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Il fascismo e le sue origini nel panorama europeo tra il trionfo e la tragica e infame Alleanza  

         L’oscillazione del pendolo politico post primo conflitto mondiale in Europa, analisi storica, politica e istituzionale nonché economica di Karl Polanyi ovvero passaggi anche sanguinari, con violente prese di potere o fasi rivoluzionarie, rapsodiche, che segnavano un passagggio del potere da estrema destra a sinistra e viceversa, è stata, questa l’oscillazione, tanto maggiore quanto minore era la democratizzazione del Paese in questione e tanto maggiore era l’arretratezza economica dello stesso Paese in esame.

         Per l’Italia nonostante vincitrice della guerra vale questa linea di massima, un comune denominatore del contesto dell’Europa centro-orientale, Germania, Ungheria, eccetera Paesi sconfitti.

L’Italia inizio secolo presentava un carattere economico proprio di un paese agricolo-industriale; solo nel 1931 di fatto gli indici del Pil indicano una produzione industriale maggiore alla produzione agricola.

Caratteristica dei paesi in ritardo nello sviluppo industriale è un dualismo che presenta aree a forte concentrazione industriale affiancate da altre aree arretrate economicamente. Dato lo sforzo produttivo bellico della IV guerra d’indipendenza 15-18 lo squilibrio italiano ne esce accentuato.

L’Italia, inoltre, ha una struttura politica gracile, la partecipazione dei cittadini alla vita politica era limitata, il suffaggio universale si ha nel 1913 con un tasso di partecipazione al voto alle elezioni a volte inferiore al 50%. Il partito politico organizzato nel senso moderno era solo il socialista. I cattolici, col patto Gentiloni, appoggiano i candidati liberali. Nel dopoguerra abbiamo nuovi partiti organizzati: nel 1919 il Partito popolare di don Luigi Sturzo fatto nuovo per i cattolici che avevano sempre partecipato indirettamente. Sempre nel ’19 abbiamo l’introduzione del sistema elettorale politico proporzionale con le preferenze, il che consente un vantaggio per i partiti organizzati, infatti le elezioni del ’19 danno un quadro completamente diverso, e questo è altrettanto avvenuto nei paesi vincitori del conflitto.

L’Italia è l’unico Paese che vede la vittoria nella tornata elettorale post bellica delle formazioni politiche non interventiste anteguerra.

In Italia vincono i socialisti e i popolari che pur avendo la maggioranza assoluta non si trovano d’accordo. Un grande problema, e una variante rispetto a quanto avviene negli altri paesi. Quanto detto conferma che nei Paesi in cui la guerra ha agito come elemento di socializzazione la tendenza nel dopoguerra è la radicalizzazione, con un’opinione pubblica estremamente polarizzata. Il Partito socialista ha due correnti, la riformista con Filippo Turati, e la massimalista con Benito Mussolini. Il grosso dei parlamentari socialisti rimane nelle mani dei riformisti come i sindacati, nonostante la vittoria massimalista al congresso di Bologna.

Nel Psi prevale una non scelta, si parla di rivoluzione e di riforma, ma ne l’una né l’altra si faranno. La paralisi di iniziative socialisti tende a far oscillare a destra il “pendolo di Polanyi”. La massima tensione la si ebbe con l’occupazione delle fabbriche.

Il Psi sconterà delle divisioni fino alla costituzione del Partito comunista d’Italia nel 1921 e nel ’22.

Analoghe divisioni, sebbene di diversa natura politica, per il Partito popolare; diviso in una corrente che si richiama al Papa, e un’altra più laica. Da chiedersi, sul ruolo dei cattolici alle elezioni del ’13, a cosa puntavano? Ad un asse con Giolitti, forse… a battere i socialisti massimalisti e la massoneria? A tendere alla sostituzione dei parlamentari liberali, oppure, si presentavano, con una veste clerico-moderata, ma i cattolici, in fondio son tutti clericali e papisti. Dunque, in pratica, si forma il “limbo politico”, un vuoto che viene colmato poi dal fascismo. Quando la congiuntura economica si appesantisce nel 1920 la situazione di “vuoto politico” diviene insostenibile. Le origini del fascismo sono del resto molto modeste: pochi esponenti si riuniscono in un palazzo, a Milano costituendo i fasci da combattimento, il leader è Mussolini (allora si diceva il Ras). Il programma politico è un sottoprodotto del dopoguerra, si chiede la socializzazione delle fabbriche, una forma di governo repubblicana, grandi tassazioni ai cosiddetti pescecani coloro i quali si erano arricchiti con la guerra, il tutto nell’effervescente nazionalismo degli ex combattenti. Nel marzo del ’19 il movimento fascista è minoritario, a Milano è l’unica lista elettorale che non avrà neanche il quorun dei 4000 voti.

In Italia non vi è dunque una proposta politica in grado di costituire un ricambio al “vuoto – o limbo – politico”. Come è possibile che un movimento così limitato salga al potere? Il punto di inizio dell’inversione di tendenza sono i primi di ottobre del 1920. Il clima economico è cambiato, dopo un periodo favorevole del 1919-20, nell’ottobre 1920 ci sono incidenti a Bologna per le elezioni amministrative. I primi squadristi operano nel Nord dove è più forte la presenza dei socialisti. Il partito fascista è interclassista, ed è eterogenea la partecipazione sociale. L’adesione forte al PNF avviene nella pianura padana con lavoratori agricoli, operai e disoccupati. Eccezione, tra le grandi città è Trieste, di ultima, nuova, annessione all’Italia. Gli squadristi si raccolgono intorno ai capi provinciali e locali, i vari ras. Mussolini è abilissimo ad amministrare e capitalizzare questi movimenti di squadristi. Nel novembre del ’21 il movimento si trasforma in partito. Mussolini cambia tendenza, i programmi rivoluzionari di nazionalizzazione, di formazione istituzionale di una repubblica e le posizioni anticlericali vengono superate per volgere verso un ordine costituito con gli industriali, con la monarchia e anche con il clero. Poi, in breve, dalla fine dell’estate all’autunno del ’22 prende corpo l’idea di marcia su Roma già prommossa in più occasioni da D’Annunzio a Fiume ma mai intrapresa, insieme alla liturgia politica fiumana una miscela di sinistra patriottica che anelava alla repubblica, con anarchici sindacalisti socialisti e il Partito Radicale Storico, interventisti, rivoluzionari avventurieri. La marcia di Mussolini si compie il 28 ottobre del ’22 ed è la rivoluzione fascista. C’è da chiedersi, fu veramente rivoluzione? Effettivamente c’è stato un ricambio, sebbene tutto avviene nella legalità, essendo Mussolini chiamamto dal Re. Inoltre il governo costituito è di coalizione, e di fatto lo fu, nel senso dei rapprti di forza e nella sostanza. Quindi l’oscillazione del pendolo di Polanyi va velocemente a destra. Il Gran Consiglio fascista, di fatto un comitato centrale, assume i poteri istituzionali; come esiste una formazione paramilitare dei fasci da combattimento parallela alle forze armate si forma un governo parallelo fascista. Il problema per i fascisti era di assicurarsi il potere. Con il Listone fascista alle elezioni avranno la maggioranza relativa assicurandosi i 2/3 della rappresentanza governativa grazie alla legge Acerbo. Matteoti decise di denunciare i brogli elettorali. I deputati di opposizione si ritirarono sull’Aventino.

Mussolini a seguito del delitto Matteotti, pronunciò il discorso del 3 gennaio 1925 in cui, in sostanza, sosteneva: se c’è un’associazione a delinquere io sono il capo e imputatemi. Andava al potere un regime autoritario ma non sanguinario come il bolscevico in Russia. Dotato di consenso di massa dal basso, si presentava come rivoluzionario ma conservatore, ebbe anche un merito, di avviare una legislazione sociale previdenziale. L’esperienza del fascismo costituì una terza via, un modello che destò interesse in tutta Europa e nel Mondo, come punto di riferimento. Fino a farsi affiancare, a far data dal 1935/36, condividendo infami leggi e tristi lugubri destini, e così farsi fagocitare Mussolini da Hitler che, che col suo nazionalsocialisti e supremazia della razza germanica era ben altra faccenda: finale tragico per l’europa intera. Post scriptum: nel gennaio 1942 a Torino in piena gurrra e massima espansione dell’Asse si tenne un incontro universitario, il terzo, dei giovani dirigenti del Reich teutonico e dell’Impero fascista. Ebbene scrissero gli italiani che era vile pensare di vantare un Primato solo perchè si è nati di sangue tedesco, Noi, gli italiani pensavano al Primato della Cultura come novella Roma civilizzatrice dei popoli. C’erano molti giovani giornalisti, a guerra finita passati poi al Pci e ai socialisti, poi negli anni del dopoguerra e fino a quando sono passati a miglior vita, tutti di brillante carriera, ed erano firme o redattori del IX Maggio edito a Napoli, giornale quindicinnale collegato a Il Mattino, di fatto, a leggerlo, una libera espressione di giovani talenti del GUF – Gioventù universitaria fascista, napoletano.