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Il carico mentale, nemico invisibile del benessere delle donne

Nel 1984 la sociologa Monique Haicault scrisse un interessante articolo, La gestione ordinaria della vita a due, in cui descriveva il fenomeno della “doppia giornata” per il quale in una coppia, le donne lavoratrici percepivano la propria vita come un lavoro senza fine, ed erano immerse in un flusso di pensieri continuo, sentendo su di loro l’intera responsabilità nella gestione della quotidianità della famiglia.

Questa situazione, da lei denominata carico mentale o mental load consiste nel pensare ininterrottamente all’organizzazione degli adempimenti nei diversi ambiti della giornata delle varie relazioni affettive. È questo un lavoro che ricade quasi esclusivamente sulle donne ed è continuo, sfiancante e praticamente invisibile.

Il carico mentale si rivela molto dannoso per la persona tanto quanto un carico fisico: infatti comporta ansia, stress, senso di fallimento e di oppressione, tutti stati che se non affrontati possono portare alla progressiva perdita di motivazione e di voglia di fare, fino a sfociare in uno stato di profonda insoddisfazione. In alcuni casi l’ansia degenera in attacchi di panico e depressione, patologia definita come sindrome di bornout. Anche a livello fisico comporta problemi come insonnia, stanchezza cronica, calo della libido da aggiungere ai problemi relazionali.

A soffrire di questo sovraccarico è dunque in particolare l’universo femminile e sarebbero necessari sensibilizzazioni e approfondimenti della problematica, cosa che effettivamente negli ultimi anni si sta affrontando.

Se ci si sofferma sugli schemi tradizionali e gli stereotipi, è evidente che si considerano le donne come le principali custodi della casa e della famiglia; l’idea generalizzata è che esse debbano occuparsi della maggior parte del lavoro cognitivo ed emotivo necessario per garantire il migliore svolgimento delle attività quotidiane. Questa è ancora un’imposizione silenziosa che porta a pensare che le cose debbano funzionare solo in questo modo.

Ed è sempre a carico della donna la cura delle relazioni affettive con familiari e amici, la cura dei genitori anziani, la gestione delle scadenze amministrative… Le donne sovraccaricate oltre misura dagli impegni quotidiani spesso mettono da parte la carriera, rinunciano ai loro interessi personali dedicandosi quasi esclusivamente alla cura di tutto quello che ruota intorno alla vita domestica.

Il carico mentale deriva proprio dalla complessità di gestire tutti gli impegni della giornata legati alla casa, alla famiglia e al lavoro. E anche laddove le mansioni vengono divise, molto spesso la loro organizzazione è coordinata e gestita dalla donna che ne conserva il controllo; l’uomo prende raramente l’iniziativa e in genere si limita a svolgere i compiti indicatigli. Effettivamente la donna tende a non delegare per la sua tendenza al controllo; pensa, infatti, che nessuno possa essere in grado di svolgere un certo compito come farebbe lei. Ma delegare significa proprio questo: accettare che un’altra persona possa gestire qualcosa diversamente con la fiducia però che, indipendentemente dal modus operandi, riuscirà comunque a raggiungere l’obiettivo, evitandone la critica eccessiva dell’operato.

Il multitasking alla fine si è quindi dimostrato per il gentil sesso una trappola pericolosa con conseguenze sul benessere mentale poiché se le donne sono ritenute capaci di occuparsi di più faccende contemporaneamente, le aspettative sono particolarmente elevate come pure il senso di fallimento per non aver rispettato la tabella di marcia auto- imposta.

Per questo è importante che la donna abbassi le proprie aspettative accettando che anche la casa, i figli o il lavoro non siano sempre perfetti.

Un primo passo per affrontare il problema è sicuramente quello di riconoscere questo tipo di ansia: se si ha la sensazione di non avere mai tempo e il senso di colpa di non fare mai abbastanza che si uniscono al costante senso di stanchezza e alterazioni dell’umore e del sonno, allora si sta vivendo la situazione di sovraccarico psicologico.

In questa situazione è fondamentale chiedere aiuto alle persone che stanno intorno e a livello pratico possano intervenire nell’organizzazione dello svolgimento di alcune mansioni mentre a livello emotivo queste persone possono condividere le preoccupazioni e i pensieri dimostrando comprensione ed empatia.

Il passo successivo è un momento di autoanalisi, di introspezione, dandosi un po’ più di ascolto, capendo quale percezione abbiano gli altri di noi e noi di noi stessi; spesso le aspettative personali sono eccessive e le regole che ci si impone sono troppo rigide. Sarebbe necessaria anche una riflessione sui motivi per cui non si riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati:  per vergogna o paura abbiamo timore a riconoscere di non farcela.

Spesso infatti ridimensionare le aspettative è il traguardo di un percorso di consapevolezza e di attenzione alla propria emotività.

Importante è concedersi la possibilità di darsi un limite, senza sentirsi in colpa. Non è sempre facile stare dietro a tutto, lasciare andare qualcosa può essere un modo per dare voce alla nostra stanchezza. Può anche rappresentare un punto di svolta e aprire la strada a una nuova fase in cui le attività sono pianificate con un ritmo più sostenibile. Non bisogna esitare a chiedere aiuto alle persone che ci sono vicine, sia a livello emotivo, condividendo pensieri e preoccupazioni con il partner o qualcuno di fidato, che a livello pratico, lasciando ad altri l’organizzazione e lo svolgimento di alcune mansioni. Ritagliare uno spazio per se stessi è sempre un’ottima idea. In ogni attività che si svolge si può e si deve trovare qualche aspetto che gratifica e appassiona. A questo proposito, è importante non dimenticare mai che il supporto di chi ci vuole bene può concretizzarsi anche nel regalarci degli spazi tutti per noi.

Tre quindi le parole chiave per uscire dal silenzioso senso di oppressione: ascolto di se stessi, delega dell’organizzazione e delle mansioni, comunicazione, non avendo timore di dare voce alla propria stanchezza o frustrazione, confidando nella comprensione e condivisione di chi convive.

Veronica Tulli

Foto © The green pantry

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