
Il ruolo delle donne nella caduta dello zar Nicola II. Potrebbe succedere 105 anni dopo?
In questo giorno iniziato con messaggi, immagini variopinte, auguri più o meno pertinenti, non possiamo non pensare alle donne ucraine e russe. Il giallo della mimosa diventa il grano che colora la bandiera ucraina e il rosso delle rose è la base del vessillo russo.
In tanti, oggi, hanno parlato della violenza contro le donne più delle donne stesse. Come fossero oggetto e non il soggetto di una ricorrenza sempre più svuotata del suo significato.
Utile a ricordarlo è un breve articolo, scritto anni fa da Orlando Figes. Autore di A People’s Tragedy: The Russian Revolution. Era l’8 marzo del 1917 quando le donne di Pietrogrado rovesciarono lo zar: che possa accadere ancora?
Inizia il racconto: 8 marzo, festa della donna anche nel 1917
Il primo giorno della Rivoluzione russa – l’8 marzo (23 febbraio nel vecchio calendario russo) – è stata la Giornata internazionale della donna, data importante nel calendario socialista. A mezzogiorno di quel giorno del 1917 c’erano decine di migliaia di donne riunite principalmente sulla Prospettiva Nevsky, la strada principale nel centro della capitale russa, Pietrogrado. Iniziarono presto ad apparire striscioni, simili a quelli che vediamo in queste ore nelle piazze occidentali.
Gli slogan sugli stendardi allora erano perlopiù patriottici, ma lanciavano anche forti richieste di cambiamento. “Nutri i figli dei difensori della madrepatria“, dicevano, “Integrate la razione delle famiglie dei soldati, difensori della libertà e della pace popolare”, urlavano.
La folla dei manifestanti era varia. Il governatore della città, AP Balk, affermò che consistevano in «signore della società; molte più contadine, studentesse e, rispetto alle precedenti manifestazioni, non molti lavoratori». Donne di tutte le classi sociali, in prima linea per chiedere razioni alimentari adeguate, condizioni di vita decenti.
Rivoluzione iniziata dalle donne, non dai lavoratori
Secondo il racconto di Figes, nel pomeriggio l’umore ha cominciato a cambiare quando le lavoratrici tessili della parte di Vyborg della città si sono unite in sciopero per protestare contro la carenza di pane. Insieme ai loro uomini, hanno gonfiato la folla sul Nevsky, dove urlavano “Pane!” e “Abbasso lo zar!”. Il suo nome era Nicola II Romanov, per Grazia di Dio, Imperatore e Autocrate di tutte le Russie.
Alla fine del pomeriggio, erano oltre 100.000 i lavoratori ad aver scioperato.
Vi furono scontri con la polizia mentre i lavoratori cercavano di oltrepassare il ponte Liteiny, che collegava la parte di Vyborg con il centro della città. La maggior parte fu dispersa dalla polizia, ma diverse migliaia attraversarono il fiume ghiacciato Neva (una cosa rischiosa da fare a -5C). Alcuni, irritati dagli scontri, iniziarono a saccheggiare i negozi diretti al Nevsky.
I cosacchi di Balk lottarono per liberare la folla sul Nevsky. Avrebbero poi cavalcato fino ai manifestanti, solo per fermarsi e ritirarsi: erano per lo più giovani riservisti, privi di esperienza nel trattare con la folla. Per svista, peraltro, non erano state fornite loro le fruste usate dai cosacchi per disperdere le folle di civili. E, forse, sentivano proprio il grido della piazza, di quelle donne che – madri, mogli e lavoratrici – davano voce a una Russia ormai allo stremo.
Il 10 marzo Nicola II scrive sul suo diario. «A Pietrogrado alcuni giorni fa sono cominciati i disordini. Anche le truppe, purtroppo, hanno iniziato a prendervi parte. È una sensazione terribile sentirsi così lontani e ricevere soltanto notizie brutte e frammentarie!».
Proteste continue
La debolezza, insieme alla scarsa convinzione delle truppe, incoraggiò i lavoratori a uscire allo scoperto in numero ancora maggiore nei giorni successivi. Se il 9 marzo scesero in piazza 150.000 lavoratori, da quel giorno in poi le folle per le strade diventarono immense e inarrestabili. Marciarono dalle aree industriali, attraversarono i ponti e occuparono il Nevksy, saccheggiando negozi e ribaltando tram e carrozze. Vi furono scontri con la polizia e i cosacchi sui ponti. A metà pomeriggio la folla sul Nevsky, “composta dalla gente comune”, vedeva la presenza di studenti, negozianti, impiegati e spettatori.
Il 14 marzo lo zar è sfinito. Impossibilitato ad allontanarsi da Pietrogrado e a comunicare attraverso il telegrafo con i suoi fedelissimi – tutto è in tilt per gli scioperi! – decide di abdicare. Il 15 marzo, nel suo vagone privato e in presenza di due deputati della Duma, viene firmato il manifesto dell’abdicazione.
Manifestazioni spontanee
Orlando Figes nota che gli storici hanno discusso a lungo sul fatto che queste manifestazioni fossero spontanee o organizzate da rivoluzionari. «La mia opinione è che fossero più spontanei che organizzati, ma che avessero una propria organizzazione interna sotto forma di membri anonimi della folla che gridavano indicazioni. Poi c’era la topografia politica di Pietrogrado – definita dai ponti, il Nevsky, la piazza Znamenskaya, il Palazzo Tauride, o sede della Duma – che determinava i movimenti delle masse».
Il 9 marzo piazza Znamenskaya diventa il centro dell’attenzione: si raduna lì, nel pomeriggio, una grande manifestazione. L’enorme statua equestre di Alessandro III – simbolo di immutabile autocrazia popolarmente soprannominata “l’ippopotamo” – venne infatti conquistata da rivoluzionari che da essa pronunciarono i loro discorsi, invocando la caduta della monarchia. Pochi nella vasta folla sentivano effettivamente quello che dicevano, ma non importava. «La gente sapeva quello che voleva sentire!», commenta Figes. «E la sola vista di questo atto di libertà di parola, sotto gli occhi della polizia, era sufficiente per confermare che stava avvenendo una “rivoluzione”».
Oggi, come ieri, la vulnerabilità delle donne è altissima
Il direttore regionale dell’Oms per l’Europa Hans Kluge ha affermato che l’agenzia sta lavorando per ottenere urgentemente forniture mediche in Ucraina. Tra le scorte in esaurimento ci sono ossigeno, insulina, Dpi, forniture chirurgiche ed emoderivati, vaccini per i bambini. Mancano professionisti con competenze in materia di salute mentale.
Kluge, che mette tra le priorità i bisogni delle donne, ha fatto alcune dichiarazioni: «I conflitti passati ci hanno mostrato che le ragazze adolescenti, le donne con disabilità e le anziane si trovano nella situazione più vulnerabile. Affrontano un rischio maggiore di subire molestie e attacchi da parte di estranei e da parte di gruppi armati, nonché la violenza del proprio partner, l’abuso e lo sfruttamento sessuale».
Fare rete, non abbassare mai la guardia, saper chiedere aiuto sono azioni fondamentali. Che possono salvare la vita, anche in guerra.