, soprattutto per le contraddizioni e le divisioni, il frazionismo e i veti della nostra classe politica. (Sotto, alcune locandine di opere pucciniane)

                                                   

In fondo, nell’Italia unita la germanofilia pucciniana equivale alla legittima aspirazione di pace e serenità della nostra borghesia che tanto realisticamente è incline ad occuparsi unicamente della prosperità del suo presente, al massimo con progetti a breve termine, piuttosto che prendersi cura del proprio futuro con obiettivi di lunga previsione e, per questo, esige stabilità e concordia nazionale dalla politica. Giacomo Puccini è, appunto, figlio della piccola borghesia lucchese: nato poco prima dell’unità nazionale e scomparso appena all’inizio dello stato fascista, quindi cresciuto e formatosi nella ricerca della borghese “buona occasione” nel presente, anche per emergere da difficoltà familiari e personali.
Fra l’altro, in Puccini la germanofilia coincide ad un certo punto con una spiccata simpatia per Francesco Crispi, dal 1887 al 1891 capo di un governo duro, anche autoritario, e, successivamente, viene confermata dal favore verso il buon governo, fermamente paternalista, dell’età giolittiana, come risulta in una lettera del 1919, anno di grave e pericolosa instabilità politica, all’amico Riccardo Schnabl: “spero sempre in Giolitti“.
Tutto questo sempre sospinto da tanto pragmatismo, desideroso di risultati concreti, tangibili e non di parole al vento: “Io abolirei Camera e deputati, tanto mi sono uggiosi questi eterni fabbricanti di chiacchiere“, così in una lettera del 10 aprile 1898 all’amico pittore livornese Ferruccio Pagni. (Nella foto seguente un iconico Giacomo Puccini seduto in posa al suo pianoforte)

                                     

Certo, non va dimenticato come la particolare sensibilità politica di Puccini verso governi forti e fattivi s’innesti, agevolmente, sulla formazione giovanile a Lucca in un ambiente familiare, scolastico e sociopolitico di solida impronta cattolica, tendente al conservatorismo, al massimo disponibile alle istanze innovatrici, patriottiche, ispirate al cristianesimo liberale moderato di Vincenzo GiobertiAntonio Rosmini Alessandro Manzoni.
Per tutte le considerazioni svolte Giacomo Puccini si manifesta apertamente insofferente della democrazia parlamentare e simpatizzante dell’autoritarismo contro ogni azzardo rivoluzionario o anche solo contro qualunque parziale, ma sempre eccessiva mutazione dell’ordine sociale, così da sperare ancora in un nuovo, possibile governo Crispi, ritenendolo “il solo possibile in Italia” (Lettera del 20 febbraio 1897 al cognato Raffaello Franceschini). Il maestro lucchese è un conservatore che vive più un sentimento, uno stato d’animo che un’ideologia politica, proprio perché desideroso di ordine per combattere l’avventurismo di pericolose agitazioni popolari; per Giacomo Puccini il Fascismo rappresenta la cura delle sue ansie, delle sue paure conservatrici, tanto da indurlo ad una esplicita dichiarazione in alcune righe del 1921 all’amico Arturo Toscanini: “Ecco perché sono fascista: perché spero che il fascismo realizzi in Italia, per il bene del Paese, il modello statale germanico d’anteguerra.” Ecco, torna la germanofilia bismarckiana a giustificare perché, alla fine, Puccini si riveli un italiano del consenso piatto e conformista al Fascismo, uno dei tanti dell’ampia e crescente base di accettazione, molto interessata, ma spesso apatica, del governo in camicia nera.

                                 


Franco D'Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell'Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali