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La festa di San Giuseppe, “il grande silenzioso del Vangelo”

Il culto di San Giuseppe in Occidente ebbe inizio nel Medioevo grazie ad alcuni ordini religiosi: ai monaci benedettini nel 1030, all’ordine dei servi di Maria nel 1324, e ai francescani nel 1399. Nella chiesa d’Oriente era praticato già intorno al IV secolo; ci si rivolgeva a Lui come padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione.

Il Martirologio Romano al 19 marzo recita: «Solennità di San Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia».

Per questo motivo nei paesi cattolici il 19 marzo si celebra anche la festa del papà. Giuseppe seguì Gesù nella sua crescita, lo guidò incarnando tutte le doti di amore, umiltà, comprensione e devozione di un padre. Gli insegnò il lavoro e la sua importanza. Gli fu modello di virtù, saggezza e rettitudine. Tutta la vita di san Giuseppe fu al servizio della famiglia. La Sua vita riportata dai Vangeli fu senza dubbio una vita di fede.

Il papa Leone XIII sintetizzava così la sua figura «In Giuseppe hanno i padri di famiglia il più sublime modello di paterna vigilanza e provvidenza; i coniugi un perfetto esemplare d’amore, concordia e fedeltà coniugale; i vergini un tipo e difensore insieme della integrità verginale. I nobili imparino da lui a conservare anche nella avversa fortuna la loro dignità e i ricchi intendano quali siano quei beni che è necessario desiderare. I proletari e gli operai e quanti in bassa fortuna debbono da lui apprender ciò che hanno da imitare».

Giuseppe viene definito uomo giusto, titolo onorifico usato nell’ebraismo che denota una connotazione spirituale dell’anima; questo titolo appartiene unicamente a colui che non pecca e che ha eradicato qualsiasi inclinazione a peccare uno cioè che ha sublimato le proprie inclinazioni animali naturali nella santità. Questo stato dell’anima non può che essere accordato dall’alto.

La devozione per san Giuseppe è cresciuta sempre più nella storia fino a farne il patrono di molti paesi e città. Le feste antiche si perdono nella notte dei tempi e vanno a sovrapporsi ai riti pagani, dandone un diverso significato. Nei riti di purificazione agraria si bruciavano i residui della raccolta di campi, oltre al fatto che il 19 marzo veniva festeggiata la vigilia dell’equinozio di primavera con grandi falò propiziatori per la stagione.

Ancora oggi in molti paesi del centro sud grandi falò illuminano le notti della festa di San Giuseppe che è andata a sostituire i riti pagani. I falò di San Giuseppe simboleggiano tra le altre cose il trionfo della luce e della natura sull’oscurità dell’inverno.

Nella città di Valencia la festa è riconosciuta come Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO: chiamata “festa di San Giuseppe” o Falles, va dall’ultima domenica di febbraio al 19 marzo, e si articola in un periodo di feste, concerti, sfilate e giochi pirotecnici. Culmina nella Nit del Foc, o notte del fuoco, in cui vengono bruciate centinaia di sculture di cartapesta chiamate Falles.

Un’altra manifestazione di culto dell’Italia meridionale sono le Tavole di San Giuseppe, lunghe tavole imbandite riccamente che vengono preparate dalle famiglie e messe a disposizione dei più bisognosi. Durante la sua festa le case di molti paesini rimangono aperte dando la possibilità a chiunque di entrare e di mangiare.

L’8 dicembre del 1870 Pio IX lo proclamò protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa  dichiarando la superiorità di San Giuseppe su tutti i santi, secondo solo a quella di Maria. E infatti a Maria la tradizione da un culto di iperdulia, diverso da quello di semplice dulia riservato ai Santi, mentre a San Giuseppe è riservato il culto di protodulia.

Nel 1955 Pio XII consacrò il 1 maggio come festa di San Giuseppe artigiano, lavoratore, affinché la festa del lavoro potesse essere condivisa a pieno titolo anche dai lavoratori cattolici.

La chiesa cattolica in Egitto e quella copta celebrano San Giuseppe ricordandone anche la fuga in Egitto.

I vangeli canonici danno poche notizie di Giuseppe: era discendente del re Davide e abitava a Nazareth. Leggiamo poi che di fronte alla misteriosa maternità della sposa, cercò una via di uscita per non esporla alla pena della lapidazione:  pensò di allontanarla in segreto. Il fatto che la soluzione gli sia venuta durante il sonno ne dà l’immagine di un uomo particolarmente riflessivo.

Silenzioso ma presente durante l’adorazione dei Magi, presente durante la circoncisione e la presentazione di Gesù al Tempio, intraprende la fuga in Egitto con la giovane sposa e il bambino, per proteggerlo dal re Erode. Lo si ritrova poi a Gerusalemme quando Gesù dodicenne fu perduto e ritrovato nel tempio. Dopo l’episodio della perdita nella città santa, il Vangelo riporta che il ragazzo cresceva giovane e forte sotto la guida dei genitori.

Molto probabilmente quando Gesù cominciò la sua vita pubblica Giuseppe era già morto;  Maria era da sola presenta la crocifissione del Figlio che sotto la croce l’affido al suo discepolo Giovanni, cosa che non sarebbe stata necessaria se Giuseppe fosse stato in vita.

I vangeli apocrifi ne parlano di più: raccontano che era vedovo con sei figli avuti prima del matrimonio con Maria, giustificando in tal modo la presenza dei fratelli di Gesù, espressa nel Vangelo. Sempre secondo la tradizione apocrifa Giuseppe fu convocato da Zaccaria insieme ad altri uomini virtuosi e celibi che discendevano dal re Davide: tra di loro bisognava scegliere lo sposo di Maria, cresciuta sin dall’età di nove anni nel tempio. Fu Dio che in mezzo a loro scelse lo sposo per la fanciulla, facendo fiorire il bastone di Giuseppe.

Veronica Tulli

Foto © Opus Dei

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