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Le donne in Afghanistan non hanno più diritti

Amnesty International denuncia nuovamente la violazione dei diritti delle donne e delle bambine in Afghanistan. Il rapporto titola ”Morte al rallentatore: le donne e le bambine sotto il regime dei talebani”.

Amnesty denuncia la “soffocante repressione” dei diritti umani di donne e bambine in Afghanistan. «»Da quando, nell’agosto 2021, hanno assunto il controllo dell’Afghanistan, i talebani stanno violando i diritti delle donne e delle bambine all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento, azzerando il sistema di protezione e sostegno per le donne che fuggono dalla violenza domestica, arrestando donne e bambine per minime infrazioni a norme discriminatorie e contribuendo all’aumento dei matrimoni infantili, precoci e forzati», denuncia l’Ong in un comunicato.

«A poco meno di un anno dalla presa del potere dei talebani, le loro spietate politiche stanno privando milioni di donne e bambine del diritto a vivere in modo sicuro, libero e prosperoso», ha dichiarato Agne’s Callamard, segretaria generale di Amnesty International. «Considerate nel loro insieme, quelle politiche formano un sistema che discrimina le donne e le bambine in quasi ogni aspetto della loro vita. La comunità internazionale deve pretendere urgentemente che i talebani rispettino i diritti delle donne e delle bambine», ha aggiunto. Una missione di ricerca di Amnesty ha visitato l’Afghanistan a marzo scorso, nell’ambito di una più ampia indagine avviata a settembre 2021 e terminata il mese scorso. In tutto sono state intervistate 90 donne e 11 bambine di età compresa tra i 14 e i 74 anni, residenti in 20 delle 34 province dell’Afghanistan.

«Fino a circa un anno fa vivevo a Kabul, dove lavoravo come redattrice capo di un settimanale e al tempo stesso ero ricercatrice presso il ministero per lo Sviluppo rurale. Visitavo le famiglie contadine per raccogliere informazioni sulle loro condizioni di vita e sui loro problemi e suggerimenti, poi li consegnavo al ministero per lavorare a soluzioni. Quando i talebani hanno preso il potere, tutto è cambiato: sono dovuta fuggire in Iran con mia sorella e mio fratello. Purtroppo gli altri della famiglia non sono potuti venire perché non avevano il passaporto. La nostra vita è passata da cento a zero in un attimo».

R.S. ha 26 anni ed è tra le rifugiate afghane che l’associazione Arci è riuscita a portare in Italia grazie ai corridoi umanitari, un protocollo siglato lo scorso novembre tra il ministero dell’Interno e degli Affari esteri con varie organizzazioni della società civile per far giungere in Italia in sicurezza 1.200 profughi afghani da Pakistan e Iran. L’arrivo all’aeroporto Leonardo Da Vinci è stato il primo e altri sono attesi anche da Cei, Chiese protestanti e Tavola valdese.

All’agenzia di stampa Dire R.S. racconta la sua storia chiedendo di mantenere l’anonimato, anzitutto a garanzia della sicurezza dei propri familiari in Afghanistan. Nel suo Paese, sottolinea, era esposta per tante ragioni: essere una donna laureata, una giornalista che scriveva di questioni sociali e femminili e una impiegata del precedente Governo per i diritti delle comunità rurali l’hanno automaticamente resa un bersaglio dei talebani, che tuttora continuano a perseguire chiunque rappresenti una minaccia alla sopravvivenza del loro Emirato.

Il giorno in cui i talebani sono entrati a Kabul, prendendo il controllo dei palazzi del potere, il 15 agosto 2021, R.S. lo ricorda bene: «Ero al lavoro, erano le 11 e ho iniziato a vedere un andirivieni di persone in strada, i volti tesi e preoccupati. Tutti avevamo già capito che la situazione era pessima. Ho impiegato quasi tre ore per tornare a casa piedi, non c’erano più taxi, lungo la strada ho visto anche qualche scontro tra la polizia e i talebani». La caduta della Repubblica sconvolge la vita del Paese e il Peiramoon Weekly, la testata per cui R.S. lavora, è costretta a chiudere. «Ci hanno minacciato» ricorda la cronista. «Ci hanno inviato una lettera in cui ci informavano che se avessimo scritto ancora, ci avrebbero ucciso. E così abbiamo smesso di lavorare».

A rimetterci non è solo il mondo dei media – secondo Reporters without borders oltre il 40% delle testate afghane ha chiuso – ma anche magistrati, insegnanti, attivisti, funzionari. «Conosco persone che sono state minacciate, torturate» dichiara la reporter. «Molte altre sono state rapite e non si sa più dove siano. Anche di molte ragazze si è persa traccia: per le donne la situazione è diventata terribile». R.S. però guarda al futuro: «Sono felicissima di essere in Italia. Voglio cominciare una nuova vita. Per prima cosa, voglio imparare l’italiano e poi voglio prendere un master, trovare un lavoro e portare qui il resto della mia famiglia rimasta a Kabul. La situazione lì è orribile e sapere i miei cari lì mi preoccupa. Ringrazio tutti per l’aiuto che ci state dando».

Come previsto, sono arrivati, con un volo proveniente da Islamabad, 230 profughi afghani che erano rifugiati in Pakistan dallo scorso agosto. Il loro ingresso in Italia è reso possibile grazie al protocollo di intesa con lo Stato italiano, firmato il 4 novembre 2021 da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Arci, Caritas Italiana, IOM, INMP e UNHCR.

Insieme ad altri arrivi dall’Iran saranno oltre 300 i rifugiati afghani che verranno accolti in Italia grazie ai corridoi umanitari, un progetto totalmente a carico delle associazioni proponenti e possibile grazie alla generosità e all’impegno gratuito e volontario di tanti cittadini italiani, che hanno offerto le loro case per ospitare, ma anche congregazioni religiose, ONG e diversi soggetti della società civile. Tra queste Solidaire, che in collaborazione con Open Arms, ha contribuito all’organizzazione del volo dal Pakistan.

Giorgia Iacuele

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