
La Cerimonia Premiazione per la “Pellicola d’Oro”
all’insegna della spontaneità
Scritto da Massimiliano Serriello il . Pubblicato in Cinema, Musica e Teatro.
IL “TEATRO A CIELO APERTO DI PORTA PINCIANA”
CELEBRA LA SETTIMA ARTE SCEVRA DA SPOCCHIE
Un conto sono le canoniche pose nel mondo del cinema che chi veleggia in superficie continua a guardare alla stregua d’un universo snobistico avvezzo ad anteporre la fatuità dell’obsoleto divismo privo d’autentico spessore alla forza significante delle fasi ex ante, in itinere ed ex post che contrassegnano la nascita del progetto d’un film, l’opportuno passaggio dal piano di lavorazione al coordinamento d’ogni specifico reparto sul set e l’approdo della pellicola portata ad effetto dalla preziosa collaborazione di composite ed emblematiche figure professionali.
Un altro paio di maniche sono le pose fanatiche tanto dei cosiddetti fan nei confronti degli idoli di celluloide eletti ad altisonanti modelli di vita simili ai giganti dai piedi d’argilla quanto degli stessi esponenti dell’aura di successo legata alla fabbrica dei sogni. Dove le uniche pose che contano restano le singole immagini e le riprese delle sequenze ghermite dai caratteristi per sfuggire alla spada di Damocle dei ruoli fissi ed eludere lo spettro dell’oblio.
Grazie all’interazione di coriacea dedizione ed entusiasmo genuino del fondatore della Pellicola d’Oro, l’eclettico regista e scenografo capitolino Enzo De Camillis, la cerimonia di assegnazione dei premi permette alle irrinunciabili figure professionali che nella realizzazione del film cedono le luci della ribalta alle stelle della recitazione di ricevere gli applausi dell’intero ambiente. Ieri sera, sabato 14 giugno a partire dalle 20 30, dopo gli alacri preparativi contraddistinti dall’iniziativa di chiudere al traffico via Veneto, trasformando l’ingresso sotto Porta Pinciana, sito tra via Boncompagni e largo Federico Fellini, in un’isola pedonale festosa ed evocativa, a farla da padrona è stata la spontaneità di tratto. Che manda a carte quarantotto qualsiasi puerile manifestazione di mero giubilo.
Gli addetti ai lavori intervenuti, diametralmente opposti rispetto agli alfieri dell’ormai vetusto star-system, presentati dai vecchi press-agent sulla falsariga di divinità ed essere supremi alieni alle miserie giornaliere, erano tutti animati dalla palpabile fragranza della naturalezza.
Gli esponenti delle varie maestranze, dal capo-macchinista al capo-elettricista, dall’operatore di macchina dall’attrezzista di scena, dalla sartoria al maestro d’armi, hanno incrociato gli sguardi vivaci, commossi, mai indiscreti né indagatori, con gli attori, le attrici, i registi. Sedotti dall’amore schietto per l’Inno di Mameli. Cantato dalle persone, sul palco e in platea, con la mano sul cuore.
La colonna sonora, poi del cult-movie “Il Gladiatore“, eseguita sempre dal solerte complesso orchestrale composto dagli abili strumenti a fiato e percussione, ha fatto venire i brividi a chiunque abbia un debole per la Città Eterna rievocata nel buio della sala sia dai kolossal hollywoodiani, quantunque girati come se fossero degli improbabili apologhi di fantascienza sul coraggio dei condottieri dall’antichità, sia dall’inobliabile capolavoro “La Dolce Vita“ di Fellini.
Al di là comunque di qualsivoglia, pedissequa, distinzione tra cinema d’autore e cinema commerciale, l’atmosfera di letizia palpabile, contraria, tanto in prassi quanto in spirito ai pleonastici colpi di gomito dell’inopportuna artefazione, ha sancito la riconsacrazione di valori che nei tempi funesti in cui viviamo, coi venti di guerra in agguato, rischiano di andare persi.
Col sentimento patrio e i vincoli di suolo, cementati ad hoc dalla geografia emozionale che elegge il territorio ad attante narrativo colmo di profonde suggestioni, invece fieramente sugli scudi. Al pari della gioia contagiosa di Roberto Bianchi, capo-macchinista dell’affresco di formazione a sfondo fiabesco Napoli-New York di Gabriele Salvatores, premiato in mezzo ai sorrisi dei parenti e degli estranei.
Affratellati dal buon umore, dai canti trascinanti, dai clamori carezzevoli, dalle perle di saggezza della solare ed esperta cantante e interprete partenopea Lina Sastri. Che, nel raccontare di aver guidato fisicamente, palmo a palmo, il cameraman intento a manovrare la macchina da presa nel suo esordio in veste di regista nel mélo La casa di Ninetta, ha finito con lo spostare a titolo dimostrativo la sorpresa ma divertita conduttrice Sabina Stilo.
Enrico Montesano (nella foto d’apertura accanto a Massimiliano Serriello), acclamato dall’affetto indefesso degli spettatori autoctoni per le doti comiche ed empatiche dispiegate in diverse “chicche” della commedia all’italiana, ci ha tenuto a ricordare l’esperienza maturata insieme al compianto showman Alighiero Noschese – durante le riprese dello spassoso heist-movie Il furto è l’anima del commercio!?…– a stretto contatto con le affabili maestranze. Dietro le quinte Montesano ha ricordato pure gli alfieri della bossa nova in Brasile: il versatile chitarrista João Gilberto Prado Pereira de Oliveira, il talentuoso arrangiatore carioca Antônio Carlos Jobim, l’abilissimo compositore paulista Tohinho e, last but not least, l’inobliabile cantautore, originario del bairro Gávea della Zona Sud di Rio de Janeiro, Vinícius de Moraes. Tutti poeti indiscussi.
Fedeli ai fondamenti della «tendenza nuova» di appaiare all’azione d’ascendenza africana di rimbalzo sulla gamba step by step della samba, che assume così l’intero peso del flessuoso corpo nell’atto di dimenarsi, agli elementi armonici di tipo jazzistico. La tendenza nuova promossa e organizzata invece dall’Associazione Culturale S.A.S. Cinema, presieduta dal prodigo De Camillis, è riuscita anch’essa a raggiungere la vetta dell’ambita poesia. Razionalizzando qualcosa di assurdo per gli scettici ignari del connubio tra tecnica e fantasia che guida i promoter ricchi di umanità “per aspera ad astra”. Ed è buttando il cuore oltre l’ostacolo, dovuto anche all’altero pregiudizio, che l’arte e l’artigianato trascendono i fallaci gradi di separazione procedendo parallelamente nei parametri di giudizio impreziositi dalla saggezza popolare. Conforme alle aspettative del grande pubblico. Il destinatario optimum di qualsiasi favola creata dallo sforzo congiunto degli artisti e degli artigiani del cinema. Illuminato dai luoghi dell’anima.
Lungi dal cedere il passo alla vana improntitudine dei luoghi comuni. W le Maestranze !
