
Il luogo della Memoria
Scritto da Veronica Socionovo il . Pubblicato in Salute e Sanità.
Le Muse nella Profondità dell’Essere dentro la nostra Psiche un viaggio nel regno interiore dei simboliIl luogo della Memoria è uno spazio interiore, psicologico e simbolico, un territorio che l’individuo abita spesso senza esserne pienamente consapevole, e che pure condiziona, orienta e struttura profondamente la sua identità, i suoi legami affettivi, le sue scelte esistenziali, i suoi vissuti più intimi. Fin dalle prime formulazioni del metodo psicoanalitico, Freud intuì l’importanza capitale della memoria, non solo come semplice funzione cognitiva, ma come vero e proprio portale d’accesso all’inconscio, a quella parte remota e non immediatamente controllabile della psiche, dove dimorano immagini, ricordi, emozioni, desideri e paure spesso sepolti sotto gli strati della coscienza vigile.
La regola fondamentale della pratica analitica freudiana, la cosiddetta “regola fondamentale della libera associazione”, imponeva ai pazienti di lasciar fluire i pensieri senza censure, senza tentativi di selezione, lasciando parlare l’anima, dando spazio alle parole che sgorgano non dalla volontà, ma da quella sorgente misteriosa e spontanea che la mente spesso ignora: l’inconscio. In questo abbandono della sorveglianza razionale, si compie una discesa nell’inconscio che ha il carattere di un viaggio interiore. Così facendo, si giunge a un incontro con la memoria, intesa non soltanto come serbatoio di eventi vissuti, ma come tessuto complesso di immagini, costruzioni simboliche, sedimentazioni arcaiche.
Freud, inizialmente, riteneva che questi ricordi che emergevano dal lavoro psicoanalitico fossero eventi realmente accaduti, soprattutto traumi infantili rimossi. Ma progressivamente si accorse che molti di questi ricordi non corrispondevano a fatti storicamente verificabili, bensì a fantasie, a costruzioni immaginali dotate però di una forza psichica e di un impatto emotivo del tutto reali. Ciò portò Freud a riconoscere una verità più profonda: la memoria non è solo una facoltà conservativa, ma una forza creativa, generativa, capace di costruire rappresentazioni con la stessa intensità di quelle prodotte dall’esperienza vissuta. La memoria, dunque, non è vincolata ai limiti del tempo lineare né dello spazio oggettivo. Essa è, piuttosto, uno spazio trans-temporale, un archivio vivente dove coesistono eventi reali e immaginari, emozioni antiche e simboli archetipici, vissuti personali e memorie collettive.
È in questo senso che Freud, parlando di inconscio – o “Es”, come lo chiamò mutuando il termine da Georg Groddeck – ne fa un luogo, una topografia interiore, un paesaggio popolato da immagini autonome, che operano secondo una logica propria, che si manifestano nei sogni, nei lapsus, nei sintomi nevrotici, nei comportamenti apparentemente irrazionali. L’inconscio non è un contenitore, ma uno spazio vivo, un luogo da esplorare, abitato da figure e fantasmi, simboli e archetipi. Ed è in questa dimensione che la memoria rivela il suo volto più potente: essa non è il semplice atto del ricordare, ma è l’arte del tenere vivo, del mantenere in esistenza.
James Hillman offre una prospettiva preziosa. Secondo lui, le immagini che popolano l’inconscio non sono semplici derivati dell’esperienza, ma presenze psichiche a pieno titolo, dotate di autonomia e intenzionalità. Esse non emergono nella psiche per caso, ma per condurre l’individuo verso luoghi interiori specifici, per suggerire direzioni, per ampliare l’anima. Immaginando la psiche come uno spazio, come un paesaggio da esplorare, Hillman suggerisce che l’inconscio sia il regno immaginale della memoria, la dimora di tutte le immagini. È qui che ha inizio il viaggio della conoscenza interiore, della comprensione simbolica, della trasformazione autentica.
Già Marco Tullio Cicerone, nel suo trattato De Inventione, aveva compreso l’importanza della memoria come elemento costitutivo della virtù della Prudentia, insieme alla Providentia e all’Intelligentia. La Prudenza, in questa visione, è la capacità di discernere tra ciò che è buono, ciò che è cattivo, e ciò che si colloca in una zona intermedia, neutra. Essa non è semplice cautela o saggezza pratica, ma è una vera e propria forma di conoscenza ontologica. In tale contesto, la memoria assume un ruolo centrale: essa è la facoltà che permette di conservare e rivivere ciò che è accaduto, di apprendere dall’esperienza, di mantenere un contatto con ciò che ha avuto valore.
L’Intelligentia, invece, consente di percepire ciò che è, il presente, la realtà concreta, mentre la Providentia apre lo sguardo verso il futuro, anticipa, prevede. Ma è solo grazie alla memoria che queste due facoltà possono orientarsi e integrarsi: senza memoria non vi è continuità, non vi è coerenza interiore, non vi è senso. Per Cicerone, la memoria è addirittura la prova dell’origine divina dell’anima: essa è ciò che permette il contatto con il trascendente, con il mondo degli dèi. Attraverso l’immaginazione, l’essere umano si apre al divino; attraverso la memoria, il divino entra nella nostra vita psichica.
La virtù è un habitus mentale, un modo stabile e profondo di essere, in armonia con la ragione e con l’ordine della natura. L’uomo virtuoso è colui che si accorda con il ritmo del cosmo, che riconosce la legge interiore dell’anima e la coltiva. La memoria, dunque, non è solo utile: è sacra. È il ponte tra l’umano e il divino, tra il passato e il presente, tra l’individuale e l’universale. Essa permette lo sviluppo, la maturazione, la crescita spirituale. Attraverso il ricordo, l’uomo accede alla conoscenza, non in senso astratto o teorico, ma come comprensione vivente, incarnata, esperienziale. Le immagini evocate dalla memoria non sono oggetti neutri: esse sono necessarie, indispensabili. Vanno accolte, ascoltate, elaborate.
Non si tratta di valutare tali immagini secondo il criterio della verità o della falsità storica, né di gerarchizzarle secondo una logica dicotomica. Le immagini della memoria devono essere comprese nella loro totalità: il loro contenuto, la loro carica simbolica, la loro forza emotiva, la loro energia psichica. Esse ci parlano, ci orientano, ci chiedono ascolto. A volte ci turbano, altre volte ci commuovono, ma sempre ci trasformano. Aver accesso alla memoria significa penetrare nel più vasto patrimonio culturale dell’umanità, in quel deposito arcaico che Carl Gustav Jung ha chiamato “inconscio collettivo”. Esso non appartiene solo al singolo individuo, ma è l’eredità dell’intera specie, l’eco della storia profonda, delle civiltà, dei miti, dei sogni collettivi.
Jung riconobbe nella memoria un potere che va oltre la biografia personale: è l’accesso a forme primordiali, a simboli condivisi, a esperienze che si ripetono ciclicamente nei millenni. E ciò che emerge dalla memoria collettiva ha una potenza archetipica: gli dèi, gli eroi, le dee, gli spiriti, le immagini primarie che ritornano in ogni cultura, in ogni tempo. La psicologia, in questa prospettiva, non può più limitarsi a diagnosticare sintomi o a correggere disfunzioni. Come sostiene Hillman, essa deve riscoprire un linguaggio capace di parlare alle immagini, un linguaggio poetico, artistico, evocativo, che rompa con l’approccio clinico-patologizzante e si apra a un dialogo vivo con l’anima.
Il linguaggio della psiche non è fatto di concetti, ma di simboli. E i simboli, da sempre, trovano espressione privilegiata nelle arti. Le Muse, figlie di Mnemosine – la memoria – sono le custodi di questo sapere profondo. Le Muse incarnano le diverse forme attraverso cui l’essere umano dà voce alla memoria: il canto, la poesia, la danza, la tragedia, l’epica, la storia, la commedia, l’astronomia, l’arte oratoria. Ed è attraverso queste forme che l’uomo entra in contatto con il sacro, con l’invisibile, con il mistero. L’arte non è dunque un lusso, né un passatempo: è il veicolo della memoria, la sua incarnazione più fedele.
In tutte le civiltà antiche, l’arte è stata strumento di trasmissione della conoscenza, memoria vivente delle origini: le piramidi d’Egitto, le cattedrali gotiche, i templi greci, le statue votive, gli affreschi bizantini, i canti popolari, i miti tramandati oralmente. Ognuna di queste espressioni artistiche è un simbolo della memoria collettiva, un segno visibile di ciò che l’umanità ha vissuto, compreso, amato, temuto. In ogni epoca, filosofi, teologi, scienziati e mistici hanno riconosciuto la centralità della memoria. Basti pensare a Metrodoro di Scepsi, Apollonio di Tiana, Raimondo Lullo, Pico della Mirandola, Matteo Ricci, Giulio Camillo: per tutti loro, la memoria è stata oggetto di studio, esercizio, disciplina.
L’arte della memoria non è un’abilità meccanica, ma una via di conoscenza, un cammino spirituale. Essa non serve solo a ricordare nomi o date, ma a strutturare la mente, a organizzare il sapere, a costruire uno spazio interiore capace di contenere la complessità dell’esperienza. La memoria è un palazzo mentale, un teatro dell’anima, un cosmo simbolico. E per l’educatore, per lo psicoterapeuta, per chiunque lavori con l’anima, essa è uno strumento essenziale. Non si può accompagnare un essere umano nel suo processo di crescita se non si conosce il valore della memoria, se non si sa come onorarla, come ascoltarla, come custodirla.
Ogni narrazione personale è una forma di memoria: anche ciò che sembra dimenticato, rimosso, negato, continua ad agire nell’inconscio, chiedendo di essere riconosciuto. La guarigione non avviene nella rimozione, ma nel ricordo. Ricordare è un atto di giustizia interiore, è dare voce a ciò che è stato messo a tacere, è accogliere anche le ombre, le ferite, i dolori. Ma ricordare è anche rievocare la bellezza, la gioia, le radici. E in questa complessa alchimia, la memoria diventa la chiave per accedere alla totalità dell’essere. Nessuna crescita autentica è possibile senza memoria. Nessuna trasformazione può avvenire senza il coraggio di tornare indietro, per poi andare avanti.
Ed è in questo spazio sacro, dove le immagini affiorano, dove le parole si fanno simbolo, dove la psiche incontra la sua profondità, che noi psicologi, educatori, terapeuti dobbiamo imparare ad abitare. Ascoltare la memoria non significa indagare il passato come archeologi freddi, ma accoglierlo come qualcosa che pulsa ancora nel presente, che chiede di essere integrato, compreso, onorato. Perché il luogo della Memoria è il luogo dell’Anima.
Veronica Socionovo®©