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L’ambiente naturale

L’uomo ha bisogno di cibo, di acqua, di energia e di materie prime per vivere. Abbiamo bisogno di spazio per creare città, coltivare i campi e costruire fabbriche. In definitiva, tutto viene dalla terra, ma il successo della nostra specie ne sta compromettendo molte altre. Utilizziamo gli alberi delle foreste, sfruttiamo gli oceani, avveleniamo e cementifichiamo il terreno. Spingiamo decine di migliaia di specie vegetali e animali sull’orlo dell’estinzione per utilizzare le risorse di base, quali l’energia e lo spazio. Stiamo assistendo a un’estinzione di massa senza precedenti dopo quella dei dinosauri, ma stavolta ne siamo noi la causa e non l’impatto di un asteroide.

La perdita della biodiversità non è fonte di preoccupazione solo per gli amanti della natura. La diminuzione delle specie può mettere a rischio gli ecosistemi, portarli al degrado e alla distruzione. Miliardi di anni di evoluzione hanno portato alla creazione di un sistema di forme di vita interrelate. Gli animali e le piante sono il fondamento di ecosistemi complessi; noi esseri umani siamo legati alla natura, e dipendenti da essa, in modo più significativo di quanto non vogliamo ammettere. Distruggendola, distruggiamo noi stessi.

Analizzando il problema in dettaglio, possiamo dire che l’uomo danneggia l’ambiente in più modi. Distrugge e rovina gli habitat naturali: abbatte le foreste per fare spazio a colture, nuove città o stabilimenti. Realizza dighe sui fiumi per costruire centrali idroelettriche o migliorare l’irrigazione dei campi. Sfrutta eccessivamente animali e piante selvatici per ricavarne cibo, materie prime, medicine o anche solo per hobby. Trasferisce le specie da un habitat all’altro causando gravi problemi alle varietà locali, che si ritrovano costrette a competere per le risorse o non sono in grado di combattere le malattie portate dagli invasori. Inquinamento e cambiamenti climatici stanno trasformando e avvelenando l’ambiente del mondo intero.

Nel 2010 il WWF ha stilato un rapporto sulla biodiversità nel mondo. Le popolazioni delle specie tropicali sono risultate in drastica diminuzione, eppure la domanda di risorse naturali continuava a salire. Usiamo risorse equivalenti a quelle di un pianeta e mezzo, si legge nel rapporto sul Pianeta vivente. Negli ultimi quarant’anni lo sfruttamento della natura è raddoppiato, mentre l’”Indice del Pianeta vivente”, che misura l’aumento e la diminuzione di quasi ottomila popolazioni di più di duemilacinquecento specie marine, fluviali e terrestri, si è ridotto del 60% nei tropici e del 30% nel resto del mondo.

Il tasso di perdita della biodiversità è allarmante nei paesi a basso reddito, spesso situati in zone tropicali, mentre il mondo sviluppato vive in un finto paradiso, tra consumi eccessivi ed emissioni di carbonio. Le diminuzioni più significative della biodiversità sono state registrate nei paesi a reddito minore, con una riduzione quasi del 60% negli ultimi quarant’anni. Se continueremo a vivere al di sopra delle possibilità della Terra, nel 2030 avremo bisogno delle risorse di due Terre per soddisfare la domanda annuale. Il rapporto indica che, continuando con le attuali tendenze di consumo, arriveremo al punto di non ritorno. Sarebbero necessarie 4,5 Terre per sostentare una popolazione globale che vivesse come un cittadino medio degli Stati Uniti.

Il WWF ritiene che, agli attuali tassi di consumo e di degrado dell’ambiente naturale, l’ecosistema collasserà nell’arco di cinquant’anni. Dobbiamo commisurare i nostri consumi con la capacità del mondo naturale di rigenerarsi e di assorbire le nostre scorie. Se non lo facciamo, rischiamo danni irreversibili. Sono stati messi a punto programmi internazionali per cercare di arginare in parte le perdite. Il programma REDD delle Nazioni Unite (riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione e dal degrado delle foreste nei paesi in via di sviluppo), proposto nell’ambito di un accordo globale per affrontare i cambiamenti climatici, sarà determinante per conservare la popolazione in declino dei primati. L’idea è che i paesi ricchi paghino quelli in via di sviluppo perché tutelino le loro foreste, in modo da conservare il carbonio e impedire ulteriori emissioni di gas serra. In una versione perfezionata i paesi in via di sviluppo verranno incentivati a piantare più alberi per estendere le foreste.

Nel 2010 i ministri dell’ambiente di quasi duecento paesi hanno risposto a questa situazione catastrofica concordando di adottare piani per arginare la perdita più grave di forme viventi dalla scomparsa dei dinosauri. Alla conferenza di Nagoya, in Giappone, hanno deciso di dimezzare la distruzione degli habitat e di aumentare le riserve naturali dall’attuale 10% al 17% entro il 2020. I cosiddetti venti obiettivi di Aichi, denominati in base alla regione di Nagoya. Gli obiettivi di Aichi andavano dalla sensibilizzazione riguardo ai valori della biodiversità fino all’abolizione dei sussidi dannosi alla stessa, dall’accrescimento della conoscenza sulle specie a rischio fino alla mobilizzazione delle risorse finanziarie per un’attuazione efficace del Piano strategico per la biodiversità 2011-2020, gli obiettivi di Aichi erano tanto chiari quanto ambiziosi. Di questi 20 targets però, dopo dieci anni, non resta che l’ambizione. Nessuno di questi obiettivi infatti nell’ultimo decennio è stato raggiunto in modo completo.

Di lavoro da fare ce n’è ancora molto ma non è tutto negativo. In media infatti, i paesi che hanno ratificato gli accordi riferiscono che più di un terzo di tutti gli obiettivi nazionali sono sulla buona strada per essere raggiunti.  Solo l’11% degli obiettivi nazionali poi, non mostrano progressi significativi. Ancora poco, visto che gli obiettivi di Aichi non sono dei traguardi a favore di qualche singolo stato, bensì sono delle azioni concrete che devono essere messe in pratica per migliorare, e per certi versi salvare, la vita di tutti noi, cittadini del mondo. Tuttavia concordare gli obiettivi è un conto, metterli in pratica un altro. Le grandi industrie guadagnano più di quello che perdono nel trasformare la ricchezza naturale in denaro. Purtroppo questi conti sono fatti a breve termine perché il ritorno, anche economico, a medio e lungo termine presenterà a tutti un conto salatissimo. L’espansione continua nella biosfera permette agli stati di non affrontare le questioni della distribuzione e della giustizia sociale: la promessa di una crescita incessante travolge le diseguaglianze sempre più diffuse. Quello che viene trascurato, anche dal punto di vista dei costi e dei ritorni economici, è che non può esistere una crescita continua e senza conseguenze sia in termini ambientali che di giustizia sociale tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.

Nicola Sparvieri

Foto © Parco del Monviso

Biodiversità