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“ I RESPONSABILI della SCONFITTA ”:
il libro di Gianfranco Giulivi sulla “Guerra del ’40-’43”

Indagine sui colpevoli del disastro del ’40-’43
e su quelle che erano le possibili alternative

una recensione critica sul testo di FABRIZIO FEDERICI
recentemente presentato presso la Sede dell’UNAR a Roma

Siamo subito e pienamente chiari (come sempre cerchiamo di essere). Apprezziamo molto questo secondo libro di Gianfranco Giulivi, “I responsabili della sconfitta” (Fergen Edizioni), che prosegue onestamente la ricerca sugli effettivi responsabili – militari e politici – della sconfitta italiana del 1940-’43 e su quelle che potevano essere le possibilità alternative per l’Italia nella Seconda guerra mondiale (ricerca iniziata nel 2020, con l’altro saggio “Potevamo vincere! Se solo l’avessimo voluto” (Booksprint).

L’apprezziamo perché, come il primo, questo nuovo saggio è scritto –come del resto è logico attendersi da uno studioso serio – in chiave storico-militare–politica e non “ideologico-politica”. Giulivi sa bene, infatti, che la storia non è mai semplice, unilineare, schematica, né a maggior ragione, leggibile ideologicamente; ma è sempre molto complessa, e come tutti i fatti umani, ricca di possibilità alternative, che è compito proprio dello storico focalizzare. In un certo senso, diremmo che anzi la storia si fa proprio con i “se”: nel senso di capire quali erano, in ogni suo momento, i possibili, ragionevoli sviluppi alternativi (e non per giocare alla fantastoria, ma per dare a chi governa l’economia, la società, la politica, consigli validi in vista di possibili situazioni future analoghe al passato).

Venendo al tema specifico del saggio, chi scrive ritiene indispensabili alcune precisazioni. E’ stato sempre contrario a qualsiasi dittatura, e viene dalle file del socialismo democratico e riformista; ma appunto anche per questo, si sforza di essere sempre il più possibile obbiettivo nel valutare i fatti del presente e del passato, quindi anche il fascismo. Che, se fu regime dittatoriale molto centrato sulla figura del suo fondatore, e, pur non potendo esser messo sullo stesso piano dei mostruosi totalitarismi contemporanei (comunismo, nazismo, fondamentalismo islamico),  ha commesso gravi – a volte, rovinosi – errori, e alcuni crimini: però ha dato un innegabile e decisivo impulso alla modernizzazione del nostro Paese. Completando quel processo di nascita d’una nazione – nell’economia pubblica, nell’istruzione, nella sanità, in alcune infrastrutture – che il Risorgimento e la successiva Italia liberale avevano iniziato (impietoso il confronto, per vari aspetti, con l’Italia di oggi: dopo decenni di rapine della cosa pubblica, privatizzazioni selvagge, scadimento delle Pubbliche amministrazioni, saccheggio dell’ambiente, ecc…).

Guerra 1940- ’43: era possibile un diverso andamento delle cose? Giulivi, proseguendo il discorso avviato nel primo libro, elimina anzitutto vari luoghi comuni, in primis la tesi che le cose non potevano andare che come sono andate, che l’Italia era destinata sin dal 10 giugno 1940 a perdere la guerra, e solo il suo folle dittatore e un pugno di gregari preferivano illudersi del contrario. Pur nella scarsa preparazione del Regio Esercito e nell’impiego di materiali in parte obsoleti o di tecnologia carente, da parte sia dell’Esercito che, in parte, della Regia Aeronautica (la Marina risultava, invece, una delle migliori del mondo), la scelta del momento per entrare in guerra (giugno 1940) e la sostanziale impreparazione e povertà di risorse  inizialmente messe in campo dalla Gran Bretagna permettono invece di dire – sottolinea Giulivi – che l’Italia poteva vincere, se la guerra dichiarata fosse stata effettivamente combattuta per mare, per terra e per cielo, con un saggio impiego delle risorse (nient’affatto poche) che complessivamente aveva il nostro Paese.

Ma ecco un primo, essenziale passaggio, una vittoria dell’Italia, membro del Patto d’Acciaio e poi del Patto Tripartito, non avrebbe significato una vittoria anzitutto della Germania nazista, col suo allucinato progetto di dominio del mondo intero? L’incubo di  “Fatherland”, il romanzo del 1992 di Robert Harris (e del film che ne fu tratto), con una Germania hitleriana che arriva indisturbata sino agli anni ’60, in attesa che il Fuhrer, come il collega spagnolo Francisco Franco, se ne vada per cause naturali…Ecco un punto determinante del lavoro di Giulivi: il quale, guardando a quegli anni, certo non auspica, retrospettivamente, un trionfo nazista.
Ma, dati sempre alla mano, evidenzia i parziali effetti positivi, quantomeno di diminuzione della complessiva distruttività della guerra in Europa, che avrebbe potuto avere una vittoria dell’Italia nel ‘40 sulla Gran Bretagna, rimasta temporaneamente da sola a fronteggiare l’Asse. Se l’Italia – prosegue l’ Autore – avesse condotto la guerra diversamente, con un miglior coordinamento tra Esercito, Marina e Aeronautica, più rapidamente (senza, anzitutto, attendere il settembre del ’40 per attaccare l’Egitto dalla Libia!) e. soprattutto, senza scontri di potere nelle alte sfere militari e politiche, né “quinte colonne” che dietro il sipario complottavano indegnamente, d’accordo con inglesi e americani,  con l’alibi dell’antifascismo (mentre, aggiungiamo noi, altri, veri e seri, antifascisti languivano in carcere o al confino), le cose sarebbero andate in modo diverso.
Una rapida occupazione italo-tedesca di Malta (che, invece, per tutta la guerra rappresentò sempre una spina nel fianco per l’Asse), col potenziamento delle basi di Pantelleria e delle Isole dell’Egeo, e un uso aggressivo della flotta italiana, avrebbero permesso di bloccare in sostanza il Mediterraneo, isolando l’Inghilterra dalle sue colonie, decisive per il continuo apporto di materie prime e di energie umane
E questo avrebbe determinato, prima o poi, la resa britannica e la firma di un armistizio con Italia e Germania. Questa nuova posizione di maggior forza di un’Italia uscita dal conflitto, non ancora mondiale, ha rilevato Gianfranco Giulivi nella presentazione del libro il 21.10 c.a. alla sede dell’UNAR in Via Aldrovandi – avrebbe permesso all’Italia, sempre nel ’40-’41, di dominare il Mediterraneo, da arbitra di tutta la situazione e dei suoi futuri sviluppi; e, forse, di tenersi fuori dalla folle campagna nazista contro la Russia dell’estate 1941.

Sviluppi possibili, inediti del Secondo Conflitto Mondiale, rimasti solo nell’ ”embrione della storia”. Ma è molto significativo, aggiungiamo noi, che lo stesso Mussolini abbia capito, nel ’40.’41, quantomeno che la Germania aveva gravemente sbagliato a voler condurre una guerra soprattutto euro-continentale, trascurando l’importanza di un pieno controllo del Mediterraneo. Come risulta da una conferenza (episodio, questo, certo d’importanza relativa, ma sinora trascurato da quasi tutti gli storici) che nel ’41, a Roma, tenne il Duce in sede semipubblica (un importante istituto culturale). Conferenza  di cui in seguito parlò “Il Messaggero”, nei primissimi anni’80: e in cui Mussolini aveva evidenziato proprio questi temi,  non esitando, quindi, a criticare apertamente l’alleato nazista (il quale, peraltro, come evidenziato, sin dagli anni ‘80, dallo storico tedesco Erich Kuby col suo saggio “Il tradimento tedesco”, Rizzoli, 1983 e poi in BUR, 1996, di lì a poco, nel ’42,  ben prima del nostro 8 settembre, rarefacendosi le possibilità di vittoria, avrebbe tranquillamente iniziato a negoziare una possibile pace separata quantomeno con l’ URSS, ad insaputa dell’alleato italiano…).

Certo, il peso della storia effettiva incalza: se così fossero andate le cose, osserviamo, l’Italia, firmataria del “Patto d‘Acciaio” (che obbligava ambedue i contraenti a sostenersi a vicenda, pur non automaticamente ma sulla base di consultazioni, in qualsiasi caso di guerra), avrebbe avuto però le sue difficoltà a tenersi fuori da un attacco all’ URSS che, probabilmente, un Hitler galvanizzato dal successo, soprattutto italiano, contro il Regno Unito avrebbe ancor più facilmente scatenato. Mentre in Asia orientale, aggiungiamo, un pieno collasso dell’Inghilterra, già entro  primavera-estate del ’41 (se non prima), forse avrebbe indotto il Giappone, socio del “Patto Tripartito” dall’anno precedente, a volgersi più ad Occidente, anzitutto verso gli “appetitosi” India britannica e Medio Oriente: scartando l’opzione della guerra con gli USA (era, questa, un’effettiva tendenza dell’apparato militare-burocratico nipponico, contrapposta all’ ”opzione Pearl Harbour”: tendenza poi, in parte, anche realizzatasi, col tentativo giapponese, nel ’44-’45, di eliminare completamente la presenza francese in Indocina, con destinazione finale l’India).
E’ il gioco – cui, ripetiamo, non vogliano indulgere più di tanto – della “storia alternativa”, che, una volta iniziato, mette in moto una serie di possibili sviluppi difficili da valutare e, soprattutto, prevedere esattamente.

E’ anche difficile, però, dar torto a Giulivi, quando osserva che, in sintesi, gli errori fatti dalle alte sfere militari e politiche italiane nel 1940-’43 sono stati troppo evidenti e grossolani, perché potesse trattarsi veramente di errori (ne abbiamo citati alcuni, ma l’elenco è lungo: leggere  attentamente il libro, ne vale davvero la pena).  Ma allora, precisa Giulivi, ”Di chi la colpa di tutto ciò, se non dello Stato Maggiore Generale” (Pietro Badoglio, che fu Capo di S.M. Generale dal 1925 al ’40, e già era stato, nella Grande guerra, tra i responsabili della nostra tardiva reazione all’offensiva austro-tedesca di Caporetto; più il suo braccio destro, il Generale di Corpo d’Armata Ubaldo Soddu, N.d.R.) e dei 3 Capi di Stato Maggiore delle singole Forze Armate , CAVAGNARI (Marina), PRICOLO (Aeronautica) e GRAZIANI (Esercito)?”.

E il “lider maximo”, Benito Mussolini? “Le sue colpe principali – ha concluso Giulivi – stanno nell’essersi contornato, in ambito militare, di personaggi non fedeli al suo pensiero, non ottemperanti le sue direttive strategiche, non disposti a supportarlo con la loro esperienza nelle decisioni poltico-militari che andavano prese di volta in volta…Una per tutte: la sostituzione dell’ammiraglio CAVAGNARI, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, avvenuta, a Dicembre 1940, con l’ammiraglio Arturo RICCARDI, il mancato difensore della “piazza” di Taranto, …attaccata da 21 aerosiluranti inglesi in 2 ondate la notte dell’11 novembre”: con le conseguenze disastrose che sappiamo.
Ci domandiamo: ma se una cosa del genere fosse capitata nei democratici Regno Unito o USA, come avrebbero trattato, Churchill e Roosevelt, i responsabili del disastro?…

In chiusura l’Avvocato Augusto Sinagra è intervenuto soffermandosi brevemente su quella che è stata la politica economica e sociale del fascismo: volta a realizzare in Italia, negli anni ’20/’30  – è doveroso  riconoscerlo –  un primo efficiente Welfare State, e che seppe creare un sistema di Partecipazioni statali che fece dell’Italia di allora il Paese col più vasto apparato di economia pubblica di tutta l’Europa occidentale. Una politica, com’è noto, ripresa poi da Benito Mussolini al crepuscolo, nei giorni di Salò. E di cui persino il leader comunista Palmiro Togliatti aveva riconosciuto la validità: col suo celebre appello del ’36 su “Lo Stato operaio” ai “compagni in camicia nera”, per riprendere il programma anticapitalista e socialisteggiante del Fascismo targato 1919.

Fabrizio Federici

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Qui di seguito si riporta una recensione sul precedente saggio di Gianfranco Giulivi, a firma di Fulvio Massimo Finucci e Clarissa Emilia Bafaro pubblicata sempre sulla Consul Press in data 12.6.2020

“Potevamo vincere! Se solo l’avessimo voluto”