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Il Graal della religione del minimalismo: la storia della t-shirt bianca

Dal genio trasformista di Coco Chanel alle “macchie” di valore di James Dean, compendio couture del capo più democratico al mondo, estensione della personalità di chi le indossa.

Dagli inizi nelle trincee di guerra ai tailleur di Chanel e al fast fashion: storia di un classico degli armadi, la t-shirt bianca, e dei marchi culto di ieri e oggi. Una tela, rigorosamente bianca, nella quale tutti si sono, indistintamente riconosciuti, da 60 anni a questa parte. Sulla t-shirt sono nate mitologie cinematografiche e personali, si sono stampati gusti musicali e messaggi politici, e si sono costruiti eserciti. Non si tratta qui di un’esagerazione, perché se il pezzo del guardaroba è diventato una divisa ideologica adottabile in massa, l’origine è proprio di stampo militare. La indossavano nel 1910 i soldati della marina americana, era una dotazione ufficiale del loro armadio, da portare a contatto con la pelle, sotto gli altri strati di abbigliamento richiesti dalla precisa, e rigorosa, regolamentazione. Ci volle il genio di Coco Chanel per tradurne la texture, quella del jersey di cotone, di solito utilizzata per l’abbigliamento intimo, in capi che si offrivano orgogliosamente agli sguardi, senza più nascondersi.

Considerato capo da relegare alla dimensione dell’infanzia, o al massimo della pre-adolescenza in tumulto ormonale, entra di diritto nella mitologia al maschile, però, come uniforme unica e indiscutibile della ribellione giovanile, di una rabbia che non riesce a trovare sfogo, di ideali che non trovano corrispondenza nel cinismo del mondo adulto, e che però si vestono tutti di quella maglietta. Le macchie sullat-shirt bianca diventano così medaglie al valore, sinonimo di una vita sporca e pericolosa (alla voce Marlon Brando in Un tram chiamato desiderio, o, ancoraJames Dean in Gioventù Bruciata). Un mito che all’epoca aveva un nome solo, quello di Hanes, marchio americano nato nel 1901, da cui si rifornivano entrambi gli attori.

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Sinonimo di ribellione, e non più piegato ad estetiche zuccherose, torna ad esserlo negli Anni 80 e 90: chi lo indossa è un membro ad honorem della working class (Bruce Springsteen sulla copertina di Born in the USA) o è, sempre e costantemente, contro (Kurt Cobain su tutti). Una mitologia a cui fa l’occhiolino Karl Lagerfeld, direttore creativo di Chanel, che, avendo imparato a memoria la lezione della fondatrice del marchio, nel 1991 lo abbina ai tailleur in tweed, nel frattempo divenuti sinonimo dell’eleganza made in France. La combo, improbabile, ma, forse per questo, di grande successo, sfila addosso ad una delle top più raffinate che abbiano mai calcato le passerelle: Linda Evangelista. Sdoganata e amata dal fashion system che conta, da allora di t-shirt bianche se ne sono viste di tutte le versioni: in pregiato cotone fatto sbarcare direttamente dalla Sea Island – la versione più lunga esistente della fibra, di finezza e lucentezza senza pari – o in mischie preziose di cotone e seta.

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