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In omaggio a Gigi Proietti …una “Voce della Romanità”

LA  “CAPACITA’ DI PRESA IMMEDIATA” 
  di  GIGI  PROIETTI  *

Se n’è andato in concomitanza del suo ottantesimo compleanno. Il 2 Novembre. Chiamato dagli antichi romani Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum. Su Whatsapp gira la battuta che nascere e morire lo stesso giorno è un’impresa che poteva fare soltanto Mandrake. L’indimenticabile soprannome dell’incallito scommettitore interpretato dal compianto Gigi Proietti nel cult movie autoctono Febbre da cavallo di Steno.

Al di là delle legittime attestazioni di stima e d’affetto manifestate in queste ore di commiato dallo stuolo dei fan, dagli amici sinceri, dai compagni di lavoro, dai commossi allievi del mostro sacro della recitazione, alieno alle pose snobistiche, l’incerottato mondo dello spettacolo – già svilito dalle norme stringenti dell’emergenza Covid – perde un esponente in grado di spiazzare chi cataloga l’ineffabile carattere d’ingegno creativo. Il passaggio dalla pochade musicale Alleluja brava gente, in coppia con Renato Rascel, alla commedia eroica in cinque atti e in versi Cyrano de Bergerac, nei panni dell’inquieto spadaccino poeta, duro nella lotta ma dal cuore tenero, lo testimonia.
Accusato dai critici superficiali di pagare dazio alla tentazione dell’iperbole, Gigi Proietti omaggiò la forza discreta lontana dal trionfalismo ad appannaggio dell’Arma dei Carabinieri con la serie televisiva Il Maresciallo Rocca. Ritenuto ostile alle tecniche di estraniazione del Metodo Stanislavskij, in virtù della spontaneità sostenuta dal prediletto teatro naturalistico, il caro estinto seppe magistralmente doppiare Charlton Heston in Hamlet di Kenneth Branagh nel ruolo del capocomico capace d’immedesimarsi nella tragedia di Ecuba per l’atroce dipartita dall’amato Priamo. Al punto da piangere a calde lacrime. Scuotendo sin dalle fondamenta lo sdegnoso Principe di Danimarca.
Alcune esilaranti varianti parodistiche, con “Nun me rompe er ca, tu m’hai rotto er ca…” al posto del romantico componimento Ne me quitte pas di Brel sugli scudi, si sono così andate ad appaiare all’alta densità lessicale della lingua colta. Alla capacità di presa immediata di quella colloquiale. Ai genuini slanci del vernacolo romanesco, intriso di scherno e disincanto.

All’incanto assoluto di altri celebri doppiaggi. Sylvester Stallone nel primo Rocky di John Avildsen, contraddistinto dal mitico grido “Adriana!!”, al termine dell’incontro di boxe all’insegna dell’affrancamento del bullismo di facciata e dell’invalidante introversione, acquistò in tal modo notevole spicco. Come anche Robert De Niro in Casinò di Scorsese. A dispetto della comprensibile delusione del talentuoso Ferruccio Amendola. Voce storica dell’ambìta star. Le accordature, i sussurri, gli accenti, i semitoni, le danze scherzose, l’avvertita mimica, la maschera ridanciana, i frizzi, frutto spesso delle doti di scrupoloso osservatore e infaticabile divulgatore, brevettati però talvolta pure al momento, sulla scorta del desiderio di sperimentare, ed ergo di approfondire, hanno inchiodato l’attenzione del pubblico in sala. Considerato il destinatario optimum. L’incognita della noia di piombo non si è quindi mai rivelata sulle scene. Calcate con intensa leggerezza. Restando in sella nel corso dei decenni al fine di dispensare a piene mani sia il valore terapeutico dell’umorismo sia la carica fantastica. Che allarga gli spazi dell’immaginazione e crea con gli spettatori seduti nelle poltrone a ribalta fulgidi rapporti di coalescenza.
Sul grande schermo le prove fornite in Bubù di Mauro Bolognini, La Tosca di Luigi Magni, Bordella di Pupi Avati, Casotto di Sergio Citti e Un matrimonio di Robert Altman costituiscono, oltre a un lascito immensamente prezioso, la miglior replica ai miopi detrattori. Convinti che al cinema l’estro avvezzo ad amalgamare stilemi agli antipodi fra loro si appannasse inesorabilmente.
Invece, per superare i limiti, pur decorosi, dell’entertainment disimpegnato, che promuove le freddure, persino sgarbate, ad antidoti contro ogni soporifero arzigogolo, Proietti è rimasto fedele tanto agli addottrinamenti di Carmelo Bene quanto all’Università della Strada. Frequentata con profitto, schiettezza, sagacia. Ricavando dagli esami comportamentistici, dall’energica connivenza popolaresca, dalla fragranza della sincerità, che concilia cuore e cervello, un portentoso repertorio colmo d’incisive beffe ed echi variopinti.
Quando nel 2003 Alberto Sordi, indiscusso emblema della romanità sposata con la settima arte, coniugò l’esistenza all’imperfetto, l’erede Gigi compose un toccante sonetto per alleviare lo sconforto della Città Eterna. Che “sbrilluccica” nuovamente “di ricordi”. La punta di spina del dolore prevale perciò ancora sullo spasso, sulle risate, sugli spicchi di realtà impreziositi dai colpi d’ala dell’ironia. Tuttavia l’ampia e dialettica partecipazione al lutto della gente comune, insieme ai colleghi avvezzi a imparare a memoria i vari copioni ed esprimere l’aderenza ai personaggi attraverso l’insito riecheggiamento che investe la sfera privata, richiama alla mente il film a episodi I nuovi mostri.
Con l’omaggio funerario volto ad anteporre man mano l’allegria alla tristezza, rammentando lo spirito cabarettistico e l’allietata vena dissacratoria dell’amico deceduto. Ed è per questo che la figura familiare di Gigi Proietti continua a premere il pedale sardonico del sano sfottò e salvaguarda l’aura contemplativa dall’impasse dei deleteri sbadigli. La reminescenza del “sorriso magico” di Mandrake, dello sketch del “whiskey maschio senza rischio” divenuto un “fischio maschio senza raschio”, dei divertentissimi giochi di parole, frammisti ai dotti rimandi ora all’arguto Petrolini ora al sommo Shakespeare, può sconfiggere l’angoscia del distacco. I graffi satirici, i cenni d’intesa, le gag, l’altalena dei diversi stati d’animo, l’atteggiamento istrionico, bilanciato dalla sovrana misura dell’antiretorica, l’opportuna gamma di stimoli psicologici ed emotivi, garantititi dal pluralismo pirandelliano dei punti di vista catturati da Proietti, preservando il peculiare tocco, impermeabile all’enfasi di maniera, meritano un supplemento d’applausi.
Affiancando al doveroso inchino nei riguardi dell’attore, avverso alla qualifica di Maestro, la cordiale complicità che l’hanno reso davvero, lontano da qualsivoglia slogan, uno di noi.
……..Ciao, Gigi.

MASSIMILIANO  SERRIELLO

 

*Questo intervento è già apparso in anteprima il 2 novembre su “IL MONDOSPETTACOLO”  e ripreso anche dalla CONSUL PRESS, a seguito cortese autorizzazione dell’autore – Massimilano Serriello – nostro collaboratore, in quanto anche la nostraa Testata non poteva non rendere un omaggio ad una autentica Voce della Romanità.  

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