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Lo storytelling o l’arte di raccontare storie

La narrazione è una vera e propria arte, utile per inquadrare eventi reali e spiegarli. Connette il pensiero e la cultura e soprattutto è il mezzo più efficace per esprimere le emozioni.

Le esperienze umane che non vengono rielaborate attraverso il pensiero narrativo, non producono una conoscenza adatta al vivere in un determinato contesto sociale e culturale ma rimangono accadimenti non comprensibili, in quanto non si possono interpretare come parte vitale di una storia personale o collettiva. Rimangono quindi eventi privi di significato sul piano culturale personale e sociale e nel tempo destinati ad essere dimenticati.

Il pensiero narrativo invece organizza l’esperienza soggettiva: attraverso parallelismi mette in relazione esperienze, situazioni presenti, passate e future e le attualizza raccontandole e interpretandole o ricostruendole.

Segue poi il discorso narrativo che rende l’esperienza soggettiva comprensibile, comunicabile e memorabile; detto discorso è un processo interattivo: quando diversi soggetti si relazionano con una determinata storia, ognuno la interpreta in modo diverso. Il racconto consente di dare un senso alle caotiche esperienze quotidiane che diventano comprensibili, senso che poi viene appreso più facilmente.

Raccontare storie è il modo più efficace per trasmettere conoscenza ed esperienza: l’apprendimento viene veicolato dal concorso della componente emotiva nell’elaborazione del fatto che diventa significativo.

È essenziale che nel racconto ci siano fattori che lo rendano personale e fattori suscitativi di emozioni; chi ascolterà dovrà identificarsi nella narrazione e i personaggi dovranno assumere un ruolo chiaro.

L’ambito più comune di applicazione dello storytelling è quello della formazione: in questo caso la storia serve per situare l’apprendimento in contesti significativi e promuovere processi dialogici di interazione riflessiva, attraverso lo sviluppo di contesti collaborativi.

Lo storytelling è anche una strategia di comunicazione poiché si cattura l’attenzione e si stimola l’interesse di chi ascolta, creando un legame emotivo.

Tra le sue applicazioni più importanti c’è la pedagogia: infatti le storie possono essere di facile comprensione per l’apprendimento del bambino, per promuovere valori, idee, per comunicargli esperienze perché con la narrazione si può penetrare in profondità nella causa e nella ragione degli eventi.

Anche in campo aziendale si sta adoperando il racconto con nuovi codici e stili linguistici: la storia diventa una missione importante per l’impresa; nelle aziende saper comunicare correttamente è importante sia ai fini della produttività e del successo dell’azienda ma anche nei termini di collaborazione, per condividere i messaggi interni nel modo corretto perché tante volte si creano conflitti. È importante anche ai fini della produttività perché attraverso i codici dello storytelling, si può informare, motivare e orientare.

Come narrare? Tre sono le fasi principali in una storia: l’inizio, lo sviluppo e il finale.

Nella fase di preparazione è importante identificare i personaggi: ogni storia ha almeno un protagonista che può essere sia colui che racconta, che un personaggio fittizio e un antagonista, un ostacolo che il protagonista dovrà superare. Generalmente il protagonista  è un uomo comune, una persona con i suoi difetti che lo rendono simile a colui che ascolta e che si trova ad affrontare nella vita di tutti giorni i suoi stessi problemi.

Questo perché lo scopo della narrazione è quello di far sì che l’ascoltatore venga emotivamente coinvolto, affezionandosi al protagonista e creando empatia.

Prendendo spunto dalle personalità che la psicologia ha standardizzato, si possono costruire i vari personaggi perché nell’assolutizzazione dei caratteri ogni persona riesce ad immedesimarsi.

Ci sono gli estroversi, socievoli, assertivi che ricercano attenzioni ed emozioni.

Poi abbiamo le personalità nevrotiche che sono ansiose, timide, nervose e tendenti al pessimismo.

Quelle aperte, artistiche e curiose, pioneristiche ed emotive.

L’altro gruppo è costituito dalle personalità gradevoli che sono modeste, fiduciose e comprensive.

Infine quelle sgradevoli che sono boriose, inaffidabili e prepotenti.

Una volta definito il personaggio nelle sue caratteristiche uniche è il momento di avviare la narrazione: generalmente c’è un evento che ha un impatto rilevante sulla vita del protagonista. Questo evento deve suscitare nell’ascoltatore un interesse immediato, curiosità e immedesimazione.

Si passa così alla seconda fase che è lo sviluppo della storia: è la parte principale della narrazione, dove bisogna mantenere vivo l’interesse di chi ascolta, suscitando una graduale tensione.

Ci si immedesima nel protagonista che come ogni uomo ha un obiettivo, un sogno da realizzare e che lotta per raggiungerlo. Che poi lo raggiunga o meno non è rilevante; quello che conta è il percorso durante il quale l’ascoltatore si affeziona emotivamente al protagonista, immedesimandosi nelle sue battaglie.

Generalmente il protagonista ha una vita bella e felice ma all’improvviso una tragedia lo porta sull’orlo del baratro e si trova a dover lottare e superare varie difficoltà per tornare ad avere la vita di prima. Durante il percorso, nel protagonista avviene spesso una trasformazione interiore che lo porta a diventare una persona migliore. Se non c’è un ostacolo, se non c’è un imprevisto la storia non sarà interessante perché la vita è fatta di ostacoli ed imprevisti ai quali colui che ascolta vuole essere aiutato a dare un senso.

La terza fase è il finale, il punto in cui tutta l’anticipazione, la tensione creata viene rilasciata e si scioglie nel bene o nel male. Questo momento, definito climax, è il punto di svolta all’interno delle narrative, di massima tensione e drammaticità. Naturalmente nessuno è immune per esempio dalla soddisfazione che si prova nel vedere un personaggio egoista punito per le sue malefatte.

Lo storytelling, per essere efficace, deve concludersi con un insegnamento morale nei confronti del quale l’ascoltatore deve mettersi in dialogo interiore.

In un certo senso le parabole e gli altri racconti religiosi presentano proprio le caratteristiche fin qui evidenziate.

La parabola è un racconto breve per spiegare un concetto difficile, rendendolo più semplice o con lo scopo di trasmettere un insegnamento morale. La parola “parabola”, che viene dal latino e dal greco, significa confronto, similitudine: attraverso di essa un argomento per sé difficile viene semplificato ravvicinandolo a vicende desunte dalla vita reale. Da questo significato generico, che si ritrova nella retorica greca e latina, la parabola ha assunto nel Nuovo Testamento un valore più ampio. Essa è sempre una similitudine, ma assai più sviluppata e sceneggiata, al punto da raggiungere le proporzioni di un racconto, a illustrazione d’una verità religiosa o morale. Tuttavia la forza probativa della parabola sta tutta e soltanto nel paragone fondamentale: non conviene ricercare in essa il significato dei singoli personaggi e delle singole azioni compiute, pena il non intenderne più l’insegnamento. La parabola è la forma propriamente originale dell’insegnamento di Gesù e da essa appunto il popolo coglieva la differenza che separava detto insegnamento da quello degli scribi e dei farisei. Il genere parabolico non è del tutto ignoto all’Antico Testamento; e lo si ritrova nell’insegnamento rabbinico posteriore. Esso è pertanto un genere didascalico tipicamente ebraico (con qualche precedente, forse, nella letteratura sapienziale dell’antico Oriente), il quale nelle parabole evangeliche ha trovato la sua forma più abbondante e perfetta, anche se si trova qualche esempio nella spiritualità orientale.

La narrazione è comunque presente in molte tradizioni religiose e fa parte dei testi giainisti, indù e buddisti e nel sufismo poiché legge l’agire umano in modo idiografico.

Riassumendo, ciò significa che conferisce senso a specifiche azioni compiute da particolari attori in determinati contesti con una triplice finalità.

In primo luogo ricostruisce azioni in atto; poi può spiegare la visione di chi agisce sulla base del proprio background culturale, della propria storia, delle proprie esperienze; infine, può realizzare credenze, preconcetti, teorie implicite che condizionano, orientano e vincolano l’agire in determinati contesti socio-culturali.

Veronica Tulli

Foto © West Virginia University

apprendimento, memorizzazione, pensiero narrativo, storytelling, strategie di comunicazione