
Le Origini della Scoperta (DSA)
Scritto da Veronica Socionovo il . Pubblicato in Formazione, Salute e Sanità.
Disturbi Specifici dell’Apprendimento 2
La Scoperta dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)
Esplorare le origini, le implicazioni e le opportunità di crescita legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, per comprendere come questi disturbi possano essere affrontati e trasformati in un punto di forza nel percorso educativo e nella vita quotidiana.La storia dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) affonda le radici in un lungo percorso che ha visto l’evoluzione delle scienze psicologiche e neuroscientifiche, insieme alla crescente consapevolezza delle problematiche educative. Questi disturbi, sebbene riconosciuti solo in tempi relativamente recenti, sono il frutto di una lunga serie di osservazioni e scoperte che, fin dalla fine del XIX secolo, hanno cercato di spiegare le difficoltà scolastiche specifiche che alcuni bambini presentano, nonostante abbiano intelligenza nella norma. Questo cammino, che ha contribuito a una radicale trasformazione nell’approccio educativo e sociale, non è stato immediato e ha attraversato una serie di fasi di ricerca, scoperte e comprensioni che hanno progressivamente cambiato il nostro modo di concepire l’apprendimento e le sue difficoltà.
Le origini della scoperta dei DSA sono infatti radicate in un’osservazione che non trovava spiegazioni nelle teorie prevalenti dell’epoca. Alla fine del XIX secolo, medici e psicologi iniziarono a notare che alcuni bambini, pur non avendo deficit cognitivi evidenti, presentavano enormi difficoltà in specifiche aree scolastiche come la lettura, la scrittura e il calcolo. Queste difficoltà, che non erano legate a ritardi generali o a problemi sensoriali come la cecità o la sordità, suscitavano l’interesse della comunità scientifica. Era evidente che si trattava di una condizione diversa, che non si adattava ai modelli esistenti di deficit intellettivo. La diagnosi di questi disturbi iniziò ad aprire la strada a una riflessione più profonda sulle cause, le implicazioni e le soluzioni per queste difficoltà apparentemente misteriose.
James Hinshelwood e la Dislessia
Nel 1896, uno dei contributi fondamentali che segnò l’inizio della comprensione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento proviene dal medico britannico James Hinshelwood, che per primo descrisse la dislessia come una difficoltà isolata nella lettura. Sebbene la dislessia non fosse un termine nuovo, in quanto già usato in contesti diversi, Hinshelwood lo utilizzò per la prima volta in un’accezione che non aveva nulla a che vedere con deficit cognitivi generali o problematiche sensoriali. La sua intuizione fu un punto di svolta, poiché identificò la lettura come un processo complesso e multidimensionale, la cui difficoltà non derivava da un’assenza di intelligenza o di volontà, ma da una differente elaborazione delle informazioni da parte del cervello.
Hinshelwood osservò che, nonostante l’intelligenza nella norma di molti bambini, alcuni di essi trovavano difficoltà nel riconoscere e decodificare le parole scritte. I bambini dislessici non erano in grado di associare correttamente i suoni delle lettere ai simboli grafici, creando così una serie di errori nel processo di lettura. Questi bambini non soffrivano di deficit intellettivi, ma presentavano una disabilità cognitiva circoscritta che influenzava la loro capacità di apprendere a leggere, scrivere e comprendere il linguaggio scritto. La dislessia, quindi, iniziò a essere vista non come un disturbo di scarsa intelligenza, ma come un’anomalia neurologica che impediva l’elaborazione delle informazioni linguistiche in modo convenzionale.
La rivoluzione concettuale che Hinshelwood introdusse fu fondamentale: per la prima volta, le difficoltà scolastiche non vennero più interpretate esclusivamente come conseguenza di scarsa motivazione o intelligenza, ma come risultato di processi neurologici differenziati. La dislessia fu riconosciuta come una difficoltà di apprendimento che non aveva a che fare con la capacità cognitiva generale, ma con il modo in cui il cervello elaborava il linguaggio scritto. Questa nuova visione diede il via a una serie di ricerche che avrebbero continuato ad ampliare la nostra comprensione non solo della dislessia, ma di altre problematiche legate all’apprendimento, come la disgrafia, la disortografia e la discalculia.
Samuel Orton e le Cause Neurologiche
Mentre la dislessia cominciava ad acquisire una certa visibilità, la comunità scientifica iniziò ad approfondire le sue radici neurologiche. Negli anni ’20, il psicologo e neurologo americano Samuel Orton fece un passo fondamentale nell’evoluzione della comprensione della dislessia. Orton, infatti, iniziò a esplorare l’idea che le difficoltà di lettura non fossero semplicemente il risultato di un’educazione carente o di un comportamento disinteressato, ma piuttosto fossero legate a difficoltà neurologiche. In particolare, Orton osservò che i bambini dislessici avevano difficoltà a percepire correttamente i suoni delle parole, un fenomeno che affondava le radici nel funzionamento cerebrale.
Orton propose che la dislessia fosse il risultato di una disfunzione nell’elaborazione delle informazioni fonologiche nel cervello. Piuttosto che essere un problema relativo alla vista, come alcuni avevano suggerito, la difficoltà stava nell’elaborazione dei suoni, che non venivano correttamente associati ai segni grafici delle lettere. Le sue ricerche mostrarono che, in alcuni casi, i dislessici presentavano un’inversione o una confusione tra i lati destro e sinistro del cervello, fenomeno che impediva una lettura e una scrittura fluente. Questa visione neurologica aprì la strada a un approccio scientifico che cominciava a trattare la dislessia come un disturbo neurologico vero e proprio, separato da altre difficoltà di apprendimento.
Le scoperte di Orton contribuirono a cementare l’idea che la dislessia fosse un disturbo non solo cognitivo, ma anche neurologico. Questo portò a un cambiamento fondamentale nel modo in cui le difficoltà scolastiche venivano interpretate, spostando l’attenzione dal comportamento individuale e dalle carenze sociali verso l’esplorazione delle funzioni cerebrali e dei processi neurologici sottostanti. Si iniziò così a riconoscere che la dislessia e altri disturbi dell’apprendimento come la disortografia e la discalculia non fossero manifestazioni di un’intelligenza inferiore, ma piuttosto di un diverso modo di processare le informazioni.
Un Concetto in Evoluzione
Nel corso del XX secolo, i disturbi dell’apprendimento continuarono a essere studiati e classificati con maggiore precisione. Non solo la dislessia, ma anche altre difficoltà specifiche, come quelle legate alla scrittura (disgrafia e disortografia) e al calcolo (discalculia), cominciarono a essere riconosciute come disturbi distinti, ma legati da una comune origine neurologica e cognitiva. La crescente comprensione di queste problematiche portò alla nascita di un nuovo termine: Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), un concetto che racchiudeva tutte le difficoltà di apprendimento legate a specifiche aree cognitive.
Questa nuova categoria di disturbi non solo contribuì a una comprensione più dettagliata delle difficoltà scolastiche, ma consentì anche di elaborare interventi più mirati. Si trattava di un riconoscimento che la difficoltà nell’apprendimento non fosse una questione di volontà o impegno, ma un’espressione di differenze neurologiche che rendevano complicato l’accesso ad alcune abilità fondamentali come la lettura, la scrittura e il calcolo. Con il passare degli anni, furono sviluppati modelli educativi specifici per il supporto degli studenti con DSA, che puntavano a personalizzare l’insegnamento in base alle difficoltà cognitive individuali.
Neuroscienze e Plasticità Cerebrale
Un altro passo importante nell’evoluzione della comprensione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento è arrivato con le scoperte moderne nel campo delle neuroscienze. La plasticità cerebrale, la capacità del cervello di adattarsi e riorganizzarsi in risposta all’esperienza, ha dato una nuova speranza per il trattamento dei DSA. Studi recenti hanno mostrato che, con il giusto supporto educativo, il cervello può sviluppare nuovi percorsi e modi di elaborare le informazioni, anche in presenza di difficoltà specifiche. Questo ha portato alla creazione di metodologie didattiche che sfruttano le potenzialità cerebrali, mirando a compensare i deficit nelle abilità linguistiche o matematiche attraverso approcci personalizzati e tecniche innovative.
Le tecnologie assistive, come software di lettura e scrittura, applicazioni per la matematica e strumenti per la comprensione del linguaggio, sono diventate un supporto fondamentale per gli studenti con DSA, offrendo soluzioni pratiche per affrontare le difficoltà quotidiane. Queste innovazioni, unite alla crescente consapevolezza sociale e educativa, stanno aiutando a rendere l’apprendimento più accessibile a tutti, indipendentemente dalle difficoltà specifiche che una persona potrebbe affrontare.
Le origini della scoperta dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono quindi segnate dalla visione lungimirante di ricercatori come James Hinshelwood, che riuscirono a superare le convinzioni prevalenti del loro tempo, aprendo la strada a una nuova comprensione dell’apprendimento umano. Da allora, il cammino della ricerca è stato lungo e complesso, ma ha portato a una maggiore inclusione sociale ed educativa, dando finalmente voce a coloro che, pur affrontando difficoltà specifiche, possono esprimere il loro pieno potenziale.
©Veronica Socionovo